INDULGENZA

L'indulgenza "segno del dono totale della misericordia di Dio" è considerata "uno degli elementi costitutivi dell'evento giubilare" (IM,9). Come chiaramente afferma il Papa "la tradizione degli anni giubilari è legata alla concessione di indulgenze in modo più largo che in altri periodi" (TMA,14). Paolo VI, già nel 1966, nella lettera inviata in occasione della celebrazione dell'indulgenza alla Porziuncola, proponeva questa prospettiva: "Le indulgenze non costituiscono un espediente facile per evitare la necessaria penitenza per i peccati, ma offrono piuttosto un conforto che i singoli fedeli, umilmente consci della loro debolezza, trovano nel corpo mistico di Cristo, il quale coopera alla loro conversione con la carità, con l'esempio e con la preghiera" (Lettera Sacrosanta Portiuncolae del 14 luglio 1966). T. Citrini descrive il ruolo della chiesa nell'amministrare le indulgenze con questa affermazione: "L'indulgenza non si chiede alla chiesa, ma con la chiesa e nella chiesa si impara a chiederla a Dio" (Osservatore Romano del 17.3.1999). E' Cristo stesso che continua nel suo Corpo mistico ad essere l'Indulgenza fatta carne e storia (Tettamanzi, La dimensione ecclesiale del giubileo )

Definizione.

Va notato l'uso linguistico. In passato si parlava prevalentemente delle indulgenze (al plurale). Paolo VI nella Indulgentiarum doctrina (1967) usa ancora il plurale. La lettera apostolica Tertio millennio adveniente (1994), non parla che per inciso dell'indulgenza. La bolla di indizione dei Grande Giubileo dell'Anno 2000, Incarnationis mysterium, (1998) usa solo e sempre il singolare, indulgenza.

Quest'ultimo documento intende l'indulgenza come "manifestazione della pienezza della misericordia del Padre, che a tutti viene incontro nel suo amore, espresso in primo luogo nel perdono delle colpe" (IM 11). Ora "è precisamente attraverso il ministero della Chiesa che Dio espande nel mondo la sua misericordia mediante quel prezioso dono che, con nome antichissimo, è chiamato "indulgenza" (Ivi). In senso stretto l'indulgenza presuppone "l'avvenuta riconciliazione con Dio e riguarda le conseguenze del peccato dalle quali è necessario purificarsi" (Ivi). Essa riguarda quindi un ambito ben delimitato nel quale si manifesta e opera "il dono totale della misericordia di Dio" (Ivi). "Con l'indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa" (Ivi).

"L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativa mente dispensa e applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi" (Indulgentiarum doctrina norma n. 1).

"Originariamente indicava il condono della penitenza pubblica imposta dalla Chiesa per un determinato periodo di tempo (di qui il computo in anni e giorni). Oggi designa la promessa di una particolare intercessione della Chiesa affinché Dio rimetta la 'pena temporale' dei peccati già perdonati quanto alla colpa".

Fondarnenti biblici.

La dottrina dell'indulgenza non discende da un testo biblico in particolare ma si riallaccia "ad alcune verità bibliche, a) l'idea che con il perdono di una colpa, non sono necessariamente eliminate anche le sue conseguenze e che può essere richiesta una severa penitenza; b) la convinzione che la chiesa è una comunione solidale, in cui si registrano reciproci influssi in fatto di colpa e di grazia" (G. Koch 345).

Prassi e dottrina dell'indulgenza nella storia.

La prassi e la dottrina dell'indulgenza acquistano una precisa configurazione solo a partire dal secolo XI° ma affondano le loro radici nella storia del sacramento della penitenza del primo millennio.

Fin dall'inizio la Chiesa è convinta che "la cancellazione di una colpa dinanzi a Dio non fa scomparire le sue conseguenze negative, ma impone piuttosto di superarle faticosamente con opere di penitenza" (G. Koch 346).

In secondo luogo La Chiesa è convinta di poter efficacemente accompagnare il penitente nel suo cammino penitenziale sia come intera comunità sia attraverso i suoi membri migliori (martiri, confessori, monaci, ministri..) per facilitarlo e accelerarlo e persino abbreviarlo, mai per sostituirlo. Quando ciò avvenne (al tempo della penitenza antica e di quella tariffata) fu considerato un abuso.

Nel frattempo si prese coscienza del valore infinito e inesauribile dell'espiazione e dei meriti di Cristo e del valore sovrabbondante delle preghiere e delle buone opere di Maria SS. e dei santi. E' ciò che in termini cosificanti venne definito "tesoro della chiesa" e oggi, in termini personalistici, "la solidarietà penitenziale della comunione dei santi" .

Si venne poi alla distinzione tra indulgenza plenaria (un aiuto in grado di rimediare a tutte le pene temporali dovute ai peccati già perdonati) e l'indulgenza parziale. Per meglio precisare l'entità di quest'ultima la si equiparò all'intensità soddisfattoria procurata dalla penitenza canonica eseguita per un certo periodo di tempo (giorni, mesi, anni). Da qui la dicitura, perlomeno equivoca, di 40 giorni, tre anni di indulgenza, ecc.. L'indulgenza fu anche applicata ai defunti e prese il nome, in questo caso, di suffragio.

La prassi dell'Indulgenza, in origine strettamente connessa con il sacramento della penitenza, fu separata da esso a partire dal sec. XIII e la sua concessione venne riservata ai papi. Nel tardo medioevo degradò a fonte di denaro con i gravi abusi che ne conseguirono. Non sempre accolta con favore, già in precedenza fu avversata da Wyclif, Huss e soprattutto poi da Lutero. Il magistero della Chiesa cattolica la difese, ne corresse gli abusi ma senza spiegarne la natura teologica. Paolo VI nel 1967 ha riformulato la dottrina delle indulgenze e ne ha riformata la prassi con il documento Indulgentiarum doctrina.

Dottrina

Per comprendere la prassi e la natura dell'indulgenza nel senso più ristretto occorre tener conto della natura del peccato e delle sue conseguenze, del perdono di Dio, della penitenza o soddisfazione e, soprattutto, della realtà luminosa della Comunione dei santi.

Molti si domandano: se Dio perdona veramente hanno ancora un senso la soddisfazione e l'indulgenza?

"Il peccato porta con sé una duplice conseguenza: in primo luogo conduce alla rottura con Dio e in tal modo alla perdita della vita eterna (cosiddetta pena eterna del peccato o colpa); in secondo luogo il peccato corrompe il legame dell'uomo con Dio e la vita degli uomini e della comunità umana (cosiddetta pena temporale del peccato o semplicemente pena", così afferma il Catechismo Cattolico degli adulti della Conferenza episcopale tedesca.

Il termine pena - certamente infelice - non deve far pensare ad un castigo positivamente ed esteriormente comminato, inflitto da Dio ma a ciò che consegue dal peccato stesso, al contraccolpo dei peccati. Pertanto quelle che un tempo venivano denominate "pene temporali" designano le "conseguenze dolorose del peccato", le rovine provocate nel peccatore stesso e nel suo ambiente.

"Ogni peccato, infatti, causa una perturbazione dell'ordine universale, che Dio ha disposto nella sua ineffabile sapienza infinita carità e la distruzione di beni immensi sia nei confronti dello stesso peccatore che nei confronti della comunità umana".

"Con la remissione della colpa del peccato e con la restituzione della comunione con Dio è congiunta la remissione del castigo eterno del peccato. Ma restano ancora le conseguenze temporali del peccato". Il perdono di Dio non è né un'amnistia che lasci il peccatore graziato tale e quale, né comporta una trasformazione istantanea e quasi automatica del peccatore stesso. Le distorsioni introdotte nel suo essere dal peccato, le ferite, le conseguenze psicologiche e le cattive abitudini contratte non vengono magicamente annullate. Smettere di bere non cancella puramente e semplicemente le conseguenze dell'alcolismo. Così pure gli effetti negativi, gli scandali dati non cessano di essere operanti e le lacune delle omissioni non vengono colmate. Il penitente è perciò chiamato a collaborare consapevolmente e liberamente con il dinamismo riconciliatore di Dio affinché esso permei tutta la sua persona, penetri negli strati più reconditi del suo essere, sani le sue ferite, rafforzi la sua volontà, rettifichi il suo comportamento e, al di fuori della sua persona, risani il mondo, cosicché la vittoria della grazia sia testimoniata e i cattivi esempi riscattati.

Per la piena remissione e riparazione dei peccati è necessario non solo che l'amicizia con Dio venga ristabilita, "ma anche che tutti i beni sia personali che sociali siano pienamente reintegrati o con la volontaria riparazione che non sarà senza pena e senza fatica o con l'accettazione delle pene stabilite da Dio". Oltre che dalla colpa, occorre impegnarsi per la liberazione dalle conseguenze dei peccati. Il peccato infatti, oltre che generare una colpa, lascia dietro di sé degli effetti nocivi da cui occorre liberarsi con un itinerario che riporti pienamente l'immagine di Dio andata perduta ed insieme riporti la persona nella sua capacità di vincere il male con il bene.

Per questa ragione la Chiesa, nel suo ministero della riconciliazione della penitenza postbattesirnale, ha sempre richiesto ai penitenti, in particolare nella penitenza antica, la cosiddetta penitenza o soddisfazione, cioè una prestazione operosa e dolorosa. Oggi essa è ridotta a proporzioni quasi solo simboliche, ma i recenti documenti dei magistero tornano a chiedere una soddisfazione commensurata alla natura e alla gravità del male commesso in modo che rechi davvero un rimedio al peccato, emendi la vita e ripari i danni arrecati (cfr. Nuovo Rito della Penitenza n. 6).

La soddisfazione è chiamata a svolgere una funzione non punitiva bensì medicinale e rieducativa. Essa presuppone una concezione dinamica e attiva della natura umana, una visione della salvezza come evento che trasforma progressivamente l'uomo e la chiara convinzione che ogni possibilità umana deriva da Cristo ed è dono suo,

La soddisfazione, nell'ottica cattolica, evidenzia il rispetto di Dio per l'uomo elevato a libero, per quanto subordinato, collaboratore della sua salvezza. Cristo opera il rinnovamento del penitente dimorando in lui, attivandone le energie e valorizzandone le sofferenze, non volendo compiere senza di lui il suo rinnovamento.

Concretamente le penitenza o soddisfazione consiste nell'"accettare dalla mano di Dio le conseguenze temporali del peccato sia con la paziente sopportazione delle sofferenze e delle fatiche della vita sia con la consapevole accettazione della morte. Inoltre con le opere dì misericordia e di carità, con la preghiera e con le varie forme espressive della penitenza così da potersi pienamente svestire del vecchio uomo e indossare l'uomo nuovo ".

"Il sacerdote che celebra il sacramento della penitenza può imporre, secondo il suo giudizio pastorale, una pena non soltanto a coloro sui quali non ha ancora pronunciato le parole dell'assoluzione ma anche a quanti ha già assolto. L'imposizione della pena è attestata dalla sacra Scrittura e dalla Tradizione e ha lo scopo dì migliorare spiritualmente il peccatore e proteggerlo da una ricaduta nello stesso peccato. Questo significa che la pena non è di natura punitiva quanto piuttosto medicinale (cfr. Basilio il Grande, canone 65)".

Se la dottrina della pena temporale e della penitenza o soddisfazione è la premessa per comprendere le indulgenze, la loro natura propria va ricercata nella realtà consolante della comunione dei santi di cui esse non sono altro che un'espressione particolare ben delimitata.

Per disposizione di Dio, regna tra gli uomini "una solidarietà soprannaturale per cui il peccato di uno nuoce anche agli altri come la santità dì uno reca beneficio a tutti. In tal modo i fedeli cristiani si prestano vicendevolmente gli aiuti per conseguire il loro fine soprannaturale". La solidarietà soprannaturale positiva ha in Cristo il suo principio, il suo fondamento e il suo esemplare maggiore e più perfetto. Il "per noi" di Cristo fonda a causa il nostro essere "gli uni per gli altri". In Cristo e per mezzo di Cristo la vita dei figli di Dio è collegata alla vita di tutti gli altri nell'unità dei corpo mistico di Cristo così da formare come un sola mistica persona. Questo è l'antichissimo dogma della comunione dei santi.

Di fatto i fedeli cristiani, sulle orme di Cristo si sono sempre sforzati di aiutarsi vicendevolmente nella via che va al Padre, mediante la preghiera, lo scambio di beni spirituali e l'espiazione penitenziale.

L'insieme di questi beni derivanti da tutti e a disposizione di tutti va sotto il nome tradizionale di tesoro della Chiesa che "non è da immaginare come una somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come il valore infinito e inesauribile, che presso Dio hanno le espiazioni e i meriti dì Cristo Signore, ... è lo spesso Cristo redentore in cui vivono le soddisfazione e i meriti della sua redenzione. Ad esso appartiene anche il valore incommensurabile e sempre nuovo che rivestono presso Dio le preghiera e le buone opere della beata Vergine Maria e di tutti i santi".

Il cristiano non è mai solo; in quanto membro dei corpo di Cristo appartiene alla Chiesa come comunità di grazia. "In Cristo tutti i cristiani sono una grande e solidale comunità. "Se un membro soffre, tulle le membra soffrono" cfr. (1 Cor. 12,26)".

Tutta la vita dei credente si svolge nella comunione dei santi che significa comunione dei credenti tra loro in Cristo e comunicazione delle cose sante. Tutto il cammino penitenziale, dai primi timidi inizi fino alla fine avviene nella Chiesa e con il sostegno della Chiesa. La Chiesa prega per la conversione dei peccatori, li accompagna e li sostiene durante tutto il loro cammino fino alla riconciliazione.

Anche dopo che il penitente ha ottenuto il perdono di Dio, Cristo, e i fratelli che sono in Cristo, continuano a sostenere il suo cammino di purificazione e di santificazione. "Il cristiano che si purifica e si santifica con l'aiuto della grazia di Dio non è un isolato, ecco la grande verità". L'indulgenza esprime il perdurare della comunione dei santi anche nella fase di guarigione e di purificazione dagli effetti devastanti del peccato. L'indulgenza riguarda l'ultima fase del cammino penitenziale, la convalescenza spirituale.

Domandarsi se l'indulgenza come suffragio è estensibile anche ai defunti equivale a chiedersi se la comunione dei Santi permane anche a favore dei fedeli defunti. La risposta positiva della fede cattolica è splendidamente formulata nel Concilio (Lumen Gentium n. 49) citata opportunamente dalla Indulgentiarum Doctrina di Paolo VI al n. 5: "Tutti comunichiamo nella stessa carità verso Dio e verso il prossimo ... Infatti coloro che sono di Cristo e ne possiedono lo Spirito formano tutti insieme una sola chiesa, congiunti fra di loro in Cristo. L'unione quindi dei viatori con i fratelli morti nella pace di Cristo non è per nulla interrotta, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali", anzi sussiste per ognuno la "possibilità di comunicare in Cristo con i propri cari già strappati dalla morte". "Fin dagli inizi dei cristianesimo, la chiesa pellegrinante ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti, mostrando così dì credere in quella comunione che unifica tutto il corpo mistico di Gesù Cristo.

"Ragion per cui tra i fedeli, che già hanno raggiunto la patria celeste o che stanno espiando le loro colpe nel purgatorio, o che ancora sono pellegrini sulla terra, esiste certamente un vincolo perenne di carità e un abbondante scambio di tutti i beni… affinché possano essere introdotti nel pieno godimento dei beni della famiglia di Dio" (Ind. Doctrina 5).

Anche i luterani, a partire dalla comunione vigente nel corpo di Cristo non negano la possibilità di una intercessione per i defunti: "La comunione dei credenti, la chiesa, non viene spezzata dalla morte. Come nelle vita anche nella morte il cristiano è legato alla comunità. Nella preghiera la comunità intercede presso Dio per il defunto, implora per lui il perdono dei peccati, l'accoglimento presso di lui e la vita eterna. Se in alcune comunità il morto viene benedetto nella tomba, ciò è un'espressione evidente di unione oltre la morte. Questa benedizione ne è un'accentuazione" (Evangelische Erwachsenenkatechismus, Gotersioh, 1975, p. 539).

L'uso dell'indulgenza fa comprendere ai fedeli:

1. "La serietà del peccato e delle sue conseguenze tanto che con le proprie forze non sarebbero capaci di riparare al male che con il peccato hanno arrecato a se stessi e a tutta la comunità, e perciò sono stimolati ad atti salutari di umiltà.

2. Inoltre dice loro quanto intimamente sono uniti in Cristo gli uni con gli altri e quanto la vita soprannaturale di ciascuno possa giovare agli altri, affinché anche questi più intimamente posano essere uniti al Padre" (Ind. Doctrina 9)

3. La fiducia e la speranza in una piena riconciliazione con Dio Padre e nel grande aiuto che ci proviene anzitutto da Cristo e, in lui, da quelli che sono di Cristo e che formano la comunione dei santi.

4. La necessità di acquisire le disposizioni positive e operose per cui l'elargizione gratuita della solidarietà salvifica giunga effettivamente ad essi e produca tutti suoi frutti. Per entrare nell'indulgenza "si richiede, da una parte che le opere prescritte siano compiute, dall'altra che il fedele abbia le necessarie disposizioni: che cioè ami Dio, detesti il peccato, riponga la sua fiducia nei meriti di Cristo e creda fermamente nel grande aiuto che gli viene dalla comunione dei santi (Indulgentiarum doctrina 10).

Ruolo dei pastori

E' dottrina definita che la Chiesa ha la piena potestà di accordare l'indulgenza e che essa ha effetti salutari (Denzingher-Hunermann 1835).

"Non è da dimenticare inoltre che acquistano le indulgenze i fedeli che si sottomettono docilmente ai legittimi Pastori della Chiesa e soprattutto al successore di Pietro, ai quali il Salvatore ha affidato il compito di pascere e di governare la sua Chiesa" (Ind. Doctrina 10): alla guida della chiesa magistero spetta la regolamentazione della solidarietà soprannaturale. La piena potestà di accordare le indulgenze viene interpretata non più come intervento giurisdizionale ma invece come preghiera autorevole di tutta la Chiesa unita al suo capo Cristo che aiuta il peccatore a superare le conseguenze del peccato mediante la conversione interiore.

Natura propria e limiti dell'indulgenza

L'indulgenza non è affatto una sostituzione della (virtù della) penitenza. Non costituisce un espediente facile per evitare la necessaria penitenza che invece funge da presupposto (non si dà indulgenza a chi non è debitamente pentito).

L'indulgenza costituisce soltanto uno dei mezzi dì purificazione, non il principale, da subordinare ai sacramenti e mantenendo la preminenza della carità. "L'uso delle indulgenze.... non intende assolutamente diminuire il valore degli altri mezzi di santificazione e di purificazione e in primo luogo dei sacrificio della Messa e dei Sacramenti, specialmente dei sacramento della Penitenza. Né vuole diminuire l'importanza di quegli aiuti abbondanti che sono i sacramentali e delle opere di pietà, di penitenza e di carità".

La teologia oggi cerca dì intensificare di nuovo il rapporto tra sacramento della penitenza e indulgenze respingendo l'idea errata che esse siano la via più facile per il pieno superamento del peccato.

Inoltre i mezzi di santificazione e di purificazione sono tanto più efficaci "quanto più strettamente il fedele si unisce a Cristo capo e al corpo delta Chiesa con la carità" (Ind. Doctrina 11). Anche nelle indulgenze si afferma la preminenza della carità in quanto "non possono essere acquistate senza una sincera conversione e senza l'unione con Dio, a cui si aggiunge il compimento delle opere prescritte" (ivi).

L'indulgenza non rende quindi superflui gli altri mezzi di purificazione; anzi li suppone e li esige. Essa si inserisce nell'ordine della carità e della solidarietà salvifica, e conferma la preminenza della carità anche nelle opere prescritte.

L'indulgenza propone, ma non impone l'indulgenza. Esso va utilizzata liberamente non essendo un mezzo di purificazione strettamente necessario né il migliore né il più efficace. La Chiesa pur raccomandando di tenerla nella dovuta stima "lascia tuttavia che ciascuno usi dì questo mezzo di purificazione e di santificazione nella santa liberà dei figli di Dio; mentre incessantemente ricorda loro quelle cose che in ordine al conseguimento della salvezza sono da preferirsi perché necessarie o migliori o più efficaci" (Ind. Doctrina 11).

Decisivi per entrare nella carità solidale e nella carità che genera conversione e opere nuove come presupposto per l'indulgenza non sono gli oggetti e i luoghi bensì le disposizioni personali e le azioni compiute: "più chiaramente appaia che sono indulgenziate le azioni compiute dai fedeli e non gli oggetti o i luoghi, che sono solamente l'occasione per l'acquisto delle indulgenze" (ivi 11).

Le indulgenze vanno proposte evitando abusi e illeciti profitti.

La Chiesa riconosce che "nell'uso delle indulgenze si infiltrarono talvolta degli abusi, e perché a causa di concessioni non opportune e superflue veniva avvilito il ministero della chiesa e la soddisfazione penitenziale veniva indebolita: infatti a causa di "illeciti profitti" veniva infamato il nome di indulgenza".

Pur biasimando e correggendo tali abusi la Chiesa ritiene che l'uso delle indulgenze debba essere conservato e si oppone a quanti le considerano inutili e negano che la Chiesa possa concederle. L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla "pena" dovuta ai peccati. (Ind. Doctrina 8).

La riforma di Paolo VI ha mantenuto la distinzione tra indulgenza parziale e indulgenza plenaria. "Per quanto riguarda l'indulgenza parziale è stata abolita l'antica determinazione di giorni o di anni: risulta quindi determinante il fervore del fedele e l'importanza dell'opera o degli impegni compiuti ai fini della remissione della "pena temporale" significata e comunicata dall'intervento indulgenziale dell'autorità ecclesiastica (cfr. Indulgentiarum doctrina 12).

Il numero delle indulgenze plenarie è stato convenientemente ridotto "perché il fedele ne abbia maggiore stima e possa acquistarle con le debite disposizioni" (ivi). Occorre infatti "un congruo spazio di tempo per prepararsi convenientemente all'acquisto dell'indulgenza plenaria" (ivi).

"Per acquistare l'indulgenza plenaria è necessario eseguire l'opera indulgenziata e adempiere tre condizioni: confessione sacramentate, Comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del sommo Pontefice. Si richiede inoltre che sia escluso qualsiasi affetto al peccato anche veniale" (Indulgentiarum doctrina Norma 7).

"Un problema particolare si pone a riguardo della cosiddetta indulgenza plenaria, dunque della remissione di tutte le conseguenze temporali dei peccati. In vista di tale perfezione, l'indulgenza presuppone una disposizione così perfetta che normalmente si verificherà ben di rado: per esempio nell'ora della morte, quando un cristiano rende a sua vita interamente nelle mani di Dio, suo creatore e salvatore. Qui hanno il loro posto il sacramento dell'unzione degli infermi e l'indulgenza plenario in punto di morte" (Catechismo Cattolico degli adulti della Conferenza Episcopale Tedesca p. 407).

 

A titolo riassuntivo viene proposto quanto afferma il Catechismo degli adulti al n. 710 a proposito dell'indulgenza:

"I peccati non solo distruggono o feriscono la comunione con Dio, ma compromettono anche l’equilibrio interiore della persona e il suo ordinato rapporto con le creature. Per un risanamento totale, non occorrono solo il pentimento e la remissione delle colpe, ma anche una riparazione del disordine provocato, che di solito continua a sussistere. In questo impegno di purificazione il penitente non è isolato. Si trova inserito in un mistero di solidarietà, per cui la santità di Cristo e dei santi giova anche a lui. Dio gli comunica le grazie da altri meritate con l’immenso valore della loro esistenza, per rendere più rapida ed efficace la sua riparazione. La Chiesa ha sempre esortato i fedeli a offrire preghiere, opere buone e sofferenze come intercessione per i peccatori e suffragio per i defunti. Nei primi secoli i vescovi riducevano ai penitenti la durata e il rigore della penitenza pubblica per intercessione dei martiri e dei testimoni della fede sopravvissuti ai supplizi. Progressivamente è cresciuta la consapevolezza che il potere di legare e sciogliere, ricevuto dal Signore, include la facoltà di liberare i penitenti anche dei residui lasciati dai peccati già perdonati, applicando loro i meriti di Cristo e dei santi, in modo da ottenere la grazia di una fervente carità. I pastori concedono tale beneficio a chi ha le dovute disposizioni interiori e compie alcuni atti prescritti. Questo loro intervento nel cammino penitenziale è la concessione dell’indulgenza. Si ha l’indulgenza "plenaria" quando la liberazione è totale; altrimenti si ha l’indulgenza "parziale". Per ricevere l’indulgenza plenaria si richiedono: una disposizione di distacco affettivo da qualsiasi peccato, anche veniale; l’attuazione di un’opera indulgenziata; il soddisfacimento, anche in giorni diversi, di tre condizioni, che sono la confessione sacramentale, la comunione eucaristica e la preghiera secondo l’intenzione del papa. Le indulgenze, plenarie e parziali, possono essere applicate ai defunti a modo di suffragio.La pratica delle indulgenze non pregiudica il valore di altri mezzi di purificazione, come anzitutto la santa Messa e l’offerta della propria sofferenza. Costituisce anzi un incoraggiamento a compiere opere buone a vantaggio di tutti".

 

Il Catechismo degli adulti inoltre - proprio accanto al capitolo dell'indulgenza - rinvia al n. 944 che propone al cristiano un percorso di disciplina interiore e di purificazione, dimensione essenziale del cammino spirituale:

"Dalla preghiera riceve energia l’impegno assiduo di purificazione, dimensione essenziale del cammino spirituale. Nel nostro cuore si scontrano il desiderio del bene e le inclinazioni disordinate, lo Spirito di Dio e l’egoismo: "La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste" (Gal 5,17). Anche dopo la remissione dei peccati rimangono l’oscurità dell’intelligenza, la debolezza della volontà, le inclinazioni ribelli alla ragione. Occorre un lungo e faticoso esercizio per acquistare equilibrio interiore e autentica libertà. In un certo senso, liberi non si nasce, si diventa.

La purificazione della mente consiste nel coltivare una conoscenza oggettiva e una riflessione rigorosa, nel maturare salde convinzioni e idee guida capaci di risvegliare l’amore a Dio, nel rafforzare la volontà compiendo il bene anche con sacrificio.

Lucida consapevolezza e ferma volontà sono necessarie per controllare l’affettività e orientarla al bene. I sentimenti sono risonanze attive della coscienza ai rapporti vitali con se stessi, con gli altri, con la natura e con Dio. Si riducono in definitiva a una reazione positiva di simpatia nella triplice modalità dell’amore, del desiderio e della gioia, e a una reazione negativa di avversione nelle modalità dell’odio, del timore e della tristezza o della collera. Sono energie immense, non da soffocare, ma da finalizzare secondo la retta ragione, assumendole nelle varie virtù, in modo da poter compiere il bene spontaneamente. Così disciplinati, i sentimenti ci rendono agevoli le corrette relazioni interpersonali, ci consentono di valutare e decidere con saggezza, di rimanere sereni nelle contrarietà.

A proposito di contrarietà, il cristiano è chiamato a spingersi molto lontano: accettare le sofferenze che capitano, anche quelle ingiuste; non tanto umiliarsi, quanto lasciarsi umiliare; guarire dai vari rancori e riconciliarsi con tutti e con tutto.

La disciplina dei sentimenti si integra con la disciplina del corpo. In concreto, quest’ultima comprende i seguenti elementi: sobrietà nel cibo, nell’abbigliamento, nelle comodità, nei consumi superficiali e banali; controllo degli sguardi e delle conversazioni; rinuncia agli interessi inutili e pericolosi; dominio dell’istinto sessuale.

Questo lavoro complesso e paziente di purificazione va verso una progressiva unificazione e dilatazione interiore. Non si tratta di fare il vuoto o di annullare se stessi, alla maniera delle tradizioni ascetiche orientali, ma di acquistare il dominio di sé, per essere veramente liberi di donarsi a Dio e ai fratelli, per conformarsi sempre più a Cristo crocifisso e risorto.

La carità non ci rende indifferenti, ma capaci di amare tutti appassionatamente in Dio; non ci sottrae alla storia, ma ci immerge in essa. Per questo insieme alla preghiera e alla disciplina ascetica, dobbiamo coltivare un atteggiamento di accoglienza e di dedizione verso il prossimo. Di qui la necessità di gesti frequenti e generosi di premurosa attenzione, di servizio, di condivisione e di perdono. La crescita della carità è dono dello Spirito Santo; ma noi dobbiamo disporci ad essa con atti fervorosi di amore e con l’esercizio sempre più esigente delle virtù umane, che danno consistenza e corpo alla carità.

La santità cristiana si incarna nella concretezza della vita quotidiana. Porta a far bene tutto quello che si fa, a concentrarsi sul momento presente, a non fare l’abitudine alle cose ordinarie. Una grande santità può maturare attraverso le piccole cose di ogni giorno".

La riflessione sulle indulgenze va collocato all'interno di un dialogo costante con Dio, come è proposto, ancora dal Catechismo degli adulti al n. 841 e seguenti:

"Dio "è tutto amore; con tutto se stesso ama e vuole essere amato; perciò vorrebbe che i suoi figli fossero interamente trasformati in lui per amore" (Beata Angela da Foligno). La santità consiste nella carità e la carità, nel dialogo con Dio, può assumere e valorizzare qualsiasi realtà. Per questo è una possibilità reale e un appello per tutti. Non occorrono esperienze straordinarie di conoscenza, di contemplazione, di ascesi e di fuga dal mondo. Basta la vita ordinaria: preghiera, relazioni familiari e sociali, lavoro, riposo, sofferenza, apostolato. Dio ci chiama in ogni cosa, continuamente. È presente come creatore che comunica l’essere e la vita, come salvatore e Padre che tutto fa cooperare per il bene dei suoi figli. Tutto è voluto o almeno permesso da lui. Ogni persona, cosa o avvenimento è una sua parola, un dono e un compito. Da parte nostra dobbiamo rispondere a Dio in ogni situazione: cercare sempre la sua volontà rivolgendo spesso a lui anche un’attenzione consapevole; accettare, come una possibilità di bene che viene offerta, se stessi, la propria storia, gli altri, le realtà della natura, gli eventi piccoli o grandi, favorevoli o tristi; fare il bene "con cura, spesso e con prontezza", non come coloro che "mangiano senza gusto, dormono senza riposare, ridono senza gioia, si trascinano invece di camminare" (San Francesco di Sales).La vita intera diventa dialogo con Dio, preghiera diffusa, atto di amore continuato. Ogni esperienza diventa cooperazione al suo regno; si unifica e si integra in un solo progetto. Le energie dell’intelligenza, della volontà, dell’affettività, della corporeità si orientano sempre di più a lui. Si realizza un’esperienza di Dio incarnata nella storia, una comunione sempre più perfetta.

L’uomo nuovo, che cresce nella santità, è anche santificatore. Amando gli altri in Dio e con il suo stesso amore, edifica la comunità cristiana, promuove una convivenza civile giusta e pacifica, con un tenore di vita più umano.Purtroppo per molti la religione resta confinata sullo sfondo. La vita quotidiana segue la logica del piacere e dell’interesse immediato. Si fa riferimento a Dio solo in alcuni momenti marginali, specialmente nelle difficoltà. Molti considerano la spiritualità un lusso, utile al più per chi ne sente il bisogno. Non mancano però tendenze contrastanti: fioriscono numerosi movimenti di spiritualità; è avvertita largamente un’esigenza di interiorità. L’esperienza religiosa, se è autentica, fa sentire il suo benefico influsso in ogni ambito. L’interiorità si incarna; la presenza nel mondo si spiritualizza. La vocazione alla santità si esprime in molte vocazioni particolari; è una possibilità reale offerta a tutti, perché ogni realtà sia liberata e ricondotta a Dio".

 

ALCUNE INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE PER APPROFONDIRE

 

 

 

(Appunti di una conferenza del Prof. Don Carlo Collo con commenti ed integrazioni)

 

 

 

 

 

 

 

 

UNA ANALOGIA SIGNIFICATIVA

L’INDULGENZA DELLA PORZIUNCOLA

La minuscola cappella di s. Maria degli Angeli (attualmente inglobata nella più grande basilica, in località detta Porziuncola, deve la sua notorietà all’arrivo di s. Francesco: da allora la storia della cappella campestre si fonde con molta parte della biografia del santo e con le vicende del francescanesimo. Dopo l’esperienza del restauro di san Damiano e della chiesa (scomparsa) di s. Pietro "Francesco si trasferì nella località chiamata la Porziuncola, dove c’era un’antica chiesa in onore della B.V. Madre di Dio, ormai abbandonata e negletta. Vedendola in quel misero stato, mosso a compassione e per la grande devozione alla Madre di ogni bontà, il santo vi stabilì la sua dimora e terminò di ripararla nel terzo anno della sua conversione" (1 Cel. 21:355). Era l’anno 1206 e Francesco aveva 23 anni.

"Un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli apostoli di predicare, il santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza, subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: "Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore". S’affretta allora il padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il santo ammonimento; non sopporta indugio nel mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una corda. Da quell’istante confeziona per sé una veste che riproduce l’immagine della croce, per tenere lontane le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi e peccati, e talmente povera e grossolana da rendere impossibile al mondo di invidiargliela. Con altrettanta cura e devozione si impegnava a vivere gli altri insegnamenti uditi. Egli infatti non era mai stato un ascoltatore sordo del Vangelo, ma, affidando ad una encomiabile memoria tutto quello che ascoltava, cercava con ogni diligenza di eseguirlo alla lettera" (1 Cel. 22:356-357).

Questa pagina indica l’essenza del carisma francescano ed il momento privilegiato dell’azione dello Spirito Santo, totalmente corrisposto da Francesco.

Inizia così in lui la testimonianza e l’annuncio della vita nuova "edificando tutti con la semplicità della parola e la magnificenza del suo cuore". Ed ecco la turba poverella che inizia la sfilata: "frate Bernardo, poi Egidio… fino al settimo Filippo. Il beato padre Francesco, ricolmo ogni giorno di più della grazia dello Spirito Santo, si adoperava a formare con grande diligenza e amore i suoi nuovi figli, insegnando loro con principi nuovi, a camminare rettamente sulla via della santa povertà e della beata semplicità… I primi frati, assetati com’erano del bene del prossimo, desideravano che ogni giorno venissero nuove anime ad accrescere il loro numero per trovarvi insieme salvezza" (1 Cel. 23:358; 24:360; 26:363; 27:364). Qui, nella notte tra il 27 e 28 marzo 1211 ebbe luogo la vestizione di S. Chiara e la conseguente fondazione delle Clarisse.

Il discepolo San Bonaventura poté scrivere più tardi: "Mentre nella chiesa della Vergine Madre di Dio Francesco dimorava e supplicava Colei che concepì il Verbo pieno di grazia e di Verità, la Madre della misericordia ottenne con i suoi stessi meriti che lui stesso concepisse e partorisse lo spirito della verità evangelica (LegM. 3,1:1051)".

Questo luogo, anche per i successivi eventi di cui fu testimone, è stato amato da s. Francesco più di ogni altro e comandò ai frati di veneralo con particolare devozione e di custodirlo come specchio dell’Ordine. Scrive ancora Tommaso da Celano: "Sapeva certamente che il Regno di Dio è in ogni parte della terra e credeva veramente che ovunque i fedeli possono ricevere i suoi doni; ma l’esperienza gli aveva insegnato che quel luogo che conteneva la chiesetta di Santa Maria della Porziuncola era favorito da grazie celesti più abbondanti. Pertanto diceva spesso ai frati: "Guardatevi dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte, rientratevi dall’altra, perché questo è luogo santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravamo pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicato; qui ha illuminato con la sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che ha chiesto, e chi lo profanerà sarà maggiormente punito. Perciò, figli miei, stimate degno di ogni onore questo luogo, dimora di Dio, e con tutto il vostro cuore, con voce esultante, qui, inneggiate al Signore"" (1 Cel. 106:503).

In questo ambito di vita soprannaturale e di annuncio evangelico venne a San Francesco l’ispirazione di chiedere al Papa l’indulgenza che fu poi detta della Porziuncola. Lo riferisce il Diploma di fr. Teobaldo, vescovo di Assisi, uno dei documenti più diffusi.

San Francesco è a S. Maria degli Angeli; di notte gli è rivelato che vada a Perugia dal sommo Pontefice Onorio III, per impetrare un’indulgenza per la cappella della Porziuncola, da lui restaurata. Ci va l’indomani, accompagnato da fra Masseo di Marignano. Il papa, dopo aver dispensato san Francesco dal tradizionale e obbligatorio compenso burocratico per il privilegio richiesto, domanda: "Per quanti anni vuoi questa indulgenza?". Francesco risponde: "Beatissimo Padre, piaccia alla Santità vostra non dare a me anni, ma anime. Io voglio, se vi piace, che chiunque verrà a questa chiesa confessato e contrito, sia assolto da tutti i suoi peccati, da colpa e da pena, in cielo e in terra, dal dì del battesimo infino al dì e all’ora ch’entrerà nella detta chiesa". All’obiezione del papa ("Non è usanza della corte romana accordare un’indulgenza simile"), il santo risponde: "Quello che io domando, non è da parte mia, ma da parte di Colui che mi ha mandato, cioè il Signore nostro Gesù Cristo". E il papa conclude: "Piace a Noi che tu l’abbia".

Fin dall’inizio la riflessione dell’Ordine francescano ha messo in evidenza la consonanza tra Porziuncola come luogo del ritrovato stato di vita evangelica promosso ed irradiato da Francesco e Porziuncola come luogo di indulgenza.

L’indulgenza prese piede ben presto. Fra Pietro di Giovanni Olivi, già nel 1279, alla questione sull’indulgenza: "E’ conveniente credere che sia stata concessa un'indulgenza plenaria nella chiesa di S. Maria degli Angeli, nella quale è stato fondato l’Ordine dei Frati Minori?", risponde: "Rispondo che questo era convenientissimo da fare e per noi di crederlo. E questo da vari argomenti che concorrono al fatto, e cioè: la dignità di colui che l’impetrò; l’utilità dei fedeli; la sublimità dello stato evangelico in questo luogo procreato e rivelato; la magnificenza altissima del concedente, cioè il sommo pontefice; l’impegno umile e semplice, che qui avviene, di propagazione della fede, senza alcuna cupidità di simoniaco guadagno".

Scrive ancora frate Pietro di Giovanni Olivi: "Essendo lo stato di vita evangelica quello che sopra ogni altro, in tutti i modi, deve essere magnificato, esaltato, dilatato, propagato, serviva molto che dal concorso delle moltitudini al luogo della sua restaurazione (la Porziuncola), dal tesoro di perdono e di grazia singolare ritrovato nello stesso luogo, lo stato evangelico apparisse nei cuori e negli occhi di tutti con molta evidenza nella sua preziosità. E’ evidente che proprio la solenne restaurazione di questo stato ha meritato per il mondo intero che fosse elargita questa grazia del perdono…. Riflettiamo anche al principio e all’origine di questo stato che è di singolare merito presso Dio ed ha una posizione privilegiata nel regno dei cieli: non è concesso a nessuno realizzarlo se non per una grazia somma e ineffabile; né può essere rivelato al mondo, se non appunto attraverso una grazia ineffabile. E nel tempo e nel luogo di questa elargizione di grazia, è tornato a rivivere lo stato di vita evangelica e l’effusione del perdono".

La convergenza tra il ritorno alla vita evangelica e l’elargizione della straordinaria indulgenza è ancora sottolineata da frate Pietro di Giovanni Olivi: "Essa indulgenza è di grande utilità al popolo che è spinto così alla confessione, contrizione ed emendazione dei peccati, proprio nel luogo dove, attraverso san Francesco e Santa Chiara, fu rivelato lo stato di vita evangelica adatto a questi tempi".

Tra le testimonianze (oltre all’affermazione di molti che, in questa occasione e in questo luogo, hanno ottenuto la conversione del cuore) frate Pietro di Giovanni Olivi mette in primo piano quella di san Francesco, applicando a questo argomento la visione dei ciechi che accorrevano alla Porziuncola e delle folle di pellegrini da ogni parte del mondo (1Cel. 27:364 e 2Cel. 20:606).