AUTORITRATTO SENZA CORNICE

«Il sole è la cosa che preferisco di tutta la natura, forse perché è un elemento indispensabile alla vita, alla quale sono attaccatissima. È inoltre il sole che mette in risalto tutte le bellezze naturali illuminandole e rischiarandole. Quando il sole manca, anche i più bei paesaggi sono cupi e noiosi».

I1 profilo umano di Maria Orsola non ci manca. È una ragazza come tutte. Sogna come tutte le ragazze della sua età Innamorata del sole. Innamorata della libertà, «credo che nessun uomo abbia il diritto di togliere la libertà a un suo simile» e pertanto ammiratrice di Jan Palach di cui sente di condividere appieno il testamento: «Combattete la vostra guerra da vivi!» Palach si è suicidato «con coraggio... per il suo grande ideale»; della libertà del popolo cecoslovacco; ma per avere la libertà bisogna vincere l'egoismo: è questo che conduce alla mancanza di comprensione e di fratellanza. Un luogo comune, viene da dire. Sennonché Maria Orsola è concreta, e conclude questi pensieri con una nota personale: «Devo quindi vivere bene la mia libertà e cercare di non fraintendere quella vera da quella sbagliata; questa è schiavitù di se stessi, del proprio egoismo».

Di pari passo con la libertà cammina la felicità, raggiungibile unicamente con lo «sforzo di uscire dal proprio egoismo per rivolgersi verso gli altri».

«Personalmente sono d'accordo con Montale nell'affermare che la felicità è una cosa fragilissima. Quante volte mi è capitato di vedere svanire quella gioia che a fatica avevo conquistata, per motivi banali e futili! Ma dopo la ricercavo affannosamente con tutte le mie forze, in ogni angolo del mio animo... nell'impegno di fare le cose bene ogni momento... cercandola non nelle grandi, ma nelle piccole cose d'ogni giorno».

Dimostra un comprensibile entusiasmo anche per le imprese spaziali, ma ciò che ti sconcerta è la conclusione: «però capisco che, come gli scienziati e gli studiosi fanno nuove scoperte, io ne possa e ne debba fare nel piccolo mondo in cui vivo». Quali? Non è la sola volta che nei temi svolti al liceo scientifico Maria Orsola si blocca, reticente, su un'affermazione appena abbozzata, quasi timorosa di mettere a nudo l'anima.

D'accordo, un liceo scientifico non è un noviziato di suore. Si può esprimere l'anima in un liceo scientifico? E quando le si chiede se ha dei modelli di comportamento che l'aiutino nella ricerca di se stessa, può forse dire ciò che veramente pensa? Meglio girare al largo e affermare che «insomma, non ho una persona particolare che cerco di imitare, ma tento di conoscere e poi assimilare ciò che ci sia di positivo in tutte le persone con cui ho modo di stringere amicizia. Però, nonostante questo, ho nella mia mente un modello che vorrei seguire per essere veramente me stessa».

Stop. Non una parola di più. Buon per lei che il suo diario privato non era accessibile alla professoressa. È lì che troveremo la verità di lei.

Frattanto la vediamo sui campi di neve, spericolata nelle discese, sferzata dalla tagliente aria delle Alpi, eseguire a valle degli apprezzabili cristiania.

La trovi in Lussemburgo, sorridente in camicetta gialla e gonna rossa ai piedi di un elefante di pietra; la incontri all'uscita d'un museo di Parigi o d'una basilica romana. Turismo gratis, o meglio quasi gratis perché ha sgobbato sui libri per vincere i concorsi scolastici.

Ma soprattutto la senti, perché canta. Canta pizzicando con garbo e delicatamente le corde della chitarra. E canta moderno. «Grandi opere, quelle di Beethoven, Chopin e Bach dice - ma non le capisco, forse perché quel genere di musica non mi attira come quella "beat", piena di vivacità». Musica minore questa? Certamente. «In compenso però è dinamica... piena di brio come i giovani stessi». Ma non le piaceva il chiasso. «Una volta ho chiesto ad alcuni ragazzi di un complesso come mai suonavano in modo così rumoroso, e loro mi hanno risposto: "per non sentire il vuoto che abbiamo nell'anima". E forse è vero perché non avendo trovato in altre cose la soluzione alla loro infelicità, non essendo riusciti a colmare il loro vuoto, credono di poter risolvere almeno in parte i loro problemi con questo sistema».

Anche qui reticente. Ma non lo sarà più otto mesi prima di morire, anche se pagherà la franchezza con un cinque in componimento, l'unico preso al liceo. Vale la pena leggerlo. «La mia preferenza assoluta va a un genere ben determinato di canzoni, quelle che non vengono fatte solamente per attirare l'attenzione del pubblico perché si acquistino dischi, insomma per puro interesse... ma che vengono composte per dare qualcosa a chi le ascolta. La musica che viene adottata per queste canzoni è musica moderna; ciò che c'è di diverso sono le parole e il loro significato. La mia canzone preferita appunto è una che appartiene a questo genere e si intitola: Ti cerco. Mi piace in modo particolare perché mi sembra esprimere le esigenze che oggi hanno i giovani di questo mondo alla continua ricerca di qualcosa che li soddisfi, che li renda felici, ma che non trovano. E io credo che questa esigenza sia il ricercare inconsciamente qualcosa che ci riempia pienamente la vita, che sia Amore, qualcosa d'infinito, cioè Dio. La canzone inizia con una invocazione a Dio con la quale si chiede che lui ci aiuti a costruire un mondo nuovo dove non esistano più guerre, lotte razziali, ingiustizie sociali, ma dove regni la pace e tutti si vogliano bene: "Dio, ti prego, fammi svegliare un giorno e sentire il canto degli uomini che hanno scoperto l'amore e hanno dimenticato l'odio, le guerre... Io vorrei vedere un nuovo mondo che ritrova la sua fede in te; il suo vuoto solo tu lo puoi colmare. Quando nel mondo c'è la notte, un grido sale al cielo, ma non rispondono le stelle a quel perché. Anch'io ti cerco, e tu lo sai; dove mai sei tu?"». Poi, improvvisamente, dopo aver molto cercato, si capisce, si scopre con molto stupore, ma anche con tanta gioia, dov'è Dio: non lontano ma vicinissimo a noi, nel nostro prossimo, in chi ci passa accanto, nell'ammalato, nell'antipatico. Infatti Gesù ci ha detto che lui è presente in tutti con la frase: "Qualunque cosa avrete fatta al minimo l'avrete fatta a me". E allora, dopo questa meravigliosa scoperta potremo anche noi dire e cantare: "Anch'io ti cerco, e ora so dove tu sei!"».

L'influenza che hanno avuto i complessi Gen Rosso e Gen Verde di Loppiano sull'anima di Maria Orsola salta agli occhi. Nei loro canti trova un'arte e un contenuto musicale che si fa espressione di un mondo nuovo già iniziato: non vaghe aspirazioni o profetismo ottimista a buon mercato; lì la vita nuova gliela leggi in faccia a tutti, lì la fratellanza la cantano perché la vivono, lì l'amore non sa di romanticheria decadente o di impulsi biologici, bensì diventa canto e annuncio di una vita evangelica che s'è fatta comunione e perciò paradiso ritrovato. Maria Orsola questa esigenza la sente drammaticamente e non può fare a meno di buttarla fuori ad ogni occasione. Il Natale «dovrebbe essere un invito per noi uomini ad abbandonare ogni odio e ogni rancore verso il nostro prossimo, a diventare più buoni, a volerci maggiormente bene, ma siamo sordi a questo invito e continuiamo a rimanere chiusi nel nostro egoismo ... Gli avvenimenti mostruosi di Milano servono almeno a far meditare, a dire, tutti insieme: no alla violenza, no al male, no all'odio». Perfino la pubblicità, invece che ingannare la gente «dovrebbe servire per uno scambio di idee, di pensieri, per una maggior diffusione del bene, per valorizzare i lati positivi che esistono nell'uomo e per correggere i lati negativi. Sarebbe utile per richiamare alla mente di noi, uomini egoisti, i problemi scottanti che oggi tormentano il mondo... per farci guardare maggiormente al prossimo». La sua visione del futuro, comunque, è serena, poiché «specialmente in noi giovani c'è la volontà di cambiare le cose che non vanno», non con la violenza ma con una vita di donazione; «molti infatti sono i giovani che dedicano il tempo libero alle persone più bisognose, al prossimo che soffre... e se tutti gli uomini cercassero il bene l'uno dell'altro, tutti i problemi di ordine sociale, morale e scientifico verrebbero risolti. Vedo il mondo migliorare a poco a poco, le persone che si contagiano col bene e non col male, che si salutano, si sorridono, dimenticando l'invidia e la gelosia... Un mondo dove tutti si aiutano e si vogliono bene, nel quale "non importa di che colore sei". Neanche il posto che occupi nella società, ma un mondo nuovo dove non ti senti solo e abbandonato in mezzo al frastuono delle macchine, dove ti trovi felice e contento in una grande famiglia».

Sarebbe sbagliato vedere in queste frasi un sogno adolescenziale tradotto in parole. Maria Orsola descrive una realtà storica che l'ha colpita al Centro Mariapoli di Rocca di Papa, a Loppiano, alla "Mariapoli" di Varese, un incipiente abbozzo di società basata sulla legge del cristianesimo, la legge dell'amore scambievole che il Movimento dei Focolari ha reso codice di vita concreta per tutti i suoi membri e che tramite la vita vuole diffondere nel mondo a tutti i livelli di età e di vita sociale. È uno stile di vita vecchio come il cristianesimo e assolutamente nuovo ogni volta che lo attui, poiché, dal momento che stabilisci con altri il rapporto di comunione totale nella carità che Gesù ha portato sulla terra come suo messaggio originale, tu diventi testimonianza al mondo che Dio è Amore Trinità e che la legge della socialità umana è la stessa della socialità divina.

Affascinante per te che ne fai l'esperienza, affascinante per gli altri come lo era la vita stessa di Gesù per il vecchio mondo, chiuso e involuto in un esacerbato individualismo. Maria Orsola questo fascino l'ha sentito trovandosi a faccia a faccia con chi s'era impegnato nella rivoluzione dell'amore, a rompere cioè i rapporti artificiali e fasulli che fanno dell'umanità una congerie di individui, per stabilire fra questi, con l'amore, la comunione stessa trinitaria che di «molti fa un sol corpo».

Un giovane non può non essere rivoluzionario. Ma c'è rivoluzione e rivoluzione. Maria Orsola ha imboccato quella giusta, e vi si è impegnata.