II DOMENICA T.O./C

 

                   1 In quel tempo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3 Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. 4 E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. 5 La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. 6 Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. 7 E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le riempirono fino all’orlo. 8 Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. 9 E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo 10 e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”. 11 Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 12 Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.

[Gv 2,1-12]

 

Dopo la manifestazione di Gesù in occasione del suo battesimo, un altro “mistero di luce” è il miracolo di Cana: “Cristo, cambiando l’acqua in vino, apre alla fede il cuore dei discepoli grazie all’intervento di Maria, la prima dei credenti.” (RVM 21; cfr LG 58). Operando tale miracolo (che l’evangelista chiama propriamente “segno”, anzi “inizio dei segni”), Gesù “manifestò la sua gloria”, cioè la sua realtà più profonda, la sua identità di Messia, anzi di Figlio di Dio, suscitando in tal modo una fede iniziale nei suoi discepoli.

Tutta l’attenzione è su Gesù, il grande protagonista.  La sua presenza, come invitato, a una festa di nozze mostra che il Figlio di Dio “incarnato” condivide l’esperienza umana in tutti i suoi momenti, di sofferenza ma anche di gioia. Riconosce il valore dell’amore umano e del matrimonio, anzi lo “santifica”, offrendosi agli sposi come compagno di viaggio e “complice” della loro avventura. Ma il testo evangelico dice molto di più. Il racconto - come è nello stile del IV Vangelo - occorre leggerlo anche a un livello più profondo, riconoscendone  il significato simbolico. L’intervento di Dio nella storia in favore del suo popolo attraverso il Messia era atteso come una festa di nozze (cfr. es. Is 62, 4-5: I lettura), nella quale i suoi beni sarebbero stati donati in abbondanza. In modo speciale il vino simboleggiava tali beni messianici (cfr. Am 9, 13-14; Gio 2, 23ss. etc). Gesù, quindi, a Cana inaugura la festa nuziale della Nuova Alleanza. Infatti porta il nuovo e il meglio. In che senso? L’acqua delle giare, che serviva per la purificazione rituale dei Giudei, viene trasformata in vino: simbolo del passaggio dal regime della Legge alla realtà nuova portata da Gesù. Il vino, poi, è migliore, come riconosce il “maestro di tavola” (v.10). Ed è abbondante: i servi hanno riempito fino all’orlo le sei giare “contenenti ciascuna due o tre barili”. Una quantità notevole: dai cinque ai sette ettolitri circa. E’ singolare il fatto che in questa festa di nozze la sposa non appare mai e lo sposo una volta soltanto. Ma le parole, che il maestro di tavola gli rivolge, in realtà riguardano Gesù (v.10). E’ Lui il vero sposo della festa nuziale, il Messia Sposo che offre i beni messianici nuovi e abbondanti: cioè il Vangelo, l’Eucaristia e lo Spirito Santo, che distribuisce una grande varietà di doni e di servizi (cfr. 1Cor. 12, 4-11: II lettura).

Ma c’è da precisare ulteriormente. Gesù, nella sua risposta alla madre, parla della sua “ora”. Questa espressione nel IV Vangelo indica il momento in cui Egli manifesterà la sua gloria attraverso la croce e la risurrezione. Rimanda quindi Maria a tale evento. Vale a dire, Gesù è lo Sposo che si dona per amore (le nozze evocano appunto l’amore nuziale). E si dona sulla croce. E’ qui che la sua autodonazione sponsale raggiunge il suo vertice. E da qui scaturiscono i beni messianici. Tale auto- donazione di Cristo, con i beni che ne derivano, è resa attuale e presente nell’Eucaristia, che viene richiamata in modo velato dai simboli del vino e del banchetto nuziale.

 

Se nel racconto tutto ruota attorno a Gesù, Maria però svolge un ruolo decisivo. Ciò che Gesù compie, rivelando la sua “gloria”, avviene alla sua presenza e in seguito al suo intervento. Maria -come sarà intimamente associata al proprio figlio sul Calvario - così già in questa rivelazione iniziale è presente in modo partecipe e attivo. L’evangelista la designa con l’espressione “la madre di Gesù” (così anche nel testo parallelo di Gv 19, 25-27). Sottolinea cioè la sua relazione materna con Lui.

Essa è presente alla festa per motivi di parentela o di amicizia. Forse serve anche a tavola. Maria è la prima che avverte l’increscioso incidente e con delicatezza lo comunica al figlio: “Non hanno vino”. In queste parole l’accento non è posto sulla mancanza di vino, ma sulle persone e la loro umiliazione.  Essa si preoccupa degli sposi e della loro felicità. Espressamente non chiede nulla a Gesù, ma si affida a Lui. Le basta fargli presente la situazione (cfr. Gv 11,3). Comunque cerca di coinvolgerlo.

Che ho da fare con te, o donna?”. Tale domanda nella Bibbia esprime un certo dissenso e disaccordo. Gesù fa capire a Maria che il suo influsso e la sua autorità di madre su di Lui sono cessate ed Egli in modo autonomo deve dedicarsi al disegno del Padre. Maria sta pensando al vino del banchetto, mentre Gesù è interessato ai beni superiori che il vino può significare. Maria è quindi invitata a fare uno scatto nella fede. E lei rinuncia al legame precedente con Gesù, non si rivolge cioè più a Lui da madre, ma interviene da credente. Tutto ciò viene evidenziato dalle parole che rivolge ai “servi”: “Fate quello che vi dirà”. C’è qui un richiamo alla professione di fede con cui il popolo di Israele si era impegnato nel concludere l’alleanza col Signore al Sinai: “Quanto il Signore ha detto noi lo faremo” (Es. 19, 8 e 24, 3-7). Israele non di rado viene raffigurato nella Bibbia come una “donna” in rapporto allo Sposo che è il Signore. Ora Maria poco prima è stata appunto chiamata da Gesù “donna”: un appellativo strano sulla bocca di un figlio, mentre si rivolge alla propria madre. Vale a dire, Maria personifica il vero e nuovo popolo di Dio nel momento in cui il Signore lo lega a sé nella Nuova Alleanza. Rappresenta e impersona la Chiesa sposa di Cristo. E’ la prima discepola, modello di docilità alla Parola per tutta la Chiesa. Anzi Maria svolge anche quasi un ruolo materno nei confronti dei “servi”, che diventano simbolo di quanti nella Chiesa servono e obbediscono alla parola di Gesù (sia i “ministri” sia tutti i discepoli).

Ogni volta che la domenica ci ritroviamo insieme per l’Eucaristia, si festeggia “uno sposalizio” come  a “Cana di Galilea”. E’ presente Gesù e non può mancare sua madre. E’ Gesù lo Sposo che celebra la festa del suo incontro nuziale con la sua sposa, la comunità cristiana, e ogni volta le dona il vino nuovo e sovrabbondante: la sua rivelazione, cioè il Vangelo, la sua Alleanza, il suo amore nuziale che è lo Spirito Santo, la sua “pace” (Gv 14,27). Questa festa è destinata a prolungarsi in modo permanente. Come fare perché tale festa non finisca mai o - se venisse compromessa - riprenda nuovo vigore? Il segreto ce lo insegna Maria. Essa fa un duplice intervento. Anzitutto lo dice a Gesù: “Non hanno più vino”. Quando in una famiglia o comunità insorge un problema, la prima cosa da fare è confidarlo a Gesù. Maria poi - è il suo secondo intervento - esorta i “servi”, noi: “Fate quello che vi dirà”. Queste sono le ultime parole di Maria riportate nel IV Vangelo, anzi in tutti Vangeli. Sono quasi il suo testamento: Ascoltate le parole di Gesù e vivetele insieme. Ogni domenica Maria ce lo ripete. E’ “la grande ammonizione materna che Ella rivolge alla Chiesa di tutti i tempi” (RVM 21), lei che è la parola di Gesù perfettamente vissuta.Riusciamo a vivere così l’incontro eucaristico della domenica? E’ ogni volta per noi un rinascere  come discepoli che credono in Lui”?

Si celebra la 93° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema “La famiglia migrante”. Il Papa nel suo messaggio sottolinea l’impegno della Chiesa a favore non solo dell’individuo migrante, ma anche della sua famiglia, che oggi incontra tante difficoltà per il suo ricongiungimento e per la sua integrazione. Si tratta di “sensibilizzare le comunità ecclesiali e l’opinione pubblica sulle necessità e i problemi, come pure sulle potenzialità positive delle famiglie migranti”. Si tratta di attivare la “fantasia della carità” nei confronti di tutti questi fratelli nei quali la fede riconosce il volto di Cristo.

 

La relazione di fede in Gesù accomuna tutti i battezzati, anche se appartengono a confessioni diverse. Ce lo richiama la settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani (18-25 gennaio). Gesù rimane l’unico tesoro al quale tutti i cristiani, pur ancora divisi tra loro, attaccano il proprio cuore. Il rapporto con Lui nel quale tutti - cattolici, anglicani, protestanti, ortodossi - cerchiamo di crescere, genera la “pace”, che ci avvicina reciprocamente.

Ciò che unisce noi cattolici coi cristiani di altre Chiese è più grande di quanto ancora ci divide.

Saprei dire qual è? Quali passi concreti il Signore chiede a ma e alla mia comunità per promuovere l’unità tra i cristiani?

Il nostro modo di concepire e di vivere la relazione con gli immigrati è conforme al Vangelo?