DOMENICA IV T.O./C
21 In quel tempo, Gesù prese a dire nella
sinagoga:“Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri
orecchi”. 22 Tutti gli rendevano testimonianza ed erano
meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano:
“Non è il figlio di Giuseppe? ”. 23 Ma egli rispose: “Di certo voi mi citerete il
proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao,
fàllo anche qui, nella tua patria! ”. 24 Poi aggiunse: “Nessun profeta è bene accetto in
patria. 25 Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele
al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una
grande carestia in tutto il paese; 26 ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a
una vedova in Sarepta di Sidone. 27 C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del
profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro”. 28 All’udire queste cose, tutti nella sinagoga
furono pieni di sdegno; 29 si levarono, lo cacciarono fuori della città e
lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per
gettarlo giù dal precipizio. 30 Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.
[Lc 4,21-30]
In un passo autobiografico (Ger. 1, 4-19: I lettura)
il profeta Geremia ricorda il momento in cui, in un’esperienza profonda di
incontro con Dio, ha percepito la sua vocazione: “Prima di formarti nel
grembo materno ti conoscevo...”. Prima che Geremia esca alla luce e sia
riconosciuto da un padre, Dio lo “conosceva” (cfr. Is 49,1 e sal. 139,13).
Anzi, prima ancora che cominci a vivere nel grembo materno, Dio lo “conosce” e
sa già quale missione affidargli. Prima ancora che i genitori abbiano deciso la
nascita del loro figlio, Dio è presente a lui. Geremia scopre con immenso stupore
con quanto amore è stato voluto e quale disegno Dio da sempre ha pensato per
lui. “Ti ho stabilito profeta delle nazioni”: portavoce di Dio non solo presso il suo
popolo, ma anche presso i pagani. Tale missione di profeta “scomodo” gli
procurerà resistenze e persecuzioni, che sul suo animo mite e fragile avranno
un effetto devastante. Dio però, anche se non gli risparmierà la sofferenza, lo
assicura che starà al suo fianco e lo renderà “come una fortezza”
davanti alla forza d’urto di tutti gli avversari. Geremia è figura di Cristo,
ma in un certo senso anche dei cristiani, chiamati ad annunciare il Vangelo con
la parola e con la vita in un ambiente spesso refrattario e ostile. Testimoni
coraggiosi e fedeli che - anche se non di rado soli e in minoranza - sanno
contestare il male e riaffermare oggi valori irrinunciabili, quali es. il
diritto alla vita del nascituro, la sacralità del matrimonio, il valore
dell’essere genitori, la giustizia, la fraternità etc.“Ti ho stabilito
profeta”. Questa parola - che sarà ripresa da Gesù con la consegna: “Mi
sarete testimoni” (At. 1,8) - il Signore la ripete a ogni battezzato. La
Chiesa italiana ne ha preso atto nel recente Convegno di Verona rinnovando in
modo solenne e corale l’impegno di tutti a essere “testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo” in ogni ambito della
vita personale e sociale.
Domenica scorsa Gesù applicava alla sua persona e alla
sua missione il noto testo di Isaia (62, 1-2) secondo il quale il futuro
Salvatore, inviato da Dio, avrebbe portato il lieto messaggio ai poveri. La
solenne dichiarazione di Gesù viene ripresa all’inizio del brano di questa
domenica: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i
vostri orecchi”. La reazione dell’uditorio è dapprima favorevole. Lo
stupore dell’assemblea riguarda le sue “parole di grazia”: un
messaggio che proviene dalla “grazia”, cioè dalla benevolenza
divina, e che ha come contenuto la benevolenza, l’amore di Dio per gli uomini.
Lo stupore può condurre alla fede in Gesù, ma può anche degenerare nel rifiuto.
In effetti, gli abitanti di Nazaret si meravigliano che tali “parole di
grazia” escano dalla bocca di un compaesano, uno di loro, di cui
conoscono il padre. Come può Dio manifestarsi in un uomo che ha origini così
umili? E’ lo “scandalo” dell’Incarnazione. E’ tanto difficile dare credito a un
futuro nuovo, diverso. Gesù smaschera il loro atteggiamento interiore: la
“salvezza”, che Isaia annunciava, essi la riducono a miracoli di guarigione in
loro esclusivo favore. “Medico, cura te stesso”: cioè metti su
una “clinica” qui a Nazaret e fa’ gli interessi del tuo paese. Vorrebbero
accaparrarsi Gesù per motivi campanilistici. La sua risposta riguarda i suoi
concittadini, ma anche tutto Israele: “Nessun profeta è bene accetto in
patria”. Con questa affermazione egli delinea il suo destino di profeta
inascoltato e rifiutato dai suoi. E’ l’annuncio dell’ “indurimento” del suo
popolo nei confronti del Vangelo.
Gesù poi dichiara che la sua missione non si limita al
solo Israele, ma è universale. I profeti Elia ed Eliseo fecero del bene a
persone che non appartenevano al popolo eletto: la vedova fenicia e Naaman
siro. Così anche Lui, Gesù, compie miracoli a Cafarnao, dove abitano moltissimi
pagani, mostrando che la salvezza di Dio è destinata a tutti i popoli. La sua
missione non deve privilegiare un dato territorio, ma si rivolge alle persone. Non è un diritto
che i nazaretani possano accampare, ma un dono di Dio. Proprio per evidenziare
tale gratuità, Dio ha scelto come destinatari dei suoi miracoli i lontani e gli
esclusi: una povera vedova, e per di più straniera, e un siriano.
I nazaretani comprendono e vogliono scacciare Gesù.
Anzi, tentano addirittura di ucciderlo. La scena annuncia e prefigura la sua
passione, come pure il rifiuto incredulo e l’opposizione da parte di Israele a
Lui e poi alla Chiesa. La strada dell’evangelizzazione universale passa
attraverso la sofferenza, o meglio attraverso la fedeltà fino alla morte di
Gesù e dei suoi inviati. “Egli, passando in mezzo a loro, se ne andò”
(letteralmente: “se ne andava”). L’espressione fa capire che Gesù
è riuscito a “svignarsela” e allude forse già alla sua vittoria sopra la morte.
Il verbo evoca anche il tema, caro a Luca, di Gesù che viaggia senza sosta per
portare dovunque il Vangelo. I cristiani, impegnati - come già Geremia -
nell’attività profetica dell’evangelizzazione, non possono non riferirsi a
questa scena. Neppure possono trascurare
il fatto che Gesù, iniziando il suo ministero pubblico, appare come un
evangelizzatore “mancato”, fallito. Proprio Lui, che è l’evangelizzatore per
eccellenza, comincia con un insuccesso notevole. Anche questo fa parte del
disegno di Dio per Lui e per tutti gli altri missionari.
Il Vangelo si annunzia per amore e con amore. Solo
l’amore è credibile. L’elogio che Paolo tesse della carità (1Cor. 12,31-13,13:
II lettura) è una delle pagine più sublimi e infuocate del suo epistolario e di
tutto il N.T. “Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via
migliore di tutte”. Propriamente: “una via superlativa, superiore a tutti i
carismi”. Una via che è unica. L’unica strada che tutti i cristiani devono
percorrere: la via dell’amore. Al di fuori di essa, anche i carismi più
splendidi e prestigiosi non hanno senso. “Se non avessi la carità, non sono
nulla”. Se amo, sono. Se non amo, non sono.
È importante notare che per l’Apostolo l’amore è una “via”. Non un traguardo che uno possa
illudersi di aver raggiunto e in cui installarsi. Si è sempre in cammino.
Nessuno è mai un “arrivato”. L’amore va conquistato metro dopo metro con
tenacia instancabile.
Paolo tratteggia, poi, la fisionomia della carità.
Elenca appunto quindici proprietà, quindici comportamenti dell’amore, che viene
come personalizzato. Paolo pensa forse alla persona di Gesù. Si potrebbe dire:
Gesù è “paziente”, Gesù è “benevolo”etc.. La carità in azione ha
come due volti. L’uno è rivolto a coloro che in qualunque modo fanno soffrire:
è la pazienza. L’altro è rivolto a coloro che soffrono e sono nel
bisogno: è la benevolenza, che significa volere e fare il
bene al prossimo, servirlo e procurargli gioia. Questi due orientamenti
generali dell’amore vengono esplicitati nei verbi che seguono. Come si può
notare, la carità non attende di manifestarsi nelle grandi occasioni, ma si
esercita nel feriale, nel quotidiano, nei rapporti più comuni. Nella lettera,
che un condannato a morte - durante l’ultima guerra mondiale - scriveva alla
moglie la vigilia dell’esecuzione, le fa questa confidenza: “Tu sei per me il
capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi” (= il testo sulla carità). Cioè tu
sei il ritratto della carità, delineato da Paolo, perfettamente realizzato. E
la moglie poteva dirlo sicuramente di lui.
Vuoi sapere cos’è la carità? Guarda questa coppia,
quella famiglia, quella comunità. Quale provocazione per ciascuno di noi!
Mi chiederò spesso: qui e ora sto amando? Come
amerebbe Gesù in questo momento?
Proviamo a contare gli atti di pazienza e di benevolenza
che riusciamo a compiere in una giornata.