Lettura del Vangelo - Domenica 4a del Tempo Pasquale - Anno A

 

SCHEDA BIBLICA - 40

 

 

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (10,1-10)

In quel tempo, Gesù disse: (1) "In verità, verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. (2) Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. (3) Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama la sue pecore una per una e le conduce fuori. (4) E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. (5) Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei." (6) Questa similitudini disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. (7) Allora Gesù disse di nuovo: "In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. (8) Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. (9) Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. (10) Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere, io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza".

 

IL CONTESTO

Nel Vangelo di Giovanni i cc. 9-10 costituiscono una unità letteraria in cui si descrive lo scontro fra Gesù e i farisei durante la festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme. Il nostro testo è una similitudine e di solito queste forme letterarie hanno un solo termine di confronto. Nel nostro caso invece abbiamo due diversi tipi di paragone e il contenuto si potrebbe così descrivere: il vostro (=dei farisei) comportamento è da paragonare a quello di ladri e rapinatori. Il mio è simile a quello di un pastore.

Se si esaminano questi atteggiamenti in modo approfondito la similitudine si potrà interpretare in forma di allegoria. Si chiede dunque: chi sono i rapinatori? Chi è il buon pastore? Chi è la porta? Chi sono le pecore? Nella nostra pericope si può vedere come la medesima similitudine può essere allegorizzata in diverso modo.

Gesù dichiarandosi il "pastore delle pecore" (v 2), la "porta del gregge" (v 9), il "buon pastore" (v 11) rivela se stesso come Messia annunciato.

 

L'ESEGESI DEI TESTO

v. 1: La similitudine è rivolta in primo luogo contro i farisei, ma in senso più ampio si riferisce pure a tutti gli pseudosalvatori e pseudo-Messia che sorgevano con tanta frequenza all'epoca di Gesù.

v. 2: Solo il pastore viene attraverso la porta. Le pecore odono la sua voce mentre ancora egli parla col guardiano della porta. Per lui gli animali non sono solo un gregge, una massa indistinta, conosce ogni singola pecora per nome.

v. 4: Il pastore precede le pecore ed esse lo seguono. Esse hanno fiducia di chi le guida. Questo versetto è una similitudine a sé: si osservi la sicurezza con cui le pecore riconoscono il loro pastore. Con altrettanta sicurezza gli eletti riconoscono il loro Redentore.

v. 5: Si descrive un singolare rapporto di fiducia fra pastore e gregge. Al tempo stesso Gesù vuol dire ai farisei che essi sono gli estranei. Il popolo non ha alcuna fiducia in loro.

v. 7: Nei versetti che seguono la similitudine viene interpretata allegoricamente. Il termine di paragone si sposta. Si presuppone l'esistenza di numerosi pastori e si tratta di determinare chi è il legittimo. Gesù qui presenta il suo diritto assoluto. La salvezza può essere raggiunta solo per mezzo suo.

v. 8: Viene da chiedersi se Gesù volle paragonare a ladri per esempio anche i profeti Mosè e Giovanni Battista. Ma la risposta è evidentemente negativa. I profeti e i re dell'A.T. vengono visti come testimoni o precursori del Messia. Essi sono venuti attraverso la porta, cioè attraverso Gesù.

v. 9: Gesù torna ad essere paragonato alla porta. Ora però non è più la porta per i pastori ma per le pecore. Solo per mezzo suo si giunge alla comunità di salvezza. Nel nostro versetto con comunità di salvezza si dovrebbe intendere probabilmente la chiesa. L'evangelista vede la situazione post-pasquale. La comparsa di pseudo-redentori e il sorgere di sette all'interno del cristianesimo rendono necessario ricordare continuamente la posizione centrale e unica di Gesù.

v. 10: I ladri usano e abusano delle pecore, le conducono alla rovina, mentre Gesù porta i suoi alla vita in abbondanza. Questa vita però non sta a indicare la vita beata dell'aldilà: la vita in abbondanza è una vita nell'amore e nella gioia, è una vita che ha un significato, è una vita sorretta dalla speranza.

 

IL MESSAGGIO

L'immagine del pastore che guida le sue pecore era familiare a Israele, popolo nomade: essa alimentò in tempi successivi la meditazione religiosa del proprio rapporto con Dio. I suoi capi dovevano essere servi dell'unico pastore; ma troppo spesso, seguendo interessi egoistici e visioni politiche inadeguate, hanno tradito, fuorviato, depredato il gregge di Dio.

Gesù si presenta come il pastore secondo il cuore di Dio, quello annunciato dai profeti. Egli conosce intimamente il Padre e trasmette questa conoscenza ai suoi. Per questo egli è la "porta". Egli conosce intimamente la nostra condizione, perché come "agnello" ha portato i peccati di noi tutti. Egli guida i suoi con l'autorità di chi ama e ha dato la sua vita; ed essi, nella fede, ascoltano la sua voce e seguono le sue orme.

 

LA PARABOLA DEL PASTORE

Una pagina di vangelo, questa, in cui si parla di pecore, recinto, porta, guardiano, estranei, e perfino di ladri e briganti. Fissiamo soprattutto il rapporto che intercorre tra pecore e pastore. Per comprenderlo correttamente, occorre ricostruire la scena collocandola nell'ambiente palestinese.

Nel recinto sono alloggiati diversi greggi appartenenti a svariati padroni, che, per la notte, affidano le proprie pecore alla sorveglianza di un guardiano.

Al mattino si presentano i vari pastori. E ciascuno chiama le proprie pecore che, così, escono fuori e lo seguono. Pur confuse e mescolate insieme, le pecore rispondono unicamente all'appello del proprio padrone. Non vanno dietro a un altro pastore, che per loro risulta "estraneo".

 

LA VOCE

È la voce che permette il riconoscimento. Sottolineiamo questo particolare, che costituisce un po' la chiave di tutta la similitudine. Le pecore, nel recinto, durante la notte, possono provare 1'impressione di aver perduto il pastore, di essere state abbandonate da lui. Lo ritrovano al mattino, non quando lo vedono, ma quando "ascoltano la sua voce". Allora avviene l'incontro, il riconoscimento reciproco, grazie ad una specie di "liturgia della voce".

È la voce che permette di distinguere il pastore dagli estranei. Pure Maria di Magdala, il mattino di Pasqua, ritrova il Signore al suono della voce: Maria! Gli occhi non le hanno consentito di riconoscerlo. Ma la voce non tradisce. Quel timbro, quel tono, il nome pronunciato in quella maniera, fanno scoccare la scintilla del "riconoscimento".

Un bambino, nei primi mesi di vita, non è in grado di riconoscere i volti oltre i 25/30 centimetri di distanza. Tuttavia riconosce molto bene e molto presto la voce della mamma e del papà, la voce di chi gli vuol bene. Al suono di questa voce il bambino sorride, si tranquillizza, si sente sicuro...

Non hanno importanza i lineamenti specifici del volto, non contano i titoli e la cultura; ciò che conta è sentire quella presenza d'amore anche se tutto intorno è oscuro e confuso.

Cristo, il buon pastore, non pare essersi preoccupato eccessivamente del suo volto fisico...Eppure chissà quante volte i discepoli furono affascinati da quel volto! Cristo si è invece preoccupato di presentarsi con una voce; con quella voce che viene dal cuore e penetra nei cuori, perché è la voce di chi ama. Con quella voce che non intontisce di chiacchiere, ma che esprime il dono di tutta una vita.

 

SONO " UNICO"

"Chiama le sue pecore una per una..."! Ciascuna, oltre a riconoscere quella voce "unica", inconfondibile, riconosce il proprio nome. Si tratta di un pastore che si occupa, non di un gregge, di una massa, ma delle "singole" pecore.

E proprio questo rapporto personale, intimo, all'insegna dell'unicità, è quello che si stabilisce tra noi e il vero Pastore.

Io non sono uno fra i tanti. Sono unico. Non faccio parte di una massa indifferenziata. Non sono un numero, confuso nella quantità. Non sono una pedina che può essere sostituita da tante altre nel vasto scacchiere del mondo.

"La mia esistenza è un evento originale. Non vi sono due esseri umani uguali. Ogni essere umano ha da dire, da pensare e da fare qualcosa che non ha precedenti. Solo l'incrostazione, il trucco, il conformismo, riducono l'esistenza a una generalità. Essere uomini è una cosa sempre nuova... Essere uomini e una sorpresa, non una conclusione scontata. ogni individuo è una sorpresa, un esemplare esclusivo" (A. J. Heschel).

Non esiste l'uomo medio. Non esiste l'uomo ordinario, tipo, standard. Esiste solo nelle statistiche. Quando una persona accetta di affogare nel conformismo, nella mediocrità generale, compie una specie di "suicidio".

Se non mi realizzo, se non sono me stesso, privo il mondo, la Chiesa, di qualche cosa che soltanto io sono in grado di "produrre". Posso farmi sostituire in un lavoro, ma non posso farmi sostituire nella vita.

Per ciò che fai, puoi anche essere "inutile". Ma per ciò che sei, per ciò che sei chiamato ad essere, risulti addirittura indispensabile!

 

"TU SEI CON ME"

"Le centinaia di libri che ho letto non mi hanno procurato tanta luce e conforto quanto i versi del Salmo 23: 1l Signore è il mio pastore, non manco di nulla; anche se dovessi passare in un burrone di tenebre, non temerei alcun male perché tu sei con me".

Questa confessione del filosofo H. Bergson è un canto di serenità e di fiducia, pur in mezzo alle oscurità dell'itinerario della vita e pur tra i pericoli degli assalti dei "mercenari" di turno!

Esistono però anche "mercenari" portatori di corruzione e di morte. Ne ricordiamo uno solo, un terribile "pastore", attualissimo. Esso è citato dalla dissacrazione del Salmo 23 fatta da un giovane drogato di Harlem: "L'eroina è il mio pastore, ne avrò sempre bisogno. Mi conduce ad una dolce demenza, distrugge la mia anima. Mi conduce sulla strada dell'inferno per amore del suo nome. Sì, anche se camminassi nella valle dell'ombra della morte, non temerei alcun male, perché la droga è con me. La mia siringa e il mio ago mi portano conforto..."!

Il vangelo di Cristo, invece, ci chiama da una vita adulta e responsabile in una chiesa che non ha nulla del gregge o del giardino d'infanzia. Nel momento in cui, nella nostra società, i padri scompaiono, i "guru" affascinano, la propaganda impone il proprio dominio, Gesù ci mette in piedi, perché camminiamo con lui verso il Padre.