LA MALATTIA DI NOSTRA FIGLIA CHIARA LUCE

Maria Teresa e Ruggero Badano (Sassello - Savona)

 

 

Siamo Maria Teresa e Ruggero; viviamo in un piccolo paese della Liguria. Quando, dopo 11 anni di attesa, è nata Chiara, ci è parso di vedere realizzato il nostro matrimonio e la nostra unione si è fatta più profonda: l'amore per lei ci arricchiva; vederla crescere forte e sana era la nostra più grande gioia.

Come tutti i genitori, nutrivamo per Chiara molte speranze. Frequentava ormai la prima liceo classico: aveva 17 anni. Ma, improvvisa, la malattia ci ha colto di sorpresa; la diagnosi lascia subito pochissime speranze: osteosarcoma.

Il dolore è grandissimo; ci sentiamo morire, solo Dio può aiutarci ad accettare una diagnosi tanto grave. Di colpo la nostra vita cambia, trova nuove dimensioni e i rapporti tra noi tre attingono a nuove profondità: cresce, insieme al dolore e alle difficoltà, la nostra fede.

Vivere per lei ora significa radicarsi nel momento presente, nel dolore di ogni giorno, negandoci, per quanto ci è possibile, ogni rimpianto per la vita serena di prima e ogni timore per quanto ci aspetta. Con lei impariamo a vivere, attimo per attimo, un amore di donazione totale l'uno per l'altro. Con lei, insieme agli inevitabili dolori fisici per i vari interventi chirurgici e le pesanti terapie, scopriamo anche ogni giorno un aiuto umanamente inspiegabile e una forza che non sapevamo di possedere.

Vivere l'uno per l'altro, donandoci reciprocamente solo consolazione e conforto, in una gara d'amore, ci fa sperimentare una vita nuova: è per quell'amore reciproco che Chiara, in una notte particolarmente dolorosa, può esclamare: "Quando ci amiamo così, siamo la famiglia più felice del mondo".

Come cristiani ci pare di poter dire di aver sperimentato che quell'amore che ci univa non era più solamente umano, ma un riflesso dell'amore di Dio.

Quando, all'inizio della malattia, Chiara ha chiesto: "Mamma, ma è giusto morire a 17 anni? Vedo le mie amiche correre, andare in bicicletta, andare a scuola", Maria Teresa ha risposto: "Io non lo so, so solo che l'importante è fare la volontà di Dio".

Capiamo anche che la nostra famiglia non deve rinchiudersi su se stessa; se prima eravamo aperti agli altri, ora è anche più importante fare spazio nella nostra casa, e ancor più nel nostro cuore, a tante persone. E non restiamo soli.

Sperimentiamo la solidarietà, la comunione dei beni, la forza dell'unità e della preghiera; si apre per noi subito una casa nella città di Torino che ci ospiterà durante i ricoveri in ospedale; lì è una gara tra tante persone che ci stanno vicine con tutte le attenzioni che l'amore scambievole suggerisce.

Sono due anni di comunione intensa con quanti conosciamo e con i quali condividiamo gioia e dolori; Chiara diventa il polo di attrazione per molti, soprattutto per i giovani. Lei, inchiodata nel letto perché perde quasi subito l'uso degli arti inferiori, è come una calamita e sempre, superando il suo dolore, trova la forza e il coraggio di buttarsi ad amare condividendo con ognuno difficoltà, gioie, sospensioni.

Quando si aggrava e si deve intensificare la terapia con la morfina, Chiara la rifiuta perché, dice: "Mi toglie la lucidità, io posso donare a Gesù solo il dolore!".

La sua vita di malata continua ad essere vita piena, spazia nel mondo, non si ferma all'orizzonte angusto di una cameretta. Promuove in paese, in occasione del Natale, una raccolta di fondi per l'UNICEF; invia, attraverso un amico, una somma di denaro frutto dei regali ricevuti ai bambini poveri dell'Africa, segue giorno per giorno una tournée del Gen Rosso, complesso musicale del Movimento dei Focolari, in Russia e viene costantemente aggiornata. Il suo telefonino appeso alla spalliera del letto la mette in contatto con il mondo.

Con i dottori che seguono Chiara si stabilisce un rapporto personale che va al di là di quello professionale tra malato e medico, ma diventa amicizia. Il nostro medico di famiglia diventa un nostro carissimo amico e spesso accompagna da Chiara la sua bambina di appena 3 anni. La sua assistenza è, fino alla fine, attenta e costante. Chiara gli si affeziona, si fida di lui.

Un giovane medico non credente che, per un certo periodo, sostituisce quello di famiglia, colpito da come Chiara affronta il dolore e si prepara coscientemente alla morte, avendo ricevuto da lei un libro in regalo, sente il bisogno di scriverle una lettera che Chiara, l'ultima mattina della sua vita, riesce ancora ad ascoltare.

Tra l'altro scrive: "Ho ricevuto con molto piacere il tuo regalo e ti prometto che lo leggerò al più presto, perché spero di trovarvi in parte le risposte che tu hai già trovato. Io non sono abituato a vedere giovani come te a lottare tenacemente contro la malattia. Ho sempre pensato che la tua età fosse l'età delle grandi gioie, dei grandi entusiasmi; tu mi hai insegnato che è anche l'età di una maturità assoluta. Ti saluto con tutta la mia ammirazione".

E' trascorso solo poco più di un anno dalla sua morte. La nostra vita è totalmente cambiata, ma nel profondo del nostro essere sentiamo che rimane una vita a "tre" perché lei è presente più che mai tra noi in ogni momento.

"Siate felici perché io lo sono" sono le sue ultime parole, ma non il suo ultimo atto d'amore. Ha voluto donare le sue cornee affinché qualche altra persona acquistasse la vista. Noi ora non possiamo tradire la vita di Chiara, tutta proiettata verso gli altri.

Continua, anzi si dilata, il dialogo con molti, particolarmente con tante famiglie spesso disperate per la perdita di un figlio: ci telefonano, vengono a trovarci, ci invitano a casa loro. Non possiamo togliere loro il dolore, ma condividerlo sì, perché possiamo veramente capirlo.

E non è raro il caso in cui ci sentiamo ringraziare perché qualcuno ritrova la forza di riprendere il cammino, di ricominciare una vita che sembrava ormai assurda. Così scopriamo che anche la sofferenza può diventare una ricchezza da donare.