Lettura del Vangelo - Domenica 5a di Quaresima - Anno A

 

SCHEDA BIBLICA - 38

 

 

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (11,1-45)

In quel tempo (1) era malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta, sua sorella. (2) Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. (3) Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, il tuo amico è malato". (4) All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato". (5) Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. (6) Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. (7) Poi, disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!". (8) I discepoli gli dissero: "Rabbi, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". (9) Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; (10) ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce". (11) Così parlò e poi soggiunse loro: "Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo". (12) Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se si è addormentato guarirà". (13) Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. (14) Allora Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto". (15) E io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù andiamo da lui!". (16) Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli "Andiamo anche noi a morire con lui!". (17) Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. (18) Betania distava da Gerusalemme meno di due miglia. (19) E Molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. (20) Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. (21) Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! (22) Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà. (23) Gesù le disse: "Tuo fratello risusciterà". (24) Gli rispose Marta: "So che risusciterà nell'ultimo giorno". (25) Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; (26) chiunque vive e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo?". (27) Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo.".

(28) Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: "Il Maestro è qui e ti chiama". (29) Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. (39) Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. (31) Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Ma ria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: "Va' al sepolcro per piangere là". (32) Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo, si gettò ai suoi piedi dicendo: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". (33) Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: (34) "dove l'avere posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!" (35) Gesù scoppiò in pianto. (36) Dissero allora i Giudei: "Vedi come lo amava!". (37) Ma alcuni di loro dissero. "Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?". (38) Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. (39) Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni". (40) Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?". (41) Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. (42) Io sapevo che sempre mi da ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". (43) E detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori". (44) Il morto uscì con i piedi e le mani avvolte in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: "Scioglietelo e lasciatelo andare". (45) Molti dei giudei, che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.

 

IL CONTESTO

Dalla fine del primo secolo dopo Cristo ci perviene una voce che ci chiama alla fede: è il vangelo di Giovanni. I problemi dei Sinottici riguardante la legge, l'ordinamento della Chiesa, il futuro e il cammino della storia, passano ora in secondo piano rispetto all'idea centrale secondo cui nella fede in Gesù viene posta e risolta per sempre l'alternativa determinante della vita.

Così il quarto vangelo non conosce la distinzione sinottica degli uomini in giusti e peccatori, ma divide le persone tra credenti e increduli. L'avvenimento ha lo splendore della testimonianza. Il fatto viene narrato in modo che ne traspaia l'elemento "determinante".

Nella risurrezione di Lazzaro ci presenta l'ultimo e il più grande dei sette "segni". La risurrezione di Lazzaro si trova alla fine dell'attività pubblica e costituisce il momento culminante della rivelazione della "gloria" (doxa) di Gesù davanti al mondo.

I primi dodici capitoli del vangelo raccontano questa epifania della gloria davanti al mondo. La seconda parte del vangelo tratta poi della rivelazione della gloria davanti ai suoi e della vittoria della luce. Con Betania, Gesù entra in potere dei suoi avversari e del suo destino di morte. A1 riguardo si noti il paradosso per cui colui che richiama il defunto alla vita, proprio per questo suo gesto deve essere messo a morte: alla notizia della risurrezione di Lazzaro, gli avversari di Gesù decidono di metterlo a morte.

 

L'ESEGESI DEL TESTO

v. 1: La breve esposizione dell'antefatto: "...Lazzaro di Betania, il villaggio di Marta e di Maria sua sorella". Betania (ebr. Beth-ani = "casa dei poveri", oggi: al-azarije = località di Lazzaro) è addossata al versante orientale del Monte degli ulivi, circa 3 Km da Gerusalemme, sulla via che conduce a Gerico. Il nome di Lazzaro è l'abbreviazione ellenistica di Eleazaro (el azar = Dio ha aiutato). Marta d il femminile dell'aramaico mar = signore e quindi significa "signora". Maria (ebr. Mirijam) probabilmente deriva dalla radice ram (=elevare).

v. 2: Maria viene identificata con la donna che aveva cosparso Gesù di olio profumato: questo episodio era stato riferito da Mt. 26,6-13 e Mc. 14,3-9 senza che ne fosse citato il nome, che invece è ricordato in Gv. 12,1-8.

v. 4: Sembra il titolo dell'episodio del miracolo. Questa malattia non porta alla morte, ma ha come scopo la "glorificazione" di Dio e del Figlio suo. Abbiamo cosi uno dei termini chiave di Giovanni e il capitolo è posto sotto il tema della rivelazione della gloria. La glorificazione di Gesù avviene già nella storia delle sue parole e nei "segni" e diviene definitiva nella sua esaltazione in croce.

vv. 7-10: Hanno caratteri tipicamente giovannei: "i giudei", il contrasto tra luce e tenebre, la formula "camminare nelle tenebre".

vv. 11-15: Si ritorna a Lazzaro. Meta e scopo del viaggio di Gesù in Giudea d "svegliare" l'amico Lazzaro che "s'è addormentato". Lo stesso Gesù risolve l'equivoco e rende noto che Lazzaro è morto. Gesù ritarda di due giorni 1a visita a Betania. Egli sceglie il momento e il modo con cui rivelare la gloria.

v. 16: Tommaso invita i suoi condiscepoli a recarsi con Gesù a Gerusalemme per morire.

vv. 20-31: Nel dialogo si manifesta come la fede di Marta cresce progressivamente e giunge al suo culmine nei vv. 25-27. "Se tu fossi stato qui...": è espressa la fede nel potere taumaturgico di Gesù. Di fronte a questa fede Gesù dà la sua parola: "Tuo fratello risusciterà". Marta non comprende questa promessa e la collega con la fede rabbinico-farisaica della risurrezione dei morti nell'"ultimo giorno". Ma Gesù capovolge i tempi e dà un nuovo corso al dialogo. "Io sono la risurrezione". Egli non si limita ad annunziare la risurrezione, bensì è egli stesso risurrezione. A Marta viene ora rivolto l'interrogativo: "Credi tu questo?". Essa fa la sua confessione e rivolge la sua fede al nuovo contenuto: Gesù Cristo.

vv. 32-39: Un secondo dialogo precede la risurrezione di Lazzaro. Maria ripete il deluso lamento di Marta senza però aggiungere l'identica certezza di fede. Di conseguenza non riceve da Gesù una parola di rivelazione e quindi non può pronunciare il credo nel messia.

vv. 41-42: Viene riportata la preghiera di Gesù alla tomba di Lazzaro. Gesù ringrazia perché la sua domanda è stata esaudita. Si esprime ancora una volta che Gesù è in per fetta comunione con il Padre. Questa unità tra Padre e Figlio si rivela nelle "opere".

vv. 43-44: Gesù esclama la sua parola taumaturgica che penetra fino nel mondo della morte: "Lazzaro vieni fuori". Il morto è richiamato in vita. L'effetto è duplice in quanto desta fede e incredulità. Il paradosso consiste nel fatto che proprio l'incredulità porterà la morte e la glorificazione di Gesù.

 

IL MESSAGGIO

"Io sono la risurrezione e la vita": questa solenne autodefizione che Gesù fa nella narrazione giovannea della risurrezione di Lazzaro è il motivo unificatore della liturgia della quinta domenica di quaresima. Gesù-Messia (I domenica), Gesù-Gloria di Dio (II domenica), Gesù-Acqua viva (III domenica), Gesù-Luce (IV domenica) e Gesù-Vita (V domenica) sono le tappe della grande catechesi biblica quaresimale e battesimale.

Dopo i racconti della Samaritana e del cieco nato, ecco la terza narrazione costruita sul medesimo schema: un dialogo dal duplice significato, in cui sonno e risveglio designano la morte e la risurrezione. Ognuno di questi racconti pone in evidenza il fatto che Gesù nel battesimo si presenta come la sorgente d'acqua viva, la luce, la vita. Accanto a questo significato battesimale, il racconto di Lazzaro sviluppa, più chiaramente degli altri, il tema pasquale.

La passione si profila all'orizzonte ("Andiamo a morire con lui"); la morte viene incontro a Gesù nella persona dell'amico, ed egli ne resta turbato; ci sono le lacrime di Marta dinanzi alla tomba e, infine, il ritorno alla vita. Tutti questi particolari annunciano in modo evidente l'imminenza della morte e della risurrezione di Gesù.

 

TRE SUGGERIMENTI

Il prefazio della Messa ci dà tre suggerimenti per leggere il racconto della risurrezione di Lazzaro: anzitutto leggerlo come espressione dell'amicizia di Gesù: "vero uomo come noi egli pianse l'amico Lazzaro". Si tratta di comprendere la serietà dell'incarnazione che coinvolge Gesù nei rapporti umani concreti di amicizia.

In secondo luogo siamo invitati a riconoscere la potenza di Gesù: "Dio e Signore della vita, lo richiamò dal sepolcro". Se "l'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte" (1Cor 15,26) ora, nella vita di Gesù, questa vittoria viene anticipata. Non c'è potere umano o sovrumano che possa impedire a Cristo di compiere l'opera di salvezza per cui è venuto.

Infine si tratta di non leggere il racconto di Lazzaro solo come un fatto del passato, per quanto impressionante: "Oggi Cristo estende a tutta l'umanità la sua misericordia e con i suoi sacramenti ci fa passare dalla morte alla vita". Oggi-tutti: il significato della risurrezione di Lazzaro viene dilatato nel tempo e nello spazio fino a raggiungere ogni uomo, fino a raggiungere noi: "si tratta di qualcosa che ti riguarda". Strumento di questa dilatazione sono i sacramenti, gesti nei quali Gesù effettivamente agisce e salva. Cerchiamo allora di ripercorrere questi itinerari nella lettura del brano del vangelo.

 

LA "CASA DELL'AMICIZIA

"Gesù è venuto per tutti, non ha rifiutato nessuno, non ha discriminato alcuna categoria di persone. Eppure aveva degli amici. Coltivava il sentimento umano dell'amicizia. C'era una casa, a Betania, dove il Maestro si rifugiava volentieri. Lì poteva godere la compagnia di alcuni intimi: Lazzaro, Marta e Maria.

Un'amicizia tanto profonda e delicata da non aver bisogno di troppe parole: "Signore, ecco il tuo amico è malato". E l'amicizia autorizza Marta, dopo la morte del fratello, ad adottare un linguaggio piuttosto scarno, con una venatura di rimprovero: "Signore se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". Per poi aggiungere, con una punta di audacia: "Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio egli te la concederà". Una frase in cui la certezza è intrecciata, per così dire, di sentimento umano nei con fronti dell'amico e di fede.

E Cristo si aggancia a questa dichiarazione di Marta per condurla a fare esplicitamente quella professione di fede che, sola, rende possibile il miracolo: "Io sono la risurrezione e la vita... credi tu questo?". E la donna si affretta a rassicurare il Maestro: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio".

Come si vede, un'amicizia vera che, senza perdere nulla in fatto di spontaneità, confidenza e schiettezza, sa "riconoscere", attraverso lo sguardo della fede, la vera identità dell'amico.

 

UN AMORE CHE DONA LA VITA

C'è ancora un particolare che documenta a quale grado di profondità di partecipazione Gesù abbia vissuto il sentimento dell'amicizia umana. Mentre si avviava al sepolcro, "Gesù scoppiò in pianto".

Un Dio che piange la morte dell'amico, che non nasconde i propri sentimenti, che non si vergogna di apparire umano, convince quanto il Dio che richiama in vita colui che è morto da quattro giorni. Quelle lacrime sono un grande miracolo.

Proprio adesso che Gesù sta per mostrare nel modo più evidente la sua forza divina, mostra nello stesso tempo la sua piena umanità. Se è entrato nella storia del mondo vi è entrato con tutto se stesso: corpo e anima, intelligenza e affetti. Sarà anche questa una pista necessaria per comprendere il miracolo. Miracolo di potenza? Certamente, ma soprattutto miracolo di amore.

Gesù "si commosse profondamente, si turbò...": due verbi che rendono il Maestro assai vicino alle nostre angosce, al nostro sgomento di fronte al dolore, alla nostra protesta contro la morte. Neppure il Cristo è d'accordo con il male, non accetta a occhi asciutti il sepolcro. Neppure lui si rassegna facilmente alle separazioni più brutali.

Da un Dio che ama in quella maniera "tanto umana", c'è da aspettarsi di tutto in favore dell'uomo. A1 sepolcro Gesù si avvia non come un essere al di sopra delle debolezze dei comuni mortali, ma "profondamente commosso".

 

DIO NON È D'ACCORDO CON LA MORTE

Dunque l'amore di Gesù si scontra adesso con la morte. Si era scontrato molte volte con la malattia, ma adesso c'è qualcosa di molto più decisivo. In fondo la malattia ha sempre in sé la speranza della guarigione e quindi l'aspetto della provvisorietà.

Ma la morte no; dove c'è la morte sembra che ogni speranza sia preclusa. La morte manifesta nel modo più crudo l'impotenza del l'uomo. Vorremmo poter far qualcosa per le persone che amiamo, ma dobbiamo dichiarare la nostra sconfitta.

Dunque la potenza della morte si è impadronita di Lazzaro; la pietra che sigilla il sepolcro separa il mondo dei viventi da quello dei morti. E tuttavia c'è una parola che supera il confine: "Togliete la pietra!". È una parola senza senso dal punto di vista umano, e Marta lo fa notare.

Il fetore che esala dal cadavere non è un particolare macabro. Vi si può cogliere un significato teologico. È Dio che si ritrova di fronte al proprio capolavoro deturpato, all'uomo che ha scelto la degradazione, la morte, il peccato, dal momento che ha rifiutato l'amore.

Nel racconto della Genesi troviamo il compiacimento: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona (bella)" (Gn 1,31). Qui: "manda cattivo odore". Sono i due poli estremi. È l'itinerario percorso dall'uomo lungo la strada della disobbedienza. Dalla "libertà" del Paradiso alla "prigione" del sepolcro.

 

"LAZZARO, VIENI FUORI!

"Quel grido è rivolto a ciascuno di noi. Cristo non si rassegna ai nostri sepolcri, alla nostra coabitazione con la morte, alle nostre scelte di morte. Lui ci provoca, ci "chiama fuori". Fuori della prigione in cui ci rinchiudiamo volontariamente, accontentandoci di una vita fittizia, impoverita di ideali, di slanci, spoglia dei veri valori.

Quella voce ci impone di camminare, spezzando le "bende", in cui ci siamo avvolti oppure che gli altri ci hanno cucito addosso. La risurrezione comincia quando, ubbidendo a quel comando, decidiamo di uscire alla luce, alla vita.

 

LA MORTE SCONFITTA

Quante volte è risuonata alle nostre orecchie o sulle nostre labbra questa brevissima e terribile parola: "È morto". Genitori, fratelli, figli, amici...ognuno se n'è andato portandosi via un pezzo di noi stessi, ognuno ha lasciato un vuoto che nessun altro può colmare.

La morte: così abituale a questo mondo, così "normale"...Eppure così estranea al nostro spirito, così inaccettabile. La più certa fra le realtà della vita e la più dimenticata. Termine ultimo di ogni progetto e speranza: "la fine" come si suol dire.

Il filosofo stoico Epitteto scriveva: "Per l'uomo sarebbe una maledizione non morire come per una spiga non venire a maturazione e non essere mietuta" (Diatribe II,6). Il poeta austriaco Rilke, invece, commentava la morte così: "Vedi, le case che abitiamo reggono, noi soli passiamo via da tutto, aria che si cambia" (Elegie Duinesi).

L'atteggiamento dell'uomo davanti alla morte oscilla tra questi due estremi di compostezza e di disperazione. Invece il vangelo letto è una catechesi cristiana sulla morte come comunione con il Cristo risorto. È una speranza ancora oscura ma deve essere sempre più proclamata a noi stessi e all'uomo.

M. Proust, il celebre romanziere francese autore della "Ricerca del tempo perduto", scriveva: "Il tempo sfugge come sabbia lasciando la mano presto vuota... Restano solo i ricordi, foglie galleggianti della foresta sommersa che è la vita alle nostre spalle".

È evidente l'atteggiamento nostalgico dello scrittore, la sua indicibile malinconia che è la caratteristica anche di tanti uomini del nostro tempo. La lettura cristiana della vita è invece protesa sul "futuro", sul "poi", sulla speranza dell'incontro e della comunione piena con Dio. La vita cristiana è progetto, tensione, dinamismo, cammino verso il giorno pieno della Pasqua universale.

 

"IO SONO LA RISURREZIONE E LA VITA"

Proprio questa è la nostra fede di cristiani: Gesù Cristo, il Crocifisso-Risorto, ha davvero una risorsa in più rispetto alla morte. Se viviamo uniti a lui, se il suo Spirito abita in noi, la sua vittoria sulla forza della morte diventa operante anche in noi, e lo diventa fin d'ora.

Se le nostre tombe sono come un segno di resa e di sconfitta di fronte alla morte, i sacramenti - dal battesimo alla penitenza, all'eucaristia, all'unzione degli infermi...- sono il "segno efficace" dello Spirito, dono di Cristo risorto.

Se Gesù vince la morte, vince anche tutte le altre possibili potenze, vince tutti i ricatti del mondo, apre la strada alla libertà. Il mondo infatti può facilmente ricattare l'uomo a motivo della sua debolezza; può sempre dirgli: "o mi segui o ti condanno alla fame, alla sete} alla nudità, alla solitudine, al fallimento" e l'uomo, preoccupato per la sua vita, egoista, cerca di venire a patti con il mondo. Ebbene la fede vince tutti questi ricatti perché pone il cristiano sulla base della sicurezza che è Cristo. Giovanni potrà scrivere come un grido di vittoria: "Tutto ciò che è nato da Dio vince il monda; e questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede" (1 Gv. 5,4).

 

CREDERE NELLA VITA

Nel racconto intitolato "Qualcosa accadrà", H. Böll descrive una fabbrica nella quale il padrone saluta i suoi dipendenti con le parole: "Deve accadere qualcosa", e la risposta che gli devono dare è: "Qualcosa accadrà". Un giorno il padrone muore all'improvviso e Böll nota che la sua morte è l'unico vero fatto che accade in questa fabbrica.

In realtà la morte è il fatto più importante che accada nella vita di un uomo. "È necessario imparare a vivere per tutta la durata della vita, e, quello che può maggiormente meravigliare, per tutta la vita si deve imparare a morire", scrive Seneca.

La morte è il grande interrogativo posto a ciascuno di noi e che rende tutto il resto transitorio. Per risolverlo non basta dichiararlo inesistente, senza senso. Seneca consola l'afflizione di una madre che ha perduto suo figlio sostenendo che il ragazzo non ha fatto che perdere un gioco d'azzardo dal quale non poteva uscire se non sconfitto.

Per rispondere al problema della morte basta rinnegare la vita? Vi può mai essere consolazione? Schiller scrive: "Ti spaventi della morte? Vorresti vivere per sempre? Vivi in pieno! Quando sarai morto da molto tempo, rimarrà la tua vita". Rimarrà di noi solo la gloria postuma o il nostro fallimento?

Il vangelo di oggi offre una speranza nuova: chi crede in Gesù avverte di non "morire" più. Dobbiamo essere vinti da una speranza.

H.U. von Balthasar scrive: "Moriamo soli. Mentre la vita, fin dal seno materno è sempre comunione… la morte sospende la legge della comunione. Gli uomini possono accompagnare fino all'estrema soglia il morente che può anche sentirsi accompagnato, soprattutto se è la comunità dei santi ad accompagnarlo nella fede in Cristo; tuttavia valicherà la stretta porta solo e isolato. La solitudine spiega ciò che la morte è attualmente: la conseguenza del "peccato" (Rom 5,12). Cristo ha preso su di sé per i peccatori la morte ad essi dovuta con radicalità estrema… mentre tutta la ricchezza dell'amore veniva raccolta in questo punto di unione. Non esiste perciò sulla terra comunione nella fede che non derivi dall'estrema solitudine della morte in croce. Il battesimo che immerge il cristiano nell'acqua lo separa dalla minaccia della morte per portarlo alla vera fonte della comunione con Dio e la vita".

La fede nella risurrezione non appartiene alle realtà "ultime", ma alle "prime", non sta alla fine, ma all'inizio. Fondamento di questa fede e di questa speranza è colui che ha sconfitto la morte. Non la rassegnazione, quindi, né la disperazione, né il silenzio, il lamento hanno l'ultima parola.

È evidente che quando parliamo di vita e risurrezione iniziamo a balbettare. Per il mondo queste parole rimangono sconosciute, perché il mondo non le può pronunciare né promettere.

Gesù non ci chiede di "comprendere", ma di "credere"!