III DOMENICA d’AVVENTO/C 2006-2007
10 In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni:
“Che cosa dobbiamo fare? ”. 11 Rispondeva: “Chi ha due tuniche, ne dia una a
chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. 12 Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare,
e gli chiesero: “Maestro, che dobbiamo fare? ”. 13 Ed egli disse loro“Non esigete nulla di più di
quanto vi è stato fissato”. 14 Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi
che dobbiamo fare? ”. Rispose: “Non maltrattate e non estorcete niente a
nessuno, contentatevi delle vostre paghe”. 15 Poiché il popolo era in attesa e tutti si
domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, 16 Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi
battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son
degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in
Spirito Santo e fuoco. 17 Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la
sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con
fuoco inestinguibile”. 18 Con molte altre esortazioni annunziava al popolo
la buona novella.
[Lc 3, 10-18]
Nella liturgia di questa domenica domina il tema della
gioia. Il profeta Sofonia (3, 14-18: I lettura) esorta la “figlia di Sion”
(il resto di Israele rimasto fedele) a dare libero sfogo alla propria felicità:
“gioisci...esulta...rallegrati!”. Una gioia intensa e incontenibile. Che
cosa la motiva? Dio ha liberato il suo popolo e stabilisce la sua presenza in
mezzo ad esso: “Re d’Israele è il Signore in mezzo a te...Il Signore tuo Dio
in mezzo a te è un salvatore potente”. Una presenza efficace che rende
forti contro ogni paura e scoraggiamento: “Non temere, Sion, non lasciarti
cadere le braccia”. Ecco le ragioni della gioia: il Dio d’Israele - salvatore
potente - è col suo popolo e dimora in mezzo ad esso, perdonandolo e rinnovandolo col suo amore. Confrontando
questo testo di Sofonia col brano dell’annuncio a Maria nel vangelo di Luca (1,
26-38) - che abbiamo appena ascoltato nella festa dell’Immacolata - troviamo
una corrispondenza impressionante: Maria
- che, come vera “figlia di Sion”, rappresenta Israele e in definitiva
l’umanità - è invitata a “rallegrarsi”, a “non temere” perché “il
Signore è con lei...”. Grazie al figlio che essa porta nel seno, la
presenza di Dio in mezzo al suo popolo raggiunge la sua perfezione somma e
inaspettata. Presenza che nell’Eucaristia si prolunga ed è a nostra
disposizione: “Nel Sacramento dell’Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel
grembo di Maria venti secoli fa, continua a offrirsi all’umanità come sorgente
di vita divina” (TMA 55). La nostra risposta è un canto di lode esplosiva
(Is. 12, 2-6: sal resp): “Alleluia: viene in mezzo a noi il Dio della
gioia...gridate giulivi ed esultate...perché grande in mezzo a voi è il Santo
d’Israele”.
L’invito alla gioia è ripreso con vigore da s. Paolo
nella II lettura (Fil. 4, 4-7): “Rallegratevi!” ( per due volte). Un
appello tanto più significativo se pensiamo che chi invita a gioire si trova in
prigione. L’Apostolo precisa i motivi e le caratteristiche di tale gioia: Non è
una gioia qualunque, ma “nel Signore”, cioè nel Cristo morto e
risorto, nel rapporto vitale con Lui. Una gioia che egli ci comunica: mediante
la fede noi partecipiamo alla gioia stessa del Risorto. Una gioia, allora, che
nessuna prova e dolore è in grado di spegnere (cfr. 2Cor. 7,4). Una gioia non a
intermittenza, ma senza interruzione: “Rallegratevi nel Signore, sempre”
(cfr. pure 2Cor. 6,10: “afflitti, ma sempre lieti”). Nemica della gioia
non è la sofferenza, ma l’egoismo: non si può essere felici da soli. Gioia,
quindi, nella carità: “La vostra affabilità sia nota a tutti gli
uomini”: una gioia comunicativa; che non ha bisogno di esprimersi in forme
chiassose, grossolane e non rispettose degli altri; ma si manifesta nella
dolcezza, nella benevolenza. E’ una gioia contagiosa. Gioia nella comunione:
l’imperativo plurale (“Rallegratevi!”) dice che la gioia non è
un’esperienza puramente individuale, ma comunitaria: la gioia si condivide e
così si moltiplica, la pena si compartecipa e così si dimezza. Gioia nella speranza:
“Il Signore è vicino!”: cioè sta per arrivare; ma anche: è già qui,
presente in una venuta attuale (nell’Eucaristia e negli altri Sacramenti, nella
Parola, nei fratelli, nel cristiano in grazia di Dio...). Gioia nell’abbandono
fiducioso: “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a
Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti”. Si
confidano a Dio le proprie preoccupazioni, unendo all’invocazione la riconoscenza
per i favori ricevuti, a partire dalla creazione e dalla redenzione, e per
quanti Egli ci farà ancora. Gioia, infine, che fiorisce nella pace: “La
pace di Dio...custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”.
Pace che è pienezza di rapporto con Dio e tra fratelli, ed è dono di Lui e di
Cristo.
Abbiamo tutti i motivi per essere felici. Lo sappiamo? La gioia, con i suoi tratti
inconfondibili che Paolo ci ha richiamato, è l’abito che i cristiani devono
indossare in permanenza, quasi una luce
che brilla senza sosta sui loro volti. Questa gioia è il frutto dell’amore.
“La gioia è amore in azione” (beata Madre Teresa di Calcutta). L’amore e
la gioia sono fratelli gemelli: essi testimoniano in modo credibile che il
nostro Dio è Amore e Gioia e che il cristianesimo è essenzialmente la religione
dell’amore e della gioia. Ecco perché per noi cristiani la gioia - come l’amore
- è un dono, ma insieme un impegno, una responsabilità, un imperativo (“Rallegratevi!”).
Nel Vangelo è di scena ancora Giovanni: “Annunziava
al popolo la buona novella” e chiamava tutti alla conversione.
L’uditorio è scosso profondamente. Sono “le folle”, “pubblicani”
(esattori delle imposte per conto dell’autorità romana e, a motivo della loro
professione, considerati pubblici peccatori), “soldati” (di
provenienza pagana e, per tale ragione, ritenuti “lontani da Dio”).Hanno capito
che, se la conversione è ritornare al Signore e volgere interamente a Lui il
proprio cuore, ciò deve avvenire in modo molto concreto. Ecco allora la
domanda: “Che cosa dobbiamo fare?”. Tale domanda ricorre tre
volte e anticipa il medesimo interrogativo che il giorno di Pentecoste la
folla, toccata nel profondo dall’annuncio di Pietro, rivolgerà agli Apostoli
(At 2,37; cfr. pure 9,6; 22,10). Chi ascolta la Parola non può limitarsi a
dire: “Che bello! Interessante!”. Ma si chiederà: “Come non essere più quello
di prima? Come cambiare la mia vita?”. A tutti è data la possibilità di
convertirsi. La risposta del Battista è chiara e concreta: Nessuna professione
esclude dalla salvezza. Non si tratta di cambiare mestiere, ma il modo di
esercitarlo. Anzitutto convertirsi significa praticare la solidarietà e
la condivisione in ogni ambito e in ogni rapporto: “Chi ha due
tuniche ne dia una a chi non ne ha...”. Tale istanza vale per tutti: la
conversione a Dio passa attraverso l’attenzione concreta al prossimo nella
condivisione fraterna. Per i pubblicani e i soldati, poi, convertirsi significa
specificamente rispettare la giustizia, evitando ogni forma di sopruso e
di sopraffazione.
L’appello di Giovanni alla conversione - che si
concretizza nell’amore - si fonda su un lieto annuncio: il Messia atteso sta
per arrivare! “Viene uno che è più forte di me...” Giovanni
riconosce che una distanza abissale lo separa da Lui: egli non è degno neppure
di offrirgli l’umile servizio dello schiavo.
Non si può confondere Gesù con nessun altro. Giovanni esorta a
concentrare tutta l’attesa e l’attenzione su di Lui che “vi battezzerà in
Spirito Santo e fuoco”. Cioè vi “immergerà” nello Spirito Santo, che è
l’infinita vitalità di Dio, il suo amore che purifica, trasforma e rigenera
l’uomo unendolo intimamente a Dio stesso. Ma ha anche “in mano il
ventilabro”, cioè viene a compiere il giudizio. Davanti al futuro (Gesù
che viene nel Natale e nell’ultimo giorno della storia sia nostra che
universale) la nostra vita si colora di speranza gioiosa, ma anche di grande
responsabilità: si tratta di “vivere per incontrarlo” nel migliore dei
modi.
Siamo consapevoli che la gioia vera è legata alla
persona di Gesù e al nostro rapporto con Lui, cioè alla conversione, e che più
cresce questa, più cresce la gioia?
Chi ci incontra riconosce in noi delle persone felici
e capaci di infondere serenità e speranza?
Siamo convinti che la gioia e l’amore sono
inseparabili e che far felice qualcuno è una forma squisita di carità, fonte
anche di gioia per noi stessi?
Quando ti scopri triste, sai come ritrovare la gioia?
Se conosci questo segreto, potresti comunicarlo anche ad altri?