II DOMENICA d’ AVVENTO C2006-2007
1 Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio
Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della
Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània
tetrarca dell’Abilène, 2 sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola
di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3 Ed egli percorse tutta la regione del Giordano,
predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4 com’è scritto nel libro degli oracoli del
profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto Preparate la via del
Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 5 Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni
colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati.6 Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”
[Lc 3, 1-6]
In Avvento ci prepariamo
a celebrare la prima venuta di Gesù nel Natale e siamo impegnati
a ravvivare l’attesa vigile e operosa della sua ultima venuta.
Con immagini
scintillanti il profeta Baruc (5, 1-9: I lettura) invita Gerusalemme ad aprire
il cuore alla speranza e alla gioia, perché il popolo sta per ritornare da
tutti i luoghi in cui si trova disperso. Il Signore lo radunerà.
Anzi, si incarica di “spianare ogni alta montagna, di colmare le valli e
spianare la terra, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio”.
Il viaggio di ritorno verso la patria sarà custodito e avvolto
dalla presenza operante di Dio (= “gloria”) e si svolgerà nella gioia.
Gerusalemme, raffigurata come una madre, è invitata a guardare i suoi “figli
riuniti” da ogni parte dalla Parola del Signore e incamminati verso di lei.
Il salmo responsoriale
esprime la lode riconoscente del popolo ebraico, che ha visto attuarsi tali
promesse nel suo ritorno dall’esilio: “Il Signore ricondusse i prigionieri
di Sion...Il Signore ha fatto grandi cose per noi, ci ha colmati di gioia”.
Ma la promessa di Dio ha
cominciato a compiersi in modo vero e pieno quando Egli “ha visitato e
redento il suo popolo” (Lc 1,68) attraverso il Messia Gesù. I cristiani,
liberati da Gesù, sanno di essere loro i destinatari dell’annuncio di Baruc.
Per questo fanno propria la lode entusiasta del salmo responsoriale (Sal 126),
come Maria e in sintonia con lei che - mentre portava in grembo il Salvatore -
ha cantato nel Magnificat: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”.
Come non riconoscere,
negli esuli di Israele che ritornano, la Chiesa quale popolo di Dio in cammino
verso la casa del Padre e in Gerusalemme, che vede i figli riuniti dal Signore, la santa madre
Chiesa? Il linguaggio colorito e poetico del brano profetico come pure del
salmo responsoriale sembra evocare un avvenimento da sogno, da favola. E’ pur
vero che il ritorno di Israele dall’esilio e la redenzione operata da Gesù
sotto l’aspetto esteriore si sono svolti in modo non glorioso, ma piuttosto
modesto e per nulla spettacolare. Il linguaggio entusiasta del profeta e del
salmo, però, vuole aiutarci a vedere con gli occhi di Dio la vera portata di
ciò che accade, in particolare nella redenzione operata da Cristo. Per es. -
come afferma s. Teresa d’Avila - sono tali il fascino e la bellezza di un’anima
redenta e in grazia di Dio che chi potesse vederla morirebbe dallo stupore e
dalla gioia.
Il Signore già opera
nella Chiesa e nei singoli credenti. Ma è nella logica del suo amore che quanto
ci dona fin d’ora raggiunga poi, nel tempo stabilito da Lui, una misura
completa e sovrabbondante.
Ciò avverrà nel “giorno
di Cristo Gesù” (Fil. 1, 6.10: II lettura), cioè nel momento della sua
ultima venuta sia al termine della storia sia alla fine della vita per
ciascuno. “Sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona,
la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,6). Paolo è
felice nel costatare l’azione di Dio sui cristiani di Filippi. Segno evidente
di tale azione è la loro vita di fede e in particolare la loro “cooperazione
alla diffusione del Vangelo”. L’Apostolo indica un criterio per verificare
se la nostra fede è autentica e cresce: se il Vangelo non rimane un dono, che
ci illudiamo di poter “consumare” tra di
noi, ma sentiamo il bisogno e la responsabilità di “diffonderlo”. Come?
Collaborando in una grande varietà di modi che vanno dalla preghiera al
sostegno economico, alla testimonianza della propria vita, all’annuncio
personale, all’impegno diretto nelle varie forme dell’evangelizzazione.
Il segreto di tutto
questo dinamismo è l’amore. “Perciò - scrive l’Apostolo - prego
che la vostra carità si arricchisca sempre più...”. Una carità che non può
accontentarsi della mediocrità, ma tende a “distinguere sempre il meglio”
per attuarlo con prontezza. Tale carità ricercata e praticata prima di
qualunque altra cosa renderà i fedeli “integri e irreprensibili per il
giorno di Cristo”. Espressione di carità è la preghiera di Paolo: due volte
dichiara di pregare per loro. Chi prega ama in modo genuino ed efficace le
persone per le quali prega. Impregnato di carità è il rapporto che Paolo vive
con quella comunità: “Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per
tutti voi nell’amore di Cristo Gesù”. Letteralmente: “nelle viscere di
Cristo Gesù”. Paolo cioè li ama col cuore di Cristo; il suo amore per loro
scaturisce da quello di Cristo. Esercitarsi nella fede e nella carità con
costanza, anzi in un crescendo che non si arresta: ecco il cammino verso il “giorno
di Cristo” e l’incontro con Lui, “ricolmi di frutti” (Fil 1,11).
Tutto questo si chiama “conversione”.
E’ l’appello di Giovanni Battista che nel Vangelo di oggi ci raggiunge ancora
con la sua carica forte e inesauribile di provocazione. Giovanni con Maria è
uno dei grandi protagonisti dell’Avvento.
L’evangelista presenta la sua attività
inquadrandola in una cornice storica ben precisa: menziona appunto le autorità
politiche e religiose con i territori della loro giurisdizione. Tali
indicazioni ci consentono di collocare approssimativamente la predicazione del
Battista - che precede e prepara quella di Gesù - nell’anno 27/28 oppure
nell’anno 28/29 della nostra era. Luca vuole mostrare che quanto racconta non è
una favola, ma una storia reale. Giovanni e Gesù non sono figure mitiche, ma
persone concrete. In Gesù Dio si è realmente coinvolto nella storia degli
uomini operando la salvezza. E Giovanni è il suo profeta, il suo battistrada
che prepara il popolo ad accoglierlo. Da secoli in Israele non si udiva la voce
di un profeta! Il centro della storia non è il potere politico mondiale
(Tiberio Cesare...), né il potere politico e religioso locale (Pilato, Erode,
Anna, Caifa), ma la parola di Dio che comincia a cambiare la storia: “La
parola di Dio scese su Giovanni nel deserto”.
Tale intervento, che
trasforma un uomo in un profeta, in un portavoce di Dio, è un avvenimento
chiave nella storia. La vera storia la fanno uomini come Giovanni che si
lasciano investire dalla parola del Signore. La chiamata di Giovanni, il quale
è tutto relativo a Gesù, l’attività di Giovanni e soprattutto quella di Gesù -
pur confinate in uno spazio e tempo determinato - riguardano tutto l’impero
romano e oltre ancora: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Il
suo disegno non esclude nessuno. “Nel deserto”: l’espressione non
indica soltanto uno spazio geografico, ma richiama l’essenzialità, la ricerca
dell’intimità con Dio, l’ascolto della sua parola. Anche noi abbiamo bisogno di
deserto, cioè di spazi e tempi di silenzio e di riflessione per avvertire la
presenza amorosa di Dio nella nostra vita e la parola che ci rivolge. La parola
di Dio mette in moto Giovanni che “percorse tutta la regione del Giordano
predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati”. Chi
accettava questo battesimo riconosceva pubblicamente di essere peccatore,
bisognoso del perdono di Dio, e manifestava la volontà di disporsi a ricevere
tale perdono.
Siamo consapevoli che,
quando ascoltiamo la Parola di Dio, accade un avvenimento che può cambiare la
nostra vita e renderci come Giovanni messaggeri entusiasti del Vangelo?
La voce di Giovanni risuona ancora: “Preparate la
via del Signore”. Prova a verificare che cosa ostacola la sua venuta nella
tua vita. Quali “monti”(es. orgoglio, egoismo, prepotenza,
autosufficienza, false sicurezze) sono da “abbassare” ? Quali “burroni”
(es. sfiducia, rassegnazione, fatalismo, indolenza...) sono da “riempire”?
Che cosa mi impedisce una relazione vera con Dio e col prossimo (= conversione)? Ho una seria volontà di convertirmi?