DOMENICA III DI AVVENTO/B 2005
6 Venne un uomo mandato
da Dio e il suo nome era Giovanni. 7 Egli venne come
testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per
mezzo di lui.
8 Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce. 19 E questa è la
testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme
sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Chi sei tu? ”. 20 Egli confessò e non
negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”. 21 Allora gli chiesero:
“Che cosa dunque? Sei Elia? ”. Rispose: “Non lo sono”. “Sei tu il profeta? ”.
Rispose: “No”. 22 Gli dissero dunque:
“Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che
cosa dici di te stesso? ”. 23 Rispose: “Io sono
voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il
profeta Isaia”. 24 Essi erano stati
mandati da parte dei farisei. 25 Lo interrogarono e
gli dissero: “Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il
profeta? ”. 26 Giovanni rispose
loro: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27 uno che viene dopo di
me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. 28 Questo avvenne in
Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
[Gv 1,6-8. 19-28]
Vivere nell’attesa vigile e operosa
del Signore Gesù, che verrà non solo al termine della storia e della nostra
vita, ma in modo speciale nel prossimo Natale, mentre continua a regalarci ogni
giorno una molteplice visita e presenza: ecco il senso dell’Avvento. La Parola
di Dio ci rivela alcuni tratti del volto di Cristo e insieme delinea la
fisionomia della comunità che lo aspetta e già lo incontra.
Colui “che viene” (Gv
1,27) è anzitutto il messaggero del “lieto annuncio ai poveri”. E’ Lui
in persona la “buona notizia” per tutti quelli che soffrono (Is. 61, 1-2: I
lettura). Gesù all’inizio della sua attività pubblica applicherà a se stesso
queste parole del profeta, identificandosi col personaggio consacrato e inviato
da Dio per annunciare e operare la salvezza di tutti gli infelici (cfr. Lc
4,31-43). In tal modo Gesù manifesta la sua scelta preferenziale dei poveri. Da
questo si riconosce il Messia, come pure la comunità che gli appartiene. Quando
i cristiani compiono le opere di misericordia, “è Cristo stesso che fa
queste opere per mezzo della sua Chiesa, soccorrendo sempre con divina carità
gli uomini” (Paolo VI).
All’annuncio di salvezza segue la
risposta della comunità credente: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia
anima esulta nel mio Dio”. Il fondamento di questa gioia straripante è “il
Signore...il mio Dio”: col suo
amore che salva Egli avvolge la comunità, personificata in una donna, come con
una veste nuziale.
Il canto di Maria, il Magnificat -
dove la medesima gioia risuona, ma con accenti, contenuti e motivi nuovi, e con
una intensità superlativa - diventa il canto della comunità cristiana (Sal.
resp.). Essa, come la madre di Gesù, sa di portare nel grembo il Salvatore,
mentre attende di incontrarlo nella luce piena, e dà libero sfogo alla propria
felicità e riconoscenza al Signore.
La gioia è senza dubbio la nota
dominante nella celebrazione odierna (cfr. ant. d’ingresso, I e II lettura, Sal. resp.). Ma rimane una
dimensione essenziale del cristiano, chiamato a testimoniarla davanti a una
società spesso affogata nella tristezza e addirittura nella nausea.
“Fratelli, state sempre lieti”
(1 Ts 5,16: II lettura). Questa esortazione di Paolo alla gioia è un motivo
ricorrente nei suoi scritti (cfr. es. Fil 4,4; 2Cor 13,11...). La gioia è la
divisa, il vestito del cristiano. Nel nostro testo l’imperativo della gioia non
può essere isolato dagli altri che seguono e con i quali va saldato: “...pregate incessantemente, in ogni cosa
rendete grazie...esaminate ogni cosa...”. La gioia vera si nutre di dialogo
con Dio, rendimento di grazie, discernimento spirituale (personale e
comunitario) in ogni situazione per trattenere ciò che è buono e rigettare ciò
che è male. Come dire che la gioia autentica è frutto dell’amore.
L’esperienza della gioia è legata al
rapporto con la persona di Gesù. E’ questa la sostanza del messaggio che nel
Vangelo ci offre Giovanni Battista con la sua parola e la sua vita. “Venne
un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni”. Già il nome stesso
(“Giovanni” significa: il Signore è misericordioso, il Signore ama) è un
annuncio di Colui nel quale la misericordia infinita di Dio si è pienamente
manifestata.
Giovanni è il “testimone”
di Gesù. “Testimone” è uno che ha visto, ha scoperto, ha incontrato, ha
sperimentato. Testimonianza a uno che è unico. Tutta l’esistenza e l’attività
di Giovanni si esauriscono, appunto, nel “rendere testimonianza alla luce”.
E’ Gesù la “Luce vera”, l’unico che rivela agli uomini Dio come Padre, come
Amore, rischiarando le tenebre dell’errore, del non senso, del peccato, della
morte in cui essi si dibattono. Né Giovanni, né alcun altro uomo della storia
possono rivendicare per sé tale prerogativa. E’ Gesù l’unico liberatore e
salvatore dell’uomo, l’unico che fa felici.
Per questo Giovanni, interrogato sulla
sua identità (“Chi sei tu?”), risponde di non essere né “il
Messia né Elia né il profeta”,
tutti personaggi che erano attesi per il tempo della salvezza. Giovanni
non ha alcun “Io sono” da vantare, da
esibire. La formula “Io sono” nel IV Vangelo è riferita solo a Gesù e indica la
sua dignità divina. Richiama, infatti, la rivelazione del nome di Dio a Mosè:
“Io sono colui che sono”. Per questo, quando Giovanni fa un’affermazione su di
sé e in qualche modo si definisce, non usa il verbo “sono”, ma dice
semplicemente: “Io voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via
del Signore”. Giovanni riconosce di essere una voce che si esaurisce
nel breve spazio di tempo necessario per comunicare un messaggio di speranza e
di salvezza e poi si spegne, scompare. La “Parola” invece rimane (cfr. Gv
1,1ss). Giovanni prosegue affermando che egli “battezza con acqua”.
Un’espressione che rimanda a una sua successiva testimonianza su Gesù come “Colui
che battezza in Spirito Santo” (Gv 1, 33), cioè colui che immerge nello
Spirito Santo.
Giovanni riconosce che una distanza
abissale lo separa da Gesù: non è degno neppure di offrirgli l’umile servizio
dello schiavo (v.27). Non vuole legare a sé le persone, ma le indirizza a Gesù:
è un “indice puntato verso Cristo”.
“In mezzo a voi sta uno che voi
non conoscete”. E’ un appello pressante a riconoscere la presenza del
Salvatore. Gesù non è immediatamente riconoscibile proprio perché, rispetto
alla storia passata, è così nuovo e così grande che rimane per ora nascosto
alla gente. Gesù è imprevedibile e superiore a ogni attesa possibile. E’
assolutamente unico.
La testimonianza di Giovanni ci invita
a scoprire la vera identità di Gesù e a rimarcare la differenza tra Lui e tutto il resto. Si tratta di conoscerlo
bene e non confonderlo con altre personalità che pur hanno inciso nelle
esperienze religiose dell’umanità. Il rischio della confusione c’è: per es.
nelle sette, a cominciare dai testimoni di Geova per finire nel New Age,
l’identità di Gesù quale Figlio di Dio e unico Salvatore degli uomini viene
svuotata e appiattita.
Come Giovanni, anche noi siamo
chiamati a essere testimoni della Luce, cioè a presentare, a fare incontrare
Gesù nella sua autenticità: Figlio di Dio fatto uomo. Anche ogni cristiano deve
ripetere: “Io sono voce”, cioè con la mia vita e con le mie parole sono un
invito a ogni persona perché volga il cuore al Salvatore e prepari la sua
strada all’incontro con Lui. Siamo voce chiara e convincente? Oppure voce
debole, spenta?
“In mezzo a voi sta uno che voi
non conoscete”. Anche tra noi, nelle nostre parrocchie, c’è Uno che
spesso non conosciamo o a cui non facciamo attenzione. Così per es. ci sono
cristiani praticanti che non leggono per niente il Vangelo e
manifestano un’ignoranza impressionante su Gesù e il suo messaggio. Quanti
capiscono che Gesù è incomparabile ed è la novità infinita di Dio
che dà la gioia piena? Quanti, poi, sono consapevoli di ciò che accade in ogni
Eucaristia e pensano, fin dall’inizio della celebrazione, che Lui c’è, in
persona, realmente?
I cristiani sono quelli che sono “sempre
lieti, pregano incessantemente, in ogni cosa rendono grazie”. Questa loro
fisionomia deve risplendere soprattutto durante la celebrazione
eucaristica: “L’Eucaristia è un mistero di così grande gioia che può essere
celebrato solo cantando” (San Gregorio Magno).
Che cosa occorre perché le nostre
assemblee liturgiche siano più gioiose, meno monotone, meno pesanti, più
partecipate, più fraterne e tali che, ripartendo, ci sentiamo più sereni, più
contenti e in grado di offrire a tutti una testimonianza più credibile e
convincente? Tu che cosa suggeriresti e come potresti contribuire?
Tutta l’esistenza di Giovanni è
relativa a Gesù, è spiegata da Gesù. E la mia esistenza?
Giovanni vuole scuotere dal torpore,
dall’indifferenza, e risvegliare in ciascuno l’attesa, il desiderio del
Salvatore. Quale salvezza ci porta Gesù? Ne sentiamo bisogno? Che cosa ci
aspettiamo da Lui?
Mi ritrovo nell’umiltà di Giovanni,
consapevole dell’unicità di Gesù e tutto interessato a Lui?
Come fare perché il Natale, in cui
celebreremo l’Incarnazione del Figlio di Dio, sia il momento in cui noi, e
molti attraverso di noi, potremo incontrare il “Festeggiato”, Gesù Cristo?