"CHI OSSERVA LA SUA PAROLA,

IN LUI L'AMORE DI DIO E' VERAMENTE PERFETTO" (1 Gv. 2, 5)

 

Questa frase di Giovanni, che esprime tutta la potenza salvifica della Parola di Dio, viene però facilmente interpretata in modo restrittivo, come peraltro tutto quello che riguarda la stessa Parola. Il contesto della lettera in cui la frase è inserita parla in effetti di "comandamenti" da osservare e può quindi portare ad una tentazione, che esprime la PRIMA GRANDE RESTRIZIONE che per secoli abbiamo fatto della Parola divina.

L'importanza che, fino a non tanto tempo fa, si dava alla struttura, alle regole, alle osservanze portava a comportamenti che potevano avere contenuti ed espressioni cristiane, ma che non nascevano esplicitamente dall'impegno di seguire totalmente e personalmente Gesù né erano mediazione consapevole per l'incontro con Dio, e quindi non risvegliavano nella nostra coscienza, quale radice e motivo dell'azione, il riferimento esplicito a Gesù e al Vangelo. In altre parole la Parola di Dio era vista semplicemente come fonte da cui trarre principi morali, che poi venivano rielaborati, ampliati, applicati con il nostro pensiero (attraverso la teologia morale), con tutta la debolezza di questo procedimento, visto che il pensiero, anche teologico, perde via via di attualità e d'incarnazione col passare del tempo e col cambio delle culture e delle mentalità. Cosa questa che si sente particolarmente forte nei nostri giorni. Di conseguenza l'intera catechesi e le omelie avevano come contenuto riflessioni tutto sommato umane, che sovente non mantenevano più nessun riferimento (almeno esplicito) alla Parola di Dio.

La SECONDA RESTRIZIONE operata nei secoli sulla Parola è stata quella di ridurre il Libro sacro al racconto della Storia della salvezza, cioè degli eventi passati che, pur portandoci a lodare Dio per la Sua opera, non sembravano avere più molta attinenza col nostro presente. Oltretutto questa visione portava a difficoltà grandi nel leggere e interpretare interi libri della Bibbia che di storico non avevano proprio nulla (da Giona ai libri poetici, a quelli rituali…), o a considerare come un peso abbastanza superfluo altri brani, pur storici, che non si prestavano però a trarne direttamente degli insegnamenti (pensiamo a molti passaggi dei libri di Samuele, dei Re…). In tal modo è prevalsa una comprensione quasi esclusivamente intellettuale del messaggio biblico, vale a dire una comprensione ridotta alla sola dimensione informativa.

Un'ULTIMA RESTRIZIONE nasceva dal fatto che, avendo lasciato, dopo la Riforma protestante, l'esclusiva della Parola ai "fratelli separati", nella nostra tradizione spirituale abbiamo sofferto di un deficit evidente nell'impegno di agganciare la vita cristiana alla sua sorgente genuina, che è il Vangelo. Nella Chiesa cattolica lungo i secoli fu pratica abituale sostituire la Parola di Dio con libri vari di ascetica e di spiritualità che, pur validi, non possono essere messi certo sullo stesso piano della Scrittura. Ma non sembra che neppur oggi tali abitudini sbagliate vadano un gran ché migliorando. E' probabile che autori come Michel Quoist, Louis Evely, Tony de Mello o Carlo Carretto nell'esperienza spirituale di molti credenti abbiano maggiore influenza e peso della stessa Parola di Dio. Non so quanti abbiano già fatto l'esperienza di Gregorio Nazianzeno che dice: "La grande Parola di Dio oscura tutti i discorsi suadenti e multiformi dello spirito umano, non meno del sole che corre in alto, prevalendo su ogni altro splendore". O quella di san Girolamo che, con parole ancor più forti, afferma che tutti i libri scritti dagli uomini, anche i più saggi e sapienti, "sviluppandosi, non mostrano niente di vivo, di concreto, di vitale, ma tutto si snerva, flaccido e marcio, come ortaggi ed erbe che inaridiscono e muoiono". Mentre il Vangelo, che all'inizio si presenta come piccolo seme, "quando si è sviluppato nell'anima del credente, non diventa un ortaggio, ma cresce come albero".

Insomma, se alla Parola di Dio si riconosceva comunque un grande valore, era perché si trattava di una Parola autorizzata da Dio e quindi assolutamente vera, ma non già perché, alla pari degli stessi sacramenti, anche se in modo differente, essa fosse vera ed efficace mediazione dell'incontro personale con Dio. Si capisce quindi la facilità con cui alla Parola di Dio si sostituiva la dottrina dei catechismi, nella quale la dottrina appariva più organizzata e sistematica, mentre invece a nessuno sarebbe mai venuto in mente di sostituire un sacramento con qualunque altro rito umano per quanto chiaro e strutturato…

Ora invece dobbiamo riconoscere che uno dei doni più preziosi del Vaticano II alla Chiesa attuale è stato quello di ridare alla Parola di Dio il posto centrale che le spetta nella vita cristiana.

Nel Sacrosantum concilium al n. 7 si riconoscono 5 PRESENZE REALI DI GESU' NELLA SUA CHIESA:

Credo che per molti di noi, nonostante tutto, rappresenti ancora una grande conversione mentale quella di credere che la presenza di Cristo nella Sua Parola sia davvero REALE, assolutamente non di meno (anche se ovviamente in modo diverso) che quella nella stessa Eucarestia. La reazione avvenuta nel pensiero post-tridentino ci ha portato a sottolineare in modo esclusivo la presenza eucaristica, a scapito sovente delle altre, soprattutto di quella nella Parola. Altrimenti non saremmo così preoccupati di "eucaristicizzare" e più generalmente "sacramentalizzare" tutto, tanto da dimenticare o di mettere in second'ordine l'evangelizzazione e, in campo liturgico, la proclamazione della Parola.

Ma una conversione ancor più grande penso che si debba attuare nel pensare che la presenza nella Parola è la PRIMA, la FONDAMENTALE, da cui le altre stesse prendono origine. (E' talmente vero ciò che in casi eccezionali, senza cioè che l'abbandono delle altre sia stato voluto colpevolmente, può anche bastare da sola a sostenere una vita cristiana, come è avvenuto coi nostri "fratelli separati", nei quali non possiamo comunque non riconoscere la presenza della salvezza divina e in certi casi persino di un'autentica santità).

In realtà la cosa risulta meno sconvolgente se si guarda attentamente alla storia della Chiesa. Ad esempio ci si può accorgere che TUTTI I FONDATORI delle grandi famiglie religiose hanno messo esplicitamente alla base della loro Regola il riferimento al Vangelo. Taluni si sono addirittura rifiutati (almeno per i primi tempi) di porre altre regole che il Vangelo stesso (a cominciare da S. Antonio Abate e da S. Francesco che resistette lungo tempo prima di dare regolamenti scritti dicendo, che la loro unica vera regola doveva essere "la vita del Vangelo di Gesù Cristo"). Come dire che l'unica cosa importante era rivivere la Parola e tutto il resto ne sarebbe seguito di conseguenza, come e quando Dio avesse voluto.

La stessa identica esperienza è stata fatta agli inizi da Chiara e dalla sue prime compagne e compagni. Per 5-6 anni l'unico impegno assoluto, l'unica norma che si erano dati fu quella di vivere con particolare intensità la Parola. Da tale vita della Parola scaturì un totale cambiamento di mentalità in loro e attorno a loro, una radicale rievangelizzazione del proprio essere e del proprio agire, in netta contestazione con la mentalità del mondo. Solo allora, nel '49, mentre si stava vivendo come Parola di Vita, il grido di Gesù: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?", che si era rivelata come "la parola per eccellenza, la Parola tutta spiegata", detta cioè da Gesù quando ha dato tutto di sé e quindi "ha detto" tutto di sé; solo allora sono avvenute quelle grandi rivelazioni da parti di Dio, che tutti più o meno conosciamo, ed è incominciato tutto, coi frutti che dopo più di cinquant'anni possiamo vedere. Ma per Chiara nulla è cambiato neppure ora: chiunque voglia seguirne la via, deve prima di tutto e al di là di tutto mettersi a vivere costantemente la Parola di Vita: poi il resto poco per volta seguirà…. Allo stesso vescovo Hemmerle Chiara chiese questo tirocinio dei cinque anni della Parola prima di ammetterlo come membro della Scuola Abba, che ha il compito appunto di approfondire tutti i contenuti del carisma dell'Opera.

Se si parte dal vivere la Parola, il più è fatto. Dice Chiara: "Se tu entri nel Vangelo ti trovi di colpo come sul crinale di una montagna. Già in alto quindi, già in Dio, anche se guardandoti a lato vedi che la montagna non è una montagna ma una catena di montagne e la vita per te è camminare lungo lo spartiacque fino alla fine". Vivere la "Parola di Vita" non è tanto un fare per raggiungere una perfezione lontana, ma un'apertura a lasciar fare Dio in noi. Proprio come l'atteggiamento caratteristico di Maria nell'annunciazione.

E il motivo di ciò è altrettanto chiaro quanto altissimo: le parole della Sacra Scrittura non sono semplici parole, neppure particolarmente sacre in quanto rivelate, suggerite da Dio stesso. Esse sono LA PAROLA; si identificano cioè col VERBO in persona. Leggiamo sul Vangelo: "Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato" (Gv. 17, 6-8). Leggendo questo brano nasce nel più profondo dell'anima l'impressione che le frasi: "la tua parola", "tutte le cose che mi hai dato", "le parole che tu hai dato a me", "io sono uscito da te" siano, in certo modo, sinonimi e cioè che le parole dette da Gesù siano Lui stesso, il Verbo pronunciato ab aeterno dal Padre. E’ una scoperta inebriante. Questo, direbbe Chiara, è "il capolavoro di Dio". Il Figlio, incarnandosi, si è fatto uomo, ma essendo Egli il Verbo, cioè la comunicazione del Padre nella Trinità, Egli, il solo Teo-logo, cioè l'unico che veramente può svelare i segreti di Dio e farci vedere il Padre, ha voluto incarnarsi anche in parole umane, che sono perciò presenza reale del Verbo stesso e possono comunicarcelo. In questo consiste il valore SACRAMENTALE della Parola divina. Essa è il segno visibile nel quale Dio comunica Se stesso al credente. La Parola non dice soltanto ciò che bisogna credere, fare e sperare, ma crea nello stesso tempo un rapporto personale con Gesù presente. Vivere la "Parola di Vita" è dunque un aprirsi alla comunione con Cristo che si dà all'uomo. E' la fonte permanente della mistica cristiana. Più precisamente, la Parola vissuta attualizza tra il Cristo e il credente il rapporto sponsale che esiste tra il Risorto e la Chiesa. Ora questo rapporto sottolinea proprio la donazione totale di sé all'altro:

La parola scritta è dunque veicolo della Parola, del Verbo. Naturalmente però davanti al Vangelo non basta l'attitudine intellettuale protesa a capire: è necessaria un'attitudine di fede, di adesione totale, perché nella parola è Gesù stesso che ci viene incontro. Paolo VI descriveva molto bene questa realtà: "Come si fa presente Gesù nell'anima? Attraverso il veicolo della comunicazione della Parola. Attraverso essa passa il pensiero divino, passa il Verbo, il Figlio di Dio fatto uomo. Si potrebbe dire che quando accettiamo che la Sua Parola venga a vivere dentro di noi, il Signore SI INCARNI dentro di noi" (Paolo VI alla parrocchia di S.Eusebio, 1967). Il Vangelo ce lo dice con grande chiarezza: "Se qualcuno mi ama, osserverà la mia Parola e mio Padre lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora in lui" (Gv. 14, 23). La Parola, essendo presenza di Dio, è un luogo di incontro con Gesù come l'Eucarestia. E' di nuovo Paolo VI che lo dice: "La Sua parola è un modo di presenza di Gesù fra di noi. E ha la caratteristica che dura, permane: mentre la presenza fisica svanisce ed è soggetta alle vicissitudini del tempo, la Parola permane" (ibid.). Insomma, la comunione con la Parola può e deve essere continua e ripetibile infinite volte nella giornata!

Evangelizzarsi dunque vuol dire impregnare esplicitamente di Vangelo la propria vita, la propria condotta quotidiana, facendo nostri i sentimenti, i criteri, gli atteggiamenti di Cristo, che egli stesso "trasferisce" in noi attraverso il contatto con la Parola. Poiché siamo chiamati ad "essere conformi all'immagine del Figlio" (Rm. 8, 29), in qualche modo dobbiamo avere la sua fisionomia, in qualche forma siamo già e siamo chiamati ad essere sempre più parole nella Parola.. Siamo chiamati a tradurre in vita una dimensione o un aspetto particolare del Vangelo (quello definito dal nostro disegno in Dio): a essere cioè piccoli "verbi incarnati". Per questo motivo si può dire che potrà entrare in cielo soltanto ciò che di noi si sarà trasformato in Parola di Dio incarnata. Tutto il resto sarà bruciato o dall'amore o attraverso al purgatorio. Si tratta di arrivare ad essere Parola viva, una Sacra Scrittura non di carta, ma di carne e ossa. Per questo Chiara ha sovente detto che, se per paradosso dovessero sparire tutte le Bibbie dalla terra, bisognerebbe poterle riscrivere parola per parola "leggendo" la vita dei singoli cristiani

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E questa trasformazione in noi si ottiene leggendo e "ruminando" (come si esprime S.Pacomio nella sua regola) ogni giorno, per tutto il giorno la Parola. Anche solo un frase della S. Scrittura: tanto, analogamente a quanto avviene per i frammenti eucaristici, ogni frase la contiene in sé tutta. Così realmente Essa riuscirà ad informare il comportamento della vita quotidiana, nella normalità dell'esistenza, ma con una mentalità rinnovata dal vangelo stesso.

Tutto il resto non potrà che seguire. Come è capitato per Chiara e i suoi primi compagni. Iniziando dallo scoprire come Parola "principe" quella dell'amore reciproco e la necessità di "condividere" i frutti che la Parola ha portato in noi, e facendo così nascere la comunione fino ad arrivare alla presenza di Gesù in Mezzo di cui parla Matteo, presenza che tutto trasforma, che crea intorno a noi la Chiesa e poco per volta tende a lievitare le stesse strutture umane "riportando il mondo a Cristo".