Le spiritualità cristiane nella storia

di Fabio Ciardi, o.m.i.


Per poter cogliere appieno l'originalità e la profondità della spiritualità dell'unità proposta da Chiara Lubich, che riportiamo in questo numero, è utile guardare all'evoluzione della spiritualità lungo la storia della chiesa. Una realtà, infatti, la si conosce meglio confrontandola con altre.

Che cos'è una spiritualità?

Innanzitutto cos'è una spiritualità? Potremmo dire, semplicemente, che è un modo di vivere il vangelo, quasi uno "stile di vita" cristiana. La vita cristiana, pur essendo una, viene infatti sperimentata in modalità diverse, dando luogo a í molteplici spiritualità. Tale diversità di espressione è data da un insieme di fattori riconducibili, fondamentalmente, a due ordini di valori: uno evangelico-ecclesiale, l'altro storico-culturale.

La prima serie di motivazioni della molteplicità delle spiritualità è nella linea della mai compiuta comprensione, del vangelo. Lo Spirito di Verità introduce gradatamente la chiesa nella verità tutta intera - come afferma il Concilio Vaticano II - con una comprensione che progredisce «sia con la riflessione e lo studio dei credenti... sia con l'esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali» (DV 8).

Le spiritualità ci appaiono così come la progressiva esperienza del mistero cristiano, la partecipazione sempre più piena, libera e cosciente alla vita di Cristo nella chiesa, la graduale assimilazione dei valori evangelici. Lo Spirito introduce in quella "più profonda intelligenza delle cose spirituali" che permette di cogliere il mistero cristiano da una particolare angolatura. Sorgono così, per iniziativa dello Spirito. uomini e donne che si collocano all'inizio di movimenti carismatici e che offrono alla chiesa nuove spiritualità. Lo Spirito apre loro l'intelligenza perché comprendano le Scritture (cf. Lc 24, 25). Si fa loro interprete ed esegeta dell'insegnamento di Cristo.

La seconda serie di motivazioni della molteplicità delle spiritualità è data dal contesto culturale e sociale nel quale esse appaiono. La parola di Dio è infatti "efficace ed opera nella vita personale e dei popoli. Per questo le spiritualità, che nascono dalla Parola di Dio e a servizio di essa, non rimangono astratte , e infeconde, ma interpretano le esigenze umane, permeano il tessuto sociale, rispondendo alle sue carenze e illuminandone le conquiste. carismi spirituali appaiono come interventi dello Spirito volti a guidare la storia. Egli, che scruta e conosce i segreti di Dio ( Co1 2, 11), scruta e conosce anche i segreti del cuore dell'uomo e i bisogni dei tempi. Lui sa l'anelito e i gemiti insiti in ogni generazione. Ed ecco che fa brillare. in modo nuovo, quelle dimensioni evangeliche che maggiormente rispondono ai tempi, venendo così incontro alle situazioni e ai problemi della chiesa e del mondo, anche se i valori evangelici di cui le spiritualità si fanno apportatrici sono perenni. In ogni momento storico di crisi, di difficoltà, di trasformazioni, lo Spirito ripropone, con la propria creatività, la vitalità feconda del vangelo e Cristo continua, in forma sempre nuova, ad essere luce che illumina ogni essere umano che viene nel mondo.

Le spiritualità appaiono vangelo inculturato, ossia vangelo che si fa storia, che si incarna in una cultura determinata, in un determinato popolo, in una concreta situazione politica ed economica.

Nel nome stesso di "spiritualità" è indicato l'autore di queste modalità di vivere il vangelo: lo Spirito Santo. È lui che, lungo la storia della chiesa, mette in luce una ad una le parole del vangelo, le fa comprendere in modo sempre più profondo e insegna a viverle. È uno dei suoi compiti. Ricordiamo la promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli: «Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera... prenderà del mio e ve l'annunzierà" (Gv 16, 13-15).

Vorrei qui mostrare, molto brevemente, come nella chiesa ci sono stati tanti modi di vivere il vangelo, tanti stili di vita cristiana, tante spiritualità.

L'esperienza della prima comunità

La chiesa inizia a Pentecoste e si visibilizza nella prima comunità di Gerusalemme. Più che una spiritualità, quella dei primi cristiani potremmo dire che è la spiritualità. A Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo è sceso infatti in pienezza introducendo direttamente i primi cristiani nella dimensione più profonda del vangelo: il comandamento nuovo, l'unità. Egli insegna loro lo "stile di vita" che il Verbo ha voluto portare in terra: lo "stile di vita", se così possiamo esprimerci, proprio della Trinità che è Amore, Unità, Comunione.

Anche se non mancarono fin dagli inizi difficoltà e tensioni, la vita di quella comunità era subito caratterizzata dall'unità. Ricordiamo bene quello che raccontano gli Atti degli Apostoli. credenti si ritrovavano insieme a pregare, stavano uniti nell'ascolto dell'esperienza che gli apostoli narravano di quando erano con Gesù, avevano un cuor solo, un'anima sola e mettevano in comune i beni.. Lo Spirito Santo a Pentecoste li aveva fusi in unità. La vita della prima comunità, nella descrizione idealizzala che ne fa Luca, è come il bozzetto, il modello per la vita di sempre della chiesa: è la vita cristiana nel suo più alto momento carismatico, la Pentecoste.

Nella chiesa della Pentecoste sono racchiuse, quasi in forma incandescente, tutte le parole del vangelo. La possiamo paragonare alla teoria del "Big Bang", secondo la quale all'origine dell'universo tutta l'energia, che poi si sprigionò dando vita alle galassie, alle stelle, ai pianeti, era tutta condensata... Anche la pienezza di vita della Pentecoste doveva poi spandersi lungo il corso dei secoli e, a contatto con la storia, dare origine a molteplici spiritualità.

Ed ecco lo Spirito all'opera, che dispiega lungo tutta la vita della chiesa ognuna delle parole del vangelo. Lo Spirito "apre", per così dire, l'unità iniziale e via via ne fa sprigionare tutta la ricchezza in essa contenuta. È un cammino sofferto ed insieme entusiasmante. In una crescita graduale, porta la chiesa a raggiungere la pienezza di vita e la densità carismatica iniziale. La consumazione finale sarà ancora più bella del principio. Le parole del vangelo torneranno infatti tutte all'unità iniziale da cui si sono sprigionate, ma dopo essere state tradotte in vita ed aver compiuto le opere di Dio. E così, tra l'altro, che si può capire come tutti i carismi, tutte le spiritualità, nascono dall'unica fonte dello Spirito, dalla Pentecoste, e tutti sono destinati a tornare all'unità.


La ricerca di Dio nella solitudine

Una delle prime parole che lo Spirito rivela alla sua chiesa è il comandamento: «Ama Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze». Così, alcuni anni dopo l'esperienza dei primi cristiani, vediamo nascere un modo particolare di vivere il vangelo, una spiritualità.

Alcuni cristiani si sentono spinti dallo Spirito Santo a ritirarsi nella solitudine, nel deserto: sono gli anacoreti, (in greco anachórein significa appartarsi, allontanarsi). L'apparire della spiritualità del deserto è comprensibile se teniamo presente che la radicalità evangelica che caratterizzava gli inizi della vita cristiana si era via via allentata. È quasi una sostituzione del martirio che per ragioni storiche si fa sempre più raro.

Il primo che ha scelto questo stile di vita è stato - almeno idealmente - sant'Antonio Abate, vissuto nel terzo secolo nel Medio Egitto. Aveva 18-20 anni quando una domenica in chiesa sentì leggere gli Atti degli Apostoli, dove si narra che i primi cristiani vendevano quello che avevano e lo portavano agli apostoli. Ne rimase profondamente impressionato. La domenica seguente si leggeva il passo del vangelo dove Gesù dice: «Se vuoi essere perfetto va, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi». Antonio sente che quelle parole sono proprio per lui. Vende tutto quello che ha, lo dà ai poveri, affida la sorella che sarebbe rimasta sola a delle donne cristiane, e si dona completamente a Dio.

Va a vivere da solo, fuori del villaggio e passa alcuni anni in preghiera. Poi va più lontano, nel deserto egiziano, sempre più lontano, per essere sempre più solo con Dio. Altri, attirati dalla fama della sua santità, lo imitano. Il deserto - ossia i luoghi solitari - "fiorisce", come si diceva allora, per la presenza viva di uomini e poi di donne. Tanti di loro raggiungono la santità nella profonda unione con Dio.

«Nulla mi sembra più grande di questo - scrive Gregorio di Nazianzo -: far tacere i propri sensi, uscire dalla carne del mondo, raccogliere se stesso, non occuparsi più delle cose umane, se non di quelle strettamente necessarie; parlare con se stesso e con Dio, condurre una vita che trascende le cose visibili; portare nell'anima immagini divine sempre pure, senza mescolanza di forme terrene ed erronee; essere veramente uno specchio immacolato di Dio e delle cose divine, e divenirlo sempre più...; godere, nella speranza presente, il bene futuro e conversare con gli angeli; avere già lasciato la terra, trasportati in alto con lo spirito».

Gli anacoreti vanno a Dio nella solitudine. A differenza dei primi cristiani la loro è una spiritualità che sottolinea maggiormente il momento "individuale", anche se rimane sempre una spiritualità ecclesiale" poiché il monaco è, per definizione, «colui che, separato da tutti, è unito a tutti», come dice Evagrio Pontico.

Grazie a questa loro apertura ecclesiale amano i fratelli. Per esempio, con i frutti del loro lavoro spesso aiutano i poveri. Pregano per tutta la chiesa, ospitano i viandanti, consigliano le persone che vanno da loro per essere aiutati a crescere nella vita spirituale.

Però il loro stile di vita non è centrato sull'amore e sul servizio dei fratelli. Esso è basato soprattutto sulla preghiera, sulla penitenza, sulla solitudine con Dio. La loro vita di unione con Dio irraggia all'esterno, ma il loro centro di gravità è dentro, motivati dall'amore di Dio, dal desiderio di vivere solo per lui. Si ispirano all'esempio di Elia, del Battista, ma soprattutto a quello di Gesù che si ritirò nel deserto per quaranta giorni e che spesso, di notte, andava a pregare da solo sulla montagna.

L'amore per la solitudine è tale che per alcuni anacoreti il fratello può diventare un ostacolo alla ricerca di Dio. Chiara Lubich nel suo tema cita uno di questi padri del deserto, 'Apa' Arsenio, che diceva: «Non posso essere contemporaneamente con Dio e con gli uomini».

Egli amava i discepoli che gli si erano radunati attorno, attratti dalla sua santità. Infatti in questo stesso "detto" confida: «Dio sa quanto vi amo». Però non sapeva come conciliare l'amore di Dio e l'amore dei fratelli. Gli sembra che per stare con Dio debba lasciare i fratelli. Arsenio, come gran parte dell'anacoresi, è fortemente influenzato dalla cultura dualistica, proveniente dal mondo pagano. Si pensava che lo spirituale e l'umano fossero due realtà inconciliabili tra loro.


Nel cenobitismo

Presto si scopre che la via di santità è più facile se ci si aiuta l'un l'altro. Nascono allora i cenobi, le "laure", i monasteri, dove i monaci si mettono assieme per camminare più speditamente verso Dio. E l'esperienza di Pacomio e Basilio in Oriente, di Agostino e Benedetto in Occidente. E l'esperienza di gran parte del monachesimo del primo millennio dell'era cristiana.

I monaci sono persone che, unite dall'amore fraterno, si aiutano ad entrare nell'intimità con Dio, a tu per tu, pronti poi a comunicare la propria esperienza..

Significativo il cammino di san Basilio, vissuto nel quarto secolo in Asia Minore. Attratto dalla fama di santità dei monaci del deserto era andato in pellegrinaggio nei più famosi luoghi dell'anacoresi: in Egitto, in Siria, in Palestina. Fortemente colpito dalla loro testimonianza di vita vuole seguirne l'esempio. Ma ben presto, grazie anche al profondo rapporto di comunione con i suoi antichi amici, che diventeranno santi come lui, comprende l'importanza dell'aiuto reciproco. Quando i suoi discepoli ali domanderanno se è meglio vivere da soli o insieme, spiega loro la superiorità della vita in comune. Basilio ha infatti capito che la persona umana, così come Dio l'ha voluta, è capace di relazione e quindi è abilitata a vivere il comandamento dell'amore. La naturale socialità umana è già un segno della vocazione all'unità, Egli spiega poi ai suoi discepoli perché mettendosi assieme è più facile vivere il vangelo.

«I comandamenti vengono facilmente compiuti in maggior numero da molti riuniti insieme, mentre ciò non accade per chi è solo, perché mentre ne compie uno, per ciò stesso è impedito nel compimento dell'altro. (...) Nella vita comunitaria il carisma proprio di ciascuno diviene comune a tutti quelli che ! vivono con lui. (... ) [Il solitario] non conosce i suoi difetti, né si accorge i del progresso fatto nelle opere, perché ha eliminato la materia stessa per il compimento del comando. In che cosa infatti manifesterà l'umiltà se non ha nessuno di cui mostrarsi più umile? In che cosa manifesterà viscere di misericordia, se è tagliato fuori dalla comunione con gli altri? E come si eserciterà nella pazienza, se non ha nessuno che si oppone alle sue volontà?». E ancora: secondo il vangelo occorre mettersi all'ultimo posto, ma se sono solo dietro a chi mi metto? Dobbiamo lavarci i piedi li uni gli altri, ma se sono i solo a chi li lavo?

Se gli anacoreti mettevano in luce il primo comandamento, si potrebbe dire che ai cenobiti lo Spirito Santo fa scoprire il secondo: «ama il prossimo tuo come te stesso». Con Basilio e soprattutto con Agostino viene in evidenza anche il comandamento nuovo dell'amore scambievole. «Il motivo essenziale per cui siete insieme riuniti - scrive Agostino all'inizio della Regola per la piccola comunità che vive con lui, vicino a Cartagine - è che viviate unanimi nella casa e che abbiate un'anima sola e un cuore solo protesi verso Dio».

Occorre tuttavia notare che anche l'esperienza dei cenobiti non fa nascere una "spiritualità collettiva", nel senso inteso oggi da Chiara Lubich. Ci si mette insieme per aiutarsi a progredire nella via della santità, ma la via rimane prevalentemente individuale. Il comandamento nuovo, della cui importanza i monaci sono ben consapevoli, non si traduce in uno stile di vita, non informa l'intero progetto del cammino spirituale.

Nell'anacoresi come nel cenobitismo vengono infatti in rilievo strumenti di santificazione che mostrano chiaramente che si tratta di una spiritualità che possiamo chiamare "individuale". Chiara Lubich li accenna nel suo tema: la solitudine e la fuga dalle creature, il silenzio, il velo e la clausura, le penitenze, i digiuni, le veglie, la povertà, la castità, l'obbedienza, il ritirarsi nella propria cella a pregare e meditare. Un tale modo di vivere ha il suo fascino ed esercita una forte attrattiva su molti a causa dei valori che offre e della profonda ricerca di Dio a cui conduce.


Negli ordini mendicanti

Perciò questi strumenti della "spiritualità individuale" li ritroviamo in tutte le altre spiritualità che nascono successivamente nella chiesa, a cominciare da quelle dei cosiddetti Ordini mendicanti: francescani, domenicani, carmelitani, agostiniani.

Li ritroviamo nel cammino di santità di san Francesco e di san Domenico, anche se il loro stile di vita è modellato sulle parole del vangelo che spingono verso il dono di sé, particolarmente nella predicazione della buona novella.

Lo Spirito Santo fa infatti scoprire loro il compito affidato da Gesù ai suoi, quando li manda a due a due ad annunciare il vangelo, chiedendo loro di non portare niente per il viaggio e di vivere in povertà. I frati di Francesco e di Domenico vanno come i discepoli verso i quattro angoli del mondo per proclamare il Regno di Dio. Testimoniano

quella fraternità che spezza tutte le barriere, tutte le gerarchie feudali e aristocratiche così forti nella società di allora. Lo stile di vita itinerante inaugurato dai Mendicanti è il più adatto ai nuovi tempi. Se infatti nel periodo di Benedetto era necessaria la stabilità come freno alla troppa mobilità dei popoli, ora è tempo di una nuova agile elasticità che faciliti il contatto con la gente. Il loro andare di luogo in luogo a testimoniare il vangelo vuole essere un invito ai Comuni allora nascenti a non rinchiudersi su se stessi nella egoistica difesa del proprio particolare, ma ad aprirsi alla fratellanza universale.

Francesco e Domenico sanno interpretare le nuove sensibilità e le nuove esigenze popolari espresse dal vasto "movimento pauperistico" sorto in Europa che, nella ricerca di una chiesa povera e semplice, arriva fino all'esasperazione e all'eresia. Francesco e Domenico vivono e insegnano ai loro frati una povertà vera, tutta impregnata di motivazioni evangeliche, che si contrappone di per sé all'avidità di denaro propria del loro tempo. L'altissima povertà di spirito diventa il loro stile di vita.

La ricerca della povertà, si interiorizza sempre più ì e porterà Francesco, negli ultimi anni della sua vita, ad una solitudine anche fisica, quella della Verna, nella quale lo Spirito lo configura a Cristo povero e crocifisso. «Io, frate Francesco piccolo, - scrive a S. Chiara come sua ultima volontà - voglio seguire la vita e la povertà dell'altissimo Signor nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa fino alla fine».


Nella mistica renana

Gli strumenti tipici della spiritualità individuale li ritroviamo anche nelle grandi spiritualità fiorite nei Paesi Bassi e , nella Germania, un secolo dopo, tra il 1300 e il 1400. Esse sono rappresentate da nomi famosi: . Maestro Eckhart, Giovanni Taulero, Enrico Suso, Jan van Ruvsbroec... E la spiritualità della mistica detta "renana" - perché fiorita nelle vallate del Reno - e quella chiamata ! devotio moderna", legata alla scuola fiamminga. Contemporaneamente sorge un analogo movimento spirituale in Inghilterra, la cui dottrina è sintetizzata in una famosa opera: "La nube della non conoscenza".

Anche se in modi diversi queste grandi spiritualità cercano Dio nel "fondo dell'anima", secondo l'espressione di Maestro Eckhart. Poiché in quella parte più intima del proprio essere avviene la generazione del Figlio e il movimento dell'amore trinitario, questi mistici si sentono chiamati ad entrare in se stessi per trovare al di là di se stessi l'unione più profonda con Dio e partecipare della sua vita. Scrive Ruysbroec: «La nostra vita è sempre essenziale e tende all'origine del nostro essere creatura, dove noi viviamo da Dio e per Dio, e Dio in noi, e noi in lui... Questa vita è nascosta in Dio e nella sostanza della nostra anima».

Per arrivare a questa unione con Dio occorre rinunciare interamente a se stessi, svuotarsi di tutto, perché il "fondo dell'anima" sia pienamente disponibile a Dio. «Vuoi che Dio riesca a entrare? - si chiede Taulero -. Allora le cose create e tutto quello che è in tuo possesso deve fare spazio a lui». Si prende sempre più coscienza del valore del nostro nulla: «Quando Dio decise di creare le cose - è ancora Taulero che scrive -, esisteva soltanto il Nulla... Egli creò tutte le cose dal nulla. Se Dio deve operare nel suo modo speciale, Egli chiede solo che sia presente esclusivamente questo Nulla».

Da qui il bisogno, per questa corrente mistica, di staccarsi anche da tutte le creature. Chiara nel suo tema cita in proposito un brano dell'Imitazione di Cristo: «I santi più grandi evitavano, quando potevano, la compagnia degli uomini, e preferivano servire Dio nella solitudine».


Nell'umanesimo cristiano

Siamo negli anni che vanno dal 1400 al 1600. A mano a mano che dal Medioevo entriamo nell'epoca moderna, con il diversificarsi delle culture si diversificano anche le spiritualità. Nasce una spiritualità spagnola (Teresa d'Avila e Giovanni della Croce), una spiritualità italiana (Antonio Maria Zaccaria, Gaetano da Thiene, Filippo Neri, ...), una spiritualità francese ' (Francesco di Sales, Lallemant, Bérulle, Olier ... ). Possiamo notare come i cosiddetti secoli d'oro, dal punto di vista economico, artistico, culturale, dell'Italia, della Spagna e della Francia coincidono con le espressioni più felici della spiritualità e della mistica.

Sempre in questo periodo vediamo svilupparsi una spiritualità russa, che acquisterà piena coscienza di sé nell'Ottocento.

Accanto poi alle spiritualità cattoliche, la Riforma protestante, accelerando un fenomeno di identità nazionale, dà il via alla nascita di uno stile di vita protestante e anglicano.

Queste spiritualità risentono tutte del nuovo clima culturale portato dall'Umanesimo e dal Rinascimento. Se nel Medioevo si sentiva che il mondo era dominato dalla presenza di Dio, con l'Umanesimo viene in rilievo che Dio ha affidato il mondo all'essere umano, che si ritrova al centro del cosmo.

La spiritualità si fa ora più attenta alla persona, alla sua, alla sua interiorità psicologica. Vengono analizzati con una profondità prima sconosciuta i vari moti dell'anima. Si elaborano le leggi per il discernimento degli spiriti. Si sviluppano la psicologia spirituale e la direzione spirituale. Basterà ricordare gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio, il Castello interiore di santa Teresa d'Avila, la Salita al monte Carmelo di san Giovanni della Croce.

Si tratta di spiritualità centrate sull'esperienza vissuta dell'inabitazione della Trinità nell'anima del cristiano. La Trinità abita nella dimora più profonda del "castello interiore", direbbe santa Teresa, e si entra in intimità con essa soprattutto attraverso la preghiera, sperimentata (sono parole di santa Teresa) come «un rapporto amichevole, ripreso e voluto ripetute volte, attuato da solo a solo con colui dal quale ci sappiamo amati». E un cammino esigente, che richiede la più completa spoliazione di sé, il "nada", direbbe san Giovanni della Croce, il nulla, il passaggio attraverso le notti più oscure, per arrivare alla piena unione, con Cristo e alla trasformazione in Lui.


Le spiritualità del servizio

Nei secoli che seguono il Concilio di Trento sorgono nuove spiritualità frutto di un'attenzione concreta ai quotidiani bisogni della gente, soprattutto dei poveri e degli ultimi.

I santi si sentono chiamati a rispondere alle grandi necessità sociali: ammalati da curare, ragazzi da istruire, poveri da aiutare... Lo Spirito li porta a dedicarsi al servizio dell'umanità in tutte le sue miserie. E l'epoca di san Camillo de Lellis di san Giovanni di Dio di san Vincenzo de' Paoli, di san Giovanni Battista de la Salle, di san Giovanni Bosco... Lo Spirito svela le parole del vangelo che ruotano attorno al giudizio finale: «Ero ammalato e mi avete visitato, affamato e mi avete dato da mangiare... Ogni volta che avete fatto qualcosa al più piccolo di questi miei fratelli l'avete fatto a me».

Sono spiritualità del servizio, dell'amore concreto che avranno un nuovo incremento nel XIX secolo e all'inizio del XX secolo, con lo straordinario fiorire delle Congregazioni religiose, attraverso le quali la chiesa davvero appare «attrezzata per ogni opera buona» ! (LG 12). Sollevare le povertà più diverse è «entrare nei suoi (di Gesù) sentimenti - diceva san Vincenzo de' Paoli interpretando tutti i santi della carità - far quello che lui fece ed eseguire quello che egli ha comandato...

E lui stesso ha voluto nascere povero, avere poveri nella sua compagnia, ' servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, sino a dire che il bene e il male, che noi faremo ai poveri, lo riterrà fatto alla sua persona divina" .

L'ansia di comunione del XX secolo

E siamo a questo nostro secolo. Una caratteristica tipica della spiritualità del nostro tempo j è la valorizzazione degli aspetti positivi del mondo, il superamento dell'ecclesiocentrismo: è nel mondo dove deve realizzarsi il progetto di Dio, e i cristiani sono a servizio di ciò: l'impegno sociale è parte essenziale della spiritualità cristiana. Allo stesso tempo sappiamo come dalla fine dell'Ottocento siano state forti le esigenze di comunione e di unità. Molteplici fenomeni di ordine politico, culturale, economico, religioso dicono il bisogno di comunione e la tensione verso un mondo unito.

Basti pensare al fenomeno dei socialismi e al nascere di istituzioni quali la Società delle nazioni e poi le Nazioni Unite. La scienza e la tecnica hanno incrementato l'interscambio culturale e ravvicinato i popoli. In campo ecclesiale si è avvertita, in modo mai prima conosciuta, l'esigenza del dialogo ecumenico tra le chiese e di quello tra le religioni. All'interno della chiesa cattolica l'approfondimento ecclesiologico, che trova i suoi momenti culmine nell'enciclica Mistici Corporis e soprattutto nel Concilio Vaticano II, ha fatto nascere un bisogno nuovo di comunione a tutti i livelli.

È come se dall'umanità e dalle stesse chiese di oggi si levasse una richiesta di unità, quasi un grido.

Nel campo civile si passa dalla collettivizzazione violenta al liberalismo sfrenato, dalla massificazione politica al separatismo nazionalistico. Tutti fenomeni aberranti, che sono però indice del bisogno di una comunione autentica capace di portare all'unità nella libertà e nel rispetto delle identità.

Anche nell'ambito ecclesiale tutti parlano ormai di chiesa-comunione, ma spesso non si sa come attuarla.

Occorre che sia lo Spirito Santo a dare una risposta a tali esigenze, anche perché è Lui che le ha messe nel cuore degli uomini e delle donne di oggi. Occorrono insomma nuovi "carismi".

In questo contesto lo Spirito ha scelto - come sempre - una persona concreta Chiara Lubich.

Attraverso di lei lo Spirito che per sua natura è sempre creativo, ha fatto una cosa nuova nella chiesa donandoci la "spiritualità collettiva".

Leggendo il suo tema su questo argomento, mi è sembrato di percepire l'avvento di una rivoluzione copernicana. Come si era scoperto che non era il sole a girare attorno alla terra ma la terra attorno al sole, così con la spiritualità collettiva, si sperimenta che la vita di ognuno di noi ruota attorno alla Trinità e a Gesù presente in mezzo a noi, e in questo nuovo stile di vita si ritrova la Trinità e Gesù dentro di noi. È una vera rivoluzione nella chiesa e nell'umanità.

Vi sono stati dei momenti nel cammino della chiesa in cui la spiritualità si è espressa in senso comunitario. Basta pensare ai citati san Basilio, a sant'Agostino o a quell'esperienza così singolare di san Francesco quando in un momento di particolare unità tra i suoi frati Gesù apparve in mezzo ad essi. Ma erano episodi, intuizioni, che non arrivavano a proporre una spiritualità tutta incentrata sulla comunione, sull'unità, da vivere quotidianamente ì Queste esigenze e intuizioni non hanno portato alla reciprocità dell'amore e all'unità come tipico e costante modo di vivere il cristianesimo. Il vivere cristiano non veniva centrato sull'ut omnes unum sint come sul suo elemento caratteristico e determinante.

Oggi invece, con la "spiritualità collettiva", mi sembra di vedere realizzato il sogno che ha costantemente accompagnato le chiese in tutti questi secoli: far rifiorire la vita cristiana dei primi tempi. Dopo che in questi secoli di storia si sono vissute ad una ad una tante parole del vangelo, ora, nella Pentecoste di oggi, j sembra che lo Spirito voglia riportare la chiesa a vivere con più pienezza il vangelo, a ritrovare la sua forma primitiva in una sintesi nuova in cui tutto il passato viene assunto, valorizzato ma anche trasceso.

Da Unità e Carismi n. 3-4/95 pagg. 4-11