PERCHÉ RIESCE COSÍ DIFFICILE CONFESSARSI?

Pensare alla Confessione è per i cristiani spesso un tormento. Molti vi si avvicinano a fatica, alcuni hanno smesso di andare a confessarsi e neppure hanno l'impressione che manchi loro qualcosa, anzi si sentono come liberati da una coercizione.

Perché non capiscono piú cos'è la Confessione? Forse, perché l'hanno esperimentata come qualcosa di automatico, un elenco di peccati fatto senza sincera contrizione, senza ricavare un rinnovamento dai propri sbagli. Da qui è sorta la convinzione che la Confessione non cambi nulla.

Questa crisi della Confessione va considerata al tempo stesso anche come una crisi dei confessori, dei sacerdoti e curatori d'anime. Di fronte a molti nuovi interrogativi che oggi si pongono riguardo alla pratica della vita cristiana, taluni di loro si sentono insicuri, oberati di enormi responsabilità dovendo spesso dare consigli decisivi per la vita delle persone che si rivolgono a loro.

Un altro motivo importantissimo circa la difficoltà di confessarsi risiede nella stessa parola «peccato» che oggi sembra quasi una parola strana; nel linguaggio corrente si usa parlare piuttosto di fallimento, di errore, di comportamento sbagliato, di debolezza .

Perché ci è diventata sconosciuta questa parola? Ecco al riguardo alcune riflessioni:

1) Facciamo fatica ad accettare ogni cosa negativa della nostra vita e ad affrontarla coscientemente. Desideriamo essere felici, contenti, creativi e liberi. Dai progetti che facciamo per la nostra vita escludiamo il dubbio, l'angoscia, la tristezza e la colpa. Simili realtà sembrano minacciarci la felicità.

2) L'ambito di libertà in cui l'uomo si muove e decide sembra vieppiù restringersi. Sappiamo di piú sui fattori che determinano e influiscono sopra una decisione: esperienze passate che risalgono fino alla nostra prima infanzia, tare ereditarie, influssi ricevuti nella casa paterna, nella società, nell'ambiente sociale, ecc. La colpa viene scaricata sugli altri, ad esempio sulla società quando vediamo di anno in anno aumentare la violenza; sui genitori e sugli educatori quando vediamo giovani approdare alla droga o all'alcool.

3) Ogni giorno vengono visionate e riferite tante mostruosità che alla fine diventiamo indifferenti e piano piano cadiamo nell'assuefazione. Imporsi, costi quel che costi, e sfruttare lo Stato o le istituzioni pubbliche appaiono gli obiettivi legittimi. L'omosessualità, la convivenza prematrimoniale, l'aborto vengono propagandati come fondamentali diritti umani. E il livello di quei valori finora considerati positivi non solo non è aumentato, al contrario!

Queste e altre cause stanno alla base della nostra difficoltà a capire cos'è il peccato. A sentire tale parola proviamo una qualche angoscia. Ci evoca un dovere di carattere religioso che limita la nostra libertà personale. E, inoltre, tanto piú un uomo vede le proprie debolezze tanto piú finisce per provare delusione nei propri confronti.

E tuttavia non riusciamo a liberarci da questa esperienza: Non sono riuscito a fare qualcosa; ho fallito; la mia vita non va. Anche se non sappiamo dare un nome a tutto ciò, proviamo un senso di colpa e spesso non sappiamo come uscirne fuori.

In altri uomini che ci vivono accanto, nella società che ci circonda, in molti avvenimenti che succedono nel mondo vediamo il male, ne sentiamo il peso, talvolta ne avvertiamo persino la minaccia. Non ci è facile abituarci al fatto, né tantomemo ritenerlo legittimo, che uomini vengano torturati ed uccisi, che venga usata violenza verso l'innocente, e che interi gruppi etnici vengano oppressi.

Queste considerazioni ci mostrano che forse non sappiamo piú quel che significa la parola «peccato», ma che il suo contenuto ci travaglia sempre di piú.

In ultima analisi, interrogarsi sul peccato è interrogarsi su Dio, sull'immagine che ne abbiamo, e sul nostro rapporto con Lui. Se comprendiamo piú profondamente chi è veramente Dio, possiamo anche trovare l'accesso a capire cos'è veramente il peccato.

CHI È DIO PER ME

A scuola, nello studio, a casa, al lavoro, dovunque ci vengono richieste delle prestazioni. A seconda di come vi riusciamo, veniamo giudicati: promossi o respinti. Alle volte applichiamo questo criterio al rapporto con Dio. Crediamo che per essere amati e accettati da Lui, per ricevere i suoi doni e la sua grazia, dovremmo fare qualcosa.

Peraltro, questo «sistema» non funziona con Dio. Egli non vuole lo nostre prestazioni, vuole invece noi stessi, cosí come siamo. I nostri fallimenti e peccati non sono ostacoli al suo amore, al rapporto con Lui. Lo diventano soltanto quando non crediamo alla sua misericordia, quando pensiamo che, peccatori come siamo, non possiamo avere comunione con Lui, non possiamo accostarci a Lui. Ma Dio non è un giudice che troneggia sopra di noi, che prescrive le sue leggi e ci punisce quando non le rispettiamo. Dio è tutt'altro! Gioisce per ogni peccatore che viene a Lui e che gli chiede: «Perdona la mia colpa!». Dio vuole donarci il perdono perché Egli è, come dice san Paolo, il «Padre misericordioso» (2 Cor 1, 3); «Vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2

Pensiamo alla parabola del padre misericordioso: da lontano scorge arrivare il figlio prodigo, gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia. Felice, invita l'altro figlio rimasto nella casa paterna a partecipare alla festa di riconciliazione. Anche lui può partecipare a tale gioia, poiché il fratello che era perduto ha di nuovo ritrovato la casa paterna. Cosí è Dio: cerca chi è perduto, e ci aiuta a farci accettare nuovamente dagli altri.

Come Gesú si comporta con i peccatori, lo possiamo vedere nel suo rapporto con Pietro. Questo pescatore dal temperamento forte aveva abbandonato tutto per seguire Gesú e voleva partecipare al massimo alla vita di un tale «Maestro» che lo aveva oltremodo affascinato. Pietro è un uomo pieno di buona volontà, ma anche lui ha i suoi lati deboli. Quando Gesú viene arrestato, Pietro per tre volte afferma di non conoscerlo. Come reagisce, Gesú? Il Vangelo dice: «Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro». Questo sguardo di Gesú lo colpisce al punto che «...uscito, pianse amaramente» (Lc 22, 61s.). Dopo la risurrezione, Gesú domanda tre volte a Pietro se lo ama veramente. La risposta: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene» (Gv 21, 15-17). Pietro è diventato profondamente sincero, non proferisce piú parole azzardate, sa che Gesú ormai lo conosce con tutti i suoi peccati, ma anche col suo desiderio profondo di amare il Maestro.

Gesú non ha commesso peccati. Egli è uomo, vero uomo, l'uomo perfetto. Ama i suoi prossimi e va loro incontro senza paura di aver a che fare con dei peccatori; anzi, la sua missione nel mondo consiste proprio nello stare accanto a quanti hanno bisogno di Lui.

Gesú, il Figlio di Dio fatto uomo, si è cosí compromesso con gli uomini da prendere su di sé i loro peccati. Ha sperimentato e sofferto sul proprio corpo e nella propria anima quello che è il peccato nella sua piú profonda essenza, cioè «essere lontano da Dio». Sulla croce grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34). Questo grido riassume ogni sofferenza umana. Quando abbiamo peccato, quando siamo colpevoli, anche in questo stato non siamo soli. Gesú ci ripete le parole dette alla donna adultera che gli avevano portato davanti: «...Va', e d'ora in poi non peccare piú». Ma al tempo stesso ci dice: «Neppure io ti condanno»; e se anche tutti ti abbandoneranno, io ti resterò vicino (cf. Gv 8, 3-11).

Se ci sentiamo soli, molto lontani da Dio, questa è una impressione errata, la realtà è un'altra: non siamo mai soli; anche nel nostro fallimento, anche nella nostra oscurità spirituale, c'è sempre Gesú. Nella prima lettera di san Giovanni leggiamo: «...Quand'anche il cuore ci rimproveri, Dio è piú grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (l Gv 3, 20). Per questo non dobbiamo scoraggiarci guardando ai nostri peccati, ma fidarci dell'amore di Dio. Chiediamogli perdono e ricominciamo sempre daccapo. Dio ci prende sul serio, anche nei nostri peccati: Egli è santo. Ci prende sul serio e in quanto peccatori ci vuole guarire: Egli è misericordioso.

Sta a noi scoprire di continuo che Dio accetta e ama l'uomo, e lo aiuta nel proprio cammino mediante il suo amore. Allora ci libereremo sia da ogni paura di dover «fare» qualcosa davanti a Dio come pure dal nostro egoismo, e potremo vivere come figli dell'unico Padre, il quale vuole donarci la pienezza della vita e la gioia perfetta.

CAPIRE CHE COS'È IL PECCATO

Quando non abbiamo avuto il coraggio di affrontare una verità scomoda, ci sentiamo delusi di noi stessi. Quando abbiamo riversato su altri la nostra ira, questo comportamento ci fa star male. Se abbiamo evitato di compiere un passo indispensabile per la nostra maturazione, resta in noi un senso di insoddisfazione. Quando ci rendiamo conto in un certo modo di un nostro fallimento, quando sperimentiamo sulla nostra pelle le nostre colpe, siamo costretti a prenderne atto.

La nostra vita è segnata dall'esperienza della colpa. Essa esprime però al tempo stesso una nostra capacità, quella di sentirci responsabili davanti alla comunità e davanti a Dio. Per far ciò occorre una certa maturità umana, che sia, sì, capace di rendersi conto della situazione, ma senza perdersi in complessi esagerati di colpa non rispondenti al peccato reale. Indubbiamente ci sono persone che soffrono in modo esagerato di tali complessi e che hanno bisogno di consigli e soprattutto di un aiuto concreto per poterli superare. Non si aiuta però l'uomo liberandolo dal senso di colpa mediante giustificazioni o terapie psicologiche. E proprio dell'uomo poter reagire ad una caduta colpevole provando un giusto e adeguato senso di colpa.

Ho sempre bisogno di tanto coraggio per poter accettare me stesso, per sopportarmi anche nelle mie mancanze, nella mia colpa; solo quando so che non sono solo, che vengo accettato cosí come sono, anche con la mia colpa, troverò la forza di farlo.

Se Gesú mi accetta senza riserve, allora posso accettarmi anch'io. Se Lui mi accetta anche con le zone buie della mia esistenza, allora anch'io potrò accettarmi con le ombre della mia vita, non per fermarmi nello stato in cui mi trovo, ma per aprirmi all'azione della sua trasformante misericordia.

Certamente; nostri comportamenti sono radicati in un contesto familiare, sociale e politico, ma resta sempre un ambito di responsabilità personale. Dal momento che Dio mi ha creato come persona e rispetta la mia libertà, richiede da me anche la responsabilità. Nella mia storia personale esiste sempre uno spazio decisionale in cui non vengo condizionato da nessuno. Questa libertà di decidere, indipendentemente dagli altri e dalle circostanze, appartiene alla mia dignità di uomo.

Non possiamo eliminare le «ombre» dalla nostra vita. Se le escludessimo, non saremmo leali con noi stessi perché ignoreremmo qualcosa, eliminando una parte del nostro «tutto». I nostri limiti, la nostra incertezza, la nostra capacità di peccare, la solitudine fanno parte in modo inscindibile della nostra vita, della nostra umanità. Sottraendo all'uomo colpa, angoscia, malinconia, ecc. gli si toglie del pari il fondamento per la sua auto comprensione e quindi la possibilità di divenire adulto.

La conseguenza è una scontentezza interiore, l'impressione di non essere «intero». Infatti troviamo la nostra libertà personale, la nostra auto realizzazione solo se sappiamo superare nel modo giusto il senso di colpa, se impariamo a valutare i nostri fallimenti dando loro il giusto peso. La coscienza delle proprie colpe può turbare l'uomo al punto di spezzarlo interiormente, ma al tempo stesso può condurlo ad una crescita e maturazione interiori.

Alle volte siamo noi stessi a bloccarci la strada, siamo i nostri peggiori nemici perché ci ricusiamo da noi stessi: Dio però non rinnega il peccatore. Dio ci ha sempre amati, persino «...quando eravamo nemici» (Rm 5, 10). Se teniamo conto della sollecitudine che Dio ha nei nostri confronti, anche noi possiamo accettarci, riconciliarci con noi stessi e vincere col bene il male che è dentro di noi. Il perdono di Dio mi permette di affrontare la colpa, di guardarla in faccia, di riconoscerla e di confessarla davanti agli altri. La metanoia, la conversione di cui parla Gesú non avviene tanto grazie ai nostri sforzi quanto piuttosto mediante quello che Dio opera col suo amore. Cambiamo la nostra vita orientandoci verso il suo amore.

Colpa e peccato non vanno mai considerati da soli, si capiscono soltanto quando vengono considerati insieme, in coppia, mediante i binomi: peccato-redenzione e colpa-perdono. Se posso riconoscere e confessare che ho peccato, posso anche aver fiducia di ottenere il perdono.

Nel Nuovo Testamento si parla di peccato sempre solo in riferimento alla «lieta novella»: ci è concesso di festeggiare sempre il «ritorno» a casa, il nostro ritorno a Dio, perché Lui ci offre continuamente la sua pace. Il peccato è il «no» a questo invito di Dio. Un peccato «veniale» è come un «si» senza convinzione o un «nì».

Come cristiano non vivo da solo, ma insieme con altri che professano la mia stessa fede. Il nostro punto di riferimento comune è sempre Cristo. Colpa e peccato riguardano dunque non solo il mio rapporto personale con Cristo, ma anche il mio rapporto con gli altri. Tutto ciò può apparire completamente normale: vado incontro alle mie esigenze, mi fido unicamente delle mie capacità razionali, agisco solo in base alle mie disponibilità finanziarie, il che significa vivere senza tener conto degli altri, né del comune punto di riferimento. Peccare, significa cosí andare per la propria strada, lontano dagli altri e quindi lontano anche dal punto di riferimento, cioè da Cristo. Il mio rapporto con Dio, il mio rapporto con gli altri e quindi con me stesso vengono sempre insieme turbati. Una unità viene distrutta e deve necessariamente essere ricostituita.

«Peccato» è dunque un «deficit» nel nostro esser uomo. Quando ho peccato mi scopro come un uomo che non ha sviluppato appieno la capacità di amare.

Ho vissuto per me stesso, ho evitato di portare la responsabilità nei confronti degli altri e del mondo; mi sono tirato indietro e ho perso di vista Dio. Il peccato non favorisce la mia umanità, non aiuta a svilupparla, anzi la disturba e la indebolisce. Gesú era l'uomo completo, pienamente realizzato perché era senza peccato.

Dio, che ha creato l'uomo, vuole la sua completezza, il suo sviluppo, la sua realizzazione. Perciò dice di «si» all'uomo non per lasciarlo cosí com'è, ma per condurlo alla realizzazione del disegno che Lui stesso, Dio, aveva allorché lo creò.

Se l'uomo diventa nuova immagine di Dio, allora è veramente se stesso: libero nella carità, nel servizio e nella donazione.

Come cristiani professiamo la fede nel Dio Uno e Trino, nel Dio che realizza la sua vita divina nel rapporto. Anche noi, fatti a sua immagine, ci realizziamo nei rapporti, costruendo rapporti vivi e vivificanti.

Dio aspetta che io mi lasci guidare da Lui, che accetti il suo perdono. Lo faccio quando mi confesso perché è nella Confessione che mi viene accordata la riconciliazione con Dio e comunicata la grazia per ricominciare una vita nuova. Al centro della Confessione non sta quindi il peccato o la colpa, ma la grazia di Dio, la sua misericordia. Nel Vangelo di Giovanni Gesú dice: «peccato» significa «...perché non credono in me» (Gv 16, 9), cioè non credono in Colui che è e vuole essere il loro Salvatore.

RICOMINCIARE E RICONCILIARSI

IL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE

Un'esperienza comune a tutti: abbiamo lasciato lievitare in noi un sentimento di rancore e questo blocca il nostro incontro con un prossimo che ci avvicina. La mia colpa perciò influisce non solo su di me, ma anche sugli altri. Anche se non ce ne rendiamo sempre conto, esiste un legame molto profondo fra tutti gli uomini, e specialmente tra i cristiani. San Paolo lo descrive cosí: siamo un sol corpo dove tutte le membra sono collegate tra di loro. Quando un membro soffre, la comunità intera soffre con lui (cf. 1 Cor 12, 26). Nella Lettera agli Efesini i cristiani vengono esortati a dire sempre la verità, e si adduce come motivo: «perché siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4, 25). Una volta Gandhi ha detto: «Se un uomo è buono o cattivo è un fatto che riguarda il mondo intero».

Vediamo allora che il peccato non è soltanto un problema strettamente personale, ma riguarda anche gli uomini con cui viviamo, la Chiesa tutta e l'umanità. Parimenti, un ricominciare sincero, il perdono e il superamento della colpa hanno conseguenze nel mondo che ci circonda. Quando un uomo si converte, nascono rapporti nuovi; il superamento della colpa costruisce una nuova rete di rapporti.

Ed è proprio perché il peccato non riguarda solo me, o esclusivamente il mio rapporto con Dio, che il mio cammino dalla colpa verso un nuovo inizio passa sempre attraverso la comunità. Questa comunità viene rappresentata, durante la Confessione, dal sacerdote che mi assolve dai peccati nel nome di Gesú; non a nome proprio, quindi, ma strettamente unito con l'opera divina della riconciliazione.

Anticamente la Confessione veniva chiamata anche «secondo Battesimo»: riammissione, cioè, nella comunità cristiana. «Conversione» significa: ritornare dagli altri fratelli e da Colui che è il loro punto di riferimento. Conversione significa altresì: dico ad un altro che ho commesso dei peccati; lo dico a un fratello che, in nome di Gesú, mi riammette nella comunità. A Pasqua Gesú conferì agli Apostoli il potere di perdonare i peccati. A questo proposito il Vangelo dice: «...Gesú venne, si fermò in mezzo a loro» (Gv 20, 19). I cristiani non sono una certa accolta di uomini dove ognuno «coltiva» il suo rapporto personale con Dio, sono invece una famiglia di fratelli, il cui centro è Gesú (cf. Mt 18, 15 e Gc 5, 19). Conversione significa ancora, in questo contesto, che io accetti l'amore di Colui che sta in mezzo a questo gruppo. Egli è stato capace di togliere ogni colpa dagli uomini perché Lui solo era senza peccato. Egli, il centro, venne a noi, che eravamo ai margini, per ricondurci con Sé al centro. Per il fatto che Lui ci ha perdonato, anche noi possiamo perdonarci gli uni gli altri. Presso Gesú i peccatori si sentivano bene accetti. Anche se Lui sapeva tutto di loro e conosceva perfettamente il loro passato, era capace di dimenticare tutto e cosí in Lui trovavano la forza di ricominciare daccapo.

Confessione significa anche incontro. Due persone si avvicinano: Dio, che ha già fatto il primo passo perché ha preso l'iniziativa prima di noi, e l'uomo peccatore, che reca la sua colpa quasi in dono al Padre misericordioso. Confessandosi, l'uomo esprime la sua convinzione che Dio è Amore e glorifica Colui che lo libera dalla colpa.

Sarà piú facile per noi confessarci se impareremo a riconoscere peccato e colpa nella nostra vita quotidiana. Esistono tanti modi diversi: per esempio, quando preghiamo: «...Padre, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Anche questo è riconciliazione, richiesta del perdono di Dio. Ogni volta che, dopo un litigio o una tensione, riusciamo a ristabilire un rapporto cordiale con un altro, anche il nostro rapporto con Dio si rinnova e diventa piú profondo. Gesú ci chiede di perdonare settanta volte sette (cf. Mt 18, 22), perché Dio fa lo stesso nei nostri confronti (cf. Mt 6, 12).

All'inizio di ogni Santa Messa siamo invitati a domandare perdono a Dio perché Gesú possa cambiare la nostra vita e rinnovarla attraverso la Parola e il Sacramento eucaristico.

Anche la lettura della Sacra Scrittura ci riconcilia con Dio. E poi ogni settimana ha il venerdì come giorno particolare di riconciliazione, qualora lo viviamo in modo interiore. Lo stesso vale per la Quaresima, il periodo prepasquale di penitenza.

Due modi diversi rendono particolarmente visibile l'incontro dell'uomo col Dio del perdono: la funzione penitenziale comunitaria e la confessione individuale. Una non esclude l'altra, anzi si integrano vicendevolmente.

La celebrazione penitenziale che si tiene soprattutto durante la Quaresima e l'Avvento mette in particolare risalto la riflessione comunitaria, la responsabilità comune e la preghiera l'uno per l'altro. In essa sperimentiamo che siamo una Chiesa di peccatori e che anche come comunità abbiamo bisogno del perdono.

La Confessione individuale mette l'accento sulla colpa personale che viene espressamente confessata e poi perdonata nell'assoluzione da parte del sacerdote. In essa facciamo l'esperienza che Dio ci accetta e ci rinnova come singoli.

La Confessione acquista il suo specifico significato come aiuto, come elemento importante nella vita cristiana quando viene vissuta come tappa nel cammino verso Dio, come nuovo orientamento nella storia della propria vita volta ad una meta: la comunità con Dio e con gli uomini già in parte realizzata durante la vita terrena e che non cesserà con la morte fisica. Come la vita nostra ha sempre bisogno di un nuovo inizio o di apertura a nuovi orizzonti per riuscire nel pieno senso della parola, cosí pure il viaggio della nostra vita umano-divina ha continuamente bisogno di orientamento e conversione, del perdono e della liberazione dalla colpa nella vita concreta di ogni giorno.

Cosí intesa, la Confessione non è un colloquio umiliante di un uomo con un altro, durante il quale uno ha paura e si vergogna mentre l'altro possiede il potere di giudicarlo. Confessione, è un incontro di due persone, le quali confidano pienamente nella presenza del Signore tra di loro, da Lui promessa là dove anche solo due uomini sono riuniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20).

Il cristiano che va a confessarsi apre il suo cuore a questa presenza di Gesú: il sacerdote è per lui un fratello nel quale incontra Gesú a cui può donare le proprie colpe. E il sacerdote cercherà di ascoltare con pazienza e comprensione, di immedesimarsi nel fratello che si confessa per poterlo aiutare nel suo cammino verso la meta. Del resto, lo stesso sacerdote è un peccatore che vive di perdono. La Confessione diviene cosí una «festa» che permette di sperimentare la presenza di Gesú come la fonte stessa di ogni perdono.

 

COME CI SI CONFESSA

La preparazione migliore alla Confessione è lo sforzo di vivere molto coscienziosamente secondo la Parola di Dio. Quando cerco di orientare la mia vita verso Gesù, mi imbatterò sempre nei miei limiti e nei miei fallimenti. Mi debbo continuamente orientare verso ciò che Dio vuole da me. Il mio fallimento lo posso portare davanti a Dio nella Confessione

La Chiesa invita ogni fedele a ricevere almeno una volta all'anno (nel tempo penitenziale della Quaresima), il sacramento della riconciliazione, ma anche tutte le volte che avvertiamo il pericolo di diventare indifferenti e di scivolare nella superficialità e nell'egoismo. Quando un cristiano è caduto in peccato, e non è più quindi un membro vivo della Chiesa, è tenuto a fare la Confessione individuale. Sacerdoti di provata esperienza consigliano la Confessione ad intervalli regolari, ossia con una frequenza che permetta di tenere sotto controllo la propria vita spirituale. Si tratta di un'occasione per rinnovare e potenziare appunto la propria vita cristiana.

PREPARAZIONE ALLA CONFESSIONE

Nella immediata preparazione alla Confessione parlo con Dio. Mi ricordo che Dio è bontà, che si rallegra per il ritorno di un peccatore, lo ringrazio per questo suo amore e per il perdono che elargirà a tutte le mie colpe. Poi, mi pongo alcune domande che possono essere di varia natura: posso meditare sui valori che mi propongono i dieci Comandamenti.

Un magnifico quadro di riferimento può essere il Padre Nostro: Vivo, mi comporto veramente secondo quanto Gesù mi insegna in questa preghiera? Libri spirituali, di meditazione, mi possono aiutare a far bene l'esame di coscienza. Certamente non sarà mai possibile valutare e riconoscere perfettamente la nostra peccaminosità e colpevolezza. Questo però non deve esser motivo di preoccupazione perché a Dio basta il nostro sforzo e la nostra volontà sincera di riconoscere tutte le nostre mancanze e peccati di cui siamo a conoscenza.

È importante anche interrogarci sulle occasioni mancate di far del bene agli altri. In ogni caso le nostre domande riguarderanno sempre quattro punti: il nostro rapporto con Dio, con gli altri, col mondo e con noi stessi.

Possiamo riflettere: Quando, avevo l'impressione che nel mio comportamento o nelle mie azioni qualcosa non andava come Dio avrebbe desiderato? Com'è il mio rapporto con Lui? Credo nel suo amore? Mi fido della sua misericordia? Cosa faccio per conoscerlo sempre di più? Dove mi sono fermato nel mio cammino verso di Lui?

Qual è il mio rapporto con gli uomini che incontro, con la comunità, con la mia famiglia? Con la classe, con i colleghi di lavoro, con gli amici? Riesco ad accettare anche gli uomini che non mi sono simpatici? Ci sono situazioni non risolte, litigi aperti tra me e un altro? Ci sono uomini ai quali non riesco a perdonare? Sono disposto a servire tutti?

Come vedo la responsabilità che ho verso il mondo che mi circonda, nella mia professione, nel mio tempo libero? Come vivo la responsabilità che ho nei confronti dell'ambiente, della natura, ecc.?

Come mi comporto sulla strada? Come mi sento corresponsabile nei confronti dello Stato, della società?

Quali sono gli ostacoli che mi bloccano nella mia vita personale? Come mai non vado più avanti? Posso accettarmi e voler bene a me stesso? Vivo con la convinzione che Dio mi accetta e mi ama cosi come sono? Quali talenti non ho lasciato fruttificare? In che punto ho fatto atrofizzare la mia vita di uomo, e di cristiano?

Riflettendo su tali punti, riesco forse anche a scoprire nuovi impulsi, aiuti per migliorare la mia vita. Scelgo allora un proposito ben definito per il prossimo periodo di tempo.

Alla fine, posso esprimere a Dio, in una preghiera personale, che mi rincresce di aver peccato e che vorrei impegnarmi seriamente per migliorare la mia vita.

MODI DIVERSI PER CONFESSARSI

Il modo di confessarmi posso sceglierlo personalmente. Posso andare in un confessionale o posso anche chiedere ad un sacerdote di prendersi il tempo per ascoltarmi. Il confessore mi aiuterà, anche ne caso che non lo sappia più fare. Posso confessare i miei peccati nei modi più diversi, secondo lo schema o i punti formulati durante la preparazione; posso anche descrivere le situazioni in cui sono caduto in peccato. I bambini possono, ad esempio, esprimere i loro peccati sotto forma di esperienze o di brevi storie. La forma della Confessione non è importante, è importante invece il mio sforzo a dire sinceramente e in modo comprensibile al confessore i miei falli e debolezze, cosi come si presentano nella mia vita. Il confessore ha il compito di aiutare il penitente ad incontrarsi con la misericordia di Dio. Deve anche aiutarlo perché riesca ad abbandonarsi totalmente all'amore di Dio e poi annunciargli il perdono nel nome di Gesù risorto. Al tempo stesso il confessore deve allontanare pericoli possibili; per esempio, nel caso in cui taluno sia troppo esigente nei confronti di se stesso, oppure abbia dimenticato la sua missione nel mondo.

Un altro compito del confessore è quello che taluni oggi chiamano «guida sulla via della conversione». La conversione del singolo ha spesso bisogno di uno che lo sproni; a tener duro, che gli infonda sempre nuovo coraggio... Questo ausilio alla conversione non è necessariamente legato alla Confessione. Un colloquio con un cristiano convinto o con un gruppo di buoni amici può assolvere lo stesso ruolo. Al sacerdote è affidato invece soprattutto il compito di dare il perdono in nome di Dio, di incarnare il si che Dio dice all'uomo. Può offrire sempre il suo aiuto per la vita del singolo, ma questo può anche essere distinto dalla Confessione.

Dopo qualche parola di incoraggiamento, il sacerdote imparte l'assoluzione con la seguente formula:

«Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a Sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace.

E io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

DOPO LA CONFESSIONE

Il sacramento della riconciliazione ha il carattere di una breve celebrazione liturgica e si chiude con un ringraziamento. Possiamo meditare un po' in silenzio, fare un ringraziamento, adempiere la penitenza che il sacerdote ci ha dato. Questa può consistere in una preghiera (nuovo inizio del rapporto con Dio), in un'opera buona (nuovo inizio del rapporto col prossimo), in una rinuncia a qualcosa (un aiuto per realizzare, in modo chiaro e consapevole, il nuovo orientamento di vita).

La Confessione rende liberi e può essere vissuta come autentica esperienza di liberazione. Comunque, può sempre accadere che certi comportamenti sbagliati lascino delle conseguenze psichiche che non scompaiono semplicemente con la Confessione. Anche nella sofferenza per tali conseguenze e nello sforzo per superarle, io non sono mai solo. Naturalmente è richiesta la mia collaborazione, ma essa significa la mia partecipazione all'opera di redenzione di Colui che mi ha perdonato e che vuole completare in me l'opera da Lui già iniziata.

COME CI SI CONFESSAVA IN PASSATO

Se guardiamo a ritroso la storia del cristianesimo, possiamo costatare che la Confessione è sempre stata concepita e praticata come un sacramento, anche se la sua forma è cambiata varie volte. Nei primi secoli della Chiesa chi voleva diventare cristiano (generalmente un adulto), chiedeva il battesimo. Dopo un lungo periodo di preparazione era finalmente ammesso nella cosiddetta «comunione dei santi», cioè nella comunità cristiana.

Allora il peccato significava separarsi coscientemente e deliberatamente da quella famiglia di figli di Dio (cf. At 5, 1-11; 1 Cor 5, 1-2). Per i cristiani dei primi tempi il peccato rappresentava qualcosa di cosi grave da esser convinti che un battezzato che avesse peccato potesse una volta sola ricominciare la sua vita ed essere riammesso nella comunità cristiana. Questa riammissione veniva compiuta secondo un rito prestabilito: chi aveva peccato chiedeva la penitenza nella sua confessione individuale al vescovo o ad un sacerdote a ciò delegato e questa gli veniva impartita con l'imposizione delle mani. Il penitente riceveva quindi un abito penitenziale e doveva, durante i servizi religiosi, prender posto in un sito particolare. Trascorso il periodo di penitenza, avveniva la cerimonia di riconciliazione davanti alla comunità, durante la liturgia del Giovedì Santo. Da quel momento il penitente poteva riaccostarsi al banchetto eucaristico.

Fino al VII e all'VIII secolo, nella Chiesa d'Occidente si seguiva questa tradizione: la penitenza si poteva ricevere nella vita una volta sola. Soprattutto sotto l'influsso dei missionari irlandesi si fece strada una nuova pratica penitenziale: il penitente cerca un sacerdote, confessa a lui le sue colpe, recitano insieme lunghe preghiere, i cosiddetti salmi penitenziali; poi gli viene data la penitenza ed il sacerdote gli chiede se crede veramente nel perdono dei peccati e se vuole adempiere la penitenza assegnata. Indi il penitente riceve l'assoluzione oppure--la prassi non è ovunque e sempre identica--dopo aver adempiuto la penitenza, torna dal sacerdote per un atto di riconciliazione. La penitenza non era più un atto pubblico e, inoltre, poteva essere ripetuta. Le penitenze avevano una durata limitata: per esempio, consistevano in un digiuno, nell'astensione da bevande alcoliche o dalla carne, in elemosine, nel compiere pellegrinaggi o nella recita di preghiere.

Nello sviluppo successivo, che poi è rimasto fino ai nostri giorni pressoché immutato, la penitenza ha subìto una continua svalutazione. Si è sottolineata maggiormente la confessione dei peccati fino al punto da ritenerla fondamentale e dare al sacramento appunto il nome di «Confessione». Si affermò dovunque la prassi che il penitente ricevesse l'assoluzione subito dopo la Confessione e potesse fare in seguito la penitenza.

Dal «conforto derivante dalla carità» (Fil 2, 1) e dall'esortazione a correggersi l'un l'altro (cf. Rm 15, 14), ad ammaestrarsi e ammonirsi (cf. Col 3, 16) e a consolarsi (cf. 2 Cor 1, 4) del Nuovo Testamento si sviluppò, accanto alla Confessione vera e propria, per un nuovo inizio di vita, la Confessione - direzione spirituale. Questa veniva fatta anche da laici ed esprimeva la sollecitudine fraterna e la preghiera comune per ottenere perdono e santificazione. La Chiesa dei primi tempi la considerava come un sacramento in senso lato. Oggi, amministrata dal sacerdote, è divenuta una delle forme possibili per compiere il sacramento della riconciliazione.

Oggi, nella prassi penitenziale della Chiesa, la Confessione individuale come confessione di conversione, la liturgia penitenziale e la Confessione come direzione spirituale hanno ciascuna il loro posto particolare e tutte insieme queste forme esprimono che penitenza, perdono e riconciliazione appartengono in modo inscindibile alla vita della Chiesa.