DOMENICA VI T.O/C
17 In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si
fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran
moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro
e di Sidone,20 Alzati gli occhi verso i suoi discepoli,
Gesù diceva:“Beati voi poveri, perché
vostro è il regno di Dio. 21 Beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete,
perché riderete. 22 Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e
respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo.23 Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché,
ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. 24 Ma guai a voi, ricchi, perché avete
già la vostra consolazione. 25 Guai a voi che ora siete sazi,
perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché
sarete afflitti e piangerete. 26 Guai quando tutti gli uomini
diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti
facevano i loro padri con i falsi profeti”.
[Lc 6,17.20-26]
Il profeta Geremia (17, 5-8: I
lettura) in un dittico molto vivo presenta due categorie di persone, che
sono nettamente contrapposte le une alle altre. Da una parte l’uomo “che
confida nell’uomo”, che ripone la sua fiducia nella
“carne” (=l’uomo debole e fragile, incapace di offrire sicurezza e
stabilità). Conta sull’alleanza dei potenti, sui beni che possiede, sulle
proprie qualità fisiche e morali... “e dal Signore allontana il suo cuore”.
Tale uomo è “maledetto”, cioè separato dalla
fonte della vita, che è Dio, privo della sua amicizia e condannato
all’insuccesso totale. Assomiglia a una pianta che
cresce stentatamente in un terreno arido. Dall’altro lato, “l’uomo che
confida nel Signore e il Signore è sua fiducia”.
Si affida incondizionatamente a Lui e gli rimane
fedele sia nella buona che nella cattiva sorte. E’ “benedetto” da Dio,
che lo considera suo amico e lo colma di ogni bene.
Assomiglia a un albero che cresce vegeto e fecondo
lungo un corso d’acqua. Le cose stanno così agli occhi di Dio, cioè nella realtà. Esteriormente,
in facciata, può apparire il contrario: es. chi confida “nella carne” è
florido e baciato dalla fortuna, dal successo. Ma
nella verità del suo essere davanti a Dio è proprio così? Un giovane che
“scoppia” di salute, un campione olimpionico può essere più “malato” di un
disabile. Una persona, infatti, è sana perché ama. Sta a noi
decidere a quale delle due categorie appartenere.
Nella linea di Geremia si colloca Gesù nel proclamare
le quattro beatitudini e nel minacciare i quattro
“guai”. Le beatitudini - che costituiscono il cuore della Buona Notizia - le
abbiamo in due forme redazionali in cui aprono il primo vero discorso di Gesù:
Mt. 5, 1-12 (cfr. festa di tutti i Santi e IV domenica
T.O.A) e Lc. 6, 20-26 (Vangelo odierno). All’inizio della sua attività, nella
sinagoga di Nazaret, riferendosi al profeta Isaia, Egli aveva fatto suo il
programma messianico di colui che Dio
“ha mandato per annunziare ai poveri un
lieto messaggio” (Lc 4, 16-21: domenica III T.O.C).
Ora lo attua concretamente. I due
testi si corrispondono nella sostanza, ma presentano anche notevoli
differenze. Il “beati!”, che in Matteo risuona
per nove volte, in Luca invece solo quattro volte: sono proclamati beati i
poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati. In Matteo Gesù usa
la terza persona; in Luca invece si esprime alla seconda persona plurale, cioè si rivolge loro in modo diretto e immediato, in forma
strettamente personalizzata: “Beati voi!” Cioè: Fortunati voi!
Date libero sfogo alla vostra felicità! Il contenuto del “beati!”
viene esplicitato nei due imperativi “Rallegratevi
ed esultate”. Il primo significa una gioia interiore che riempie
l’anima. Il secondo esprime una gioia che trabocca fuori in un impeto
incontenibile. A chi lo dice Gesù? A veri poveri, affamati, piangenti,
perseguitati: le tre ultime categorie richiamano altrettante forme di povertà.
Chi sono precisamente? Luca nota che Gesù, prima di
pronunciare le beatitudini, “alza gli occhi verso i suoi discepoli”.
Si rivolge cioè ai cristiani che forse sono diventati
poveri, perché perseguitati e spogliati dei loro beni a causa della loro
fedeltà a Cristo. Beati perché? “Perché
vostro è il regno di Dio”. Il “regno di Dio” è Dio
stesso che ha deciso di intervenire, esercitando la sua sovranità regale in
vostro favore. Il “regno di Dio” è l’irruzione dell’infinita tenerezza di Dio
nella storia. E’ Dio - l’infinitamente potente e misericordioso - che si fa
incredibilmente vicino, prossimo agli uomini. Questa presenza di Dio Amore
elimina necessariamente ogni sofferenza e ingiustizia, la morte stessa, tutto
quello che rende l’uomo meno uomo. Questo Regno sta
entrando nel mondo attraverso Gesù: “Beati voi!”, perché sono
arrivato io. E’ quanto Egli afferma implicitamente. “Beati” già
ora, anche se i destinatari non lo sanno. Gesù col suo annuncio gioioso vuole,
appunto, portarli a prendere coscienza di questa loro felicità. Noi cristiani
sappiamo di essere felici, anzi di avere tutti i
motivi per esserlo? Sappiamo che Gesù vuol fare dei suoi discepoli delle
persone semplicemente felici e non concepisce che si possa essere suoi
discepoli senza essere felici?
Beati già ora; ma ciò che fonda tale
felicità è un avvenimento ancora futuro (“Sarete saziati, riderete etc.”). Quindi la felicità, di cui i poveri devono prendere
coscienza, non esclude affatto l’esperienza attuale del dolore. Si noti il
contrasto molto marcato fra “ora avete fame,
piangete...” e il
futuro “sarete saziati, riderete...”. Nella vita presente la
sofferenza di ogni tipo non è un fatto eccezionale,
ma fa parte della trama della vita. Non
deve stupirci. Semmai è la sua assenza che dovrebbe
sorprendere e inquietare (cfr. Lc 24,26; At. 14, 22). Le beatitudini,
destinate ai cristiani (che “ora” sono poveri, piangenti etc.) hanno un
significato ultra terreno e intendono incoraggiarli, consolarli nella
condizione di sofferenza in cui essi attualmente si
trovano. Si guardino dall’invidiare coloro che oggi godono e hanno
successo, perché la speranza che i credenti hanno messo in Cristo fa di
loro già ora dei veri “beati”. Il futuro di felicità, che attendono, lo
contemplano anticipato in Gesù “risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1Cor. 15,20: II lettura). Il suo
destino è riservato anche ai discepoli che - come già Lui - sperimentano la
povertà, la persecuzione e ogni genere di sofferenze.
In stretto parallelo con le quattro beatitudini segue
una serie di quattro “guai a voi,
ricchi...che ora siete sazi...ora ridete...e di cui tutti gli uomini dicono
bene”. Abbiamo qui come il ...rovescio della medaglia. Non si tratta di
vere maledizioni. Suonano piuttosto come minaccia e forte appello alla
conversione. Il senso è: Infelici voi! Poveri disgraziati! Come siete da compiangere! In ogni modo, con accenti
impressionanti Gesù stigmatizza il mondo dei ricchi,
sazi, gaudenti, arrivisti, consumisti, che hanno il cuore chiuso a Dio e ai
fratelli. Un richiamo anche per noi: come non restare colpiti dalla forza provocatoria delle sue parole?
Il problema principale di ogni
uomo è il problema della felicità. Gesù vuole assicurarci che la felicità è possibile e
offerta a tutti, nessuno escluso. Ma ne rivela anche
il contenuto. Chi è davvero beato? Chi è miliardario, chi ha
successo, chi arricchisce ingannando, chi domina e assicura la sua vita
schiacciando gli altri? La risposta di Gesù a tutti questi interrogativi
spiazza e manda in tilt la mentalità corrente e le attese comuni. In
definitiva, Gesù ci dice che Dio e soltanto Lui fa felici e la sua gioia più
grande è quella di far felici. Ma tale felicità si
trova nel rapporto col Padre, nella comunione con Lui. Gesù non solo annuncia le beatitudini, ma ne è il primo
destinatario. Esse sono il suo “autoritratto”. Egli le
ha gustate nel modo più perfetto nell’esperienza della risurrezione. In Lui
siamo chiamati a specchiarci senza tregua.
Il messaggio e l’appello delle quattro beatitudini,
come dei quattro “guai” corrispondenti, ce lo sentiamo
rivolgere direttamente e personalmente da Gesù? Che cosa proviamo nell’ascoltarlo?.
“Beati voi che ora piangete”. Gesù ci assicura
che Dio vuole superare tutto il male che ci fa soffrire. Ha bisogno che gli diciamo: “Mi fido di te e a te mi affido!”. Mi ricorda anche
che, quando io soffro (malattia, stanchezza, fallimento, angoscia,
paura, solitudine...), posso fare tanto bene con la mia sofferenza, se gli
dico: “Soffro con te. Unisco la mia pena alla tua”. Davanti al dolore degli
altri, poi, mi chiede di fare del bene a coloro che
soffrono. In che modo? Es. dando loro tempo, attenzione, ascolto,
compagnia, aiuto materiale etc.. Tutto questo lo
riceve Egli stesso, nascosto in ognuno di loro.
Fare del bene con la nostra sofferenza. Fare del bene a chi soffre.
Quante volte mi succede al
giorno? Ecco il segreto per essere veramente “beati” ,come
ci dice Gesù.