In quel tempo Gesù disse ai suoi
discepoli: 33 “ State attenti, vegliate, perché
non sapete quando sarà il momento preciso. 34 È come uno che è partito per un
viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a
ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. 35 Vigilate dunque, poiché non
sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al
canto del gallo o al mattino, 36 perché non giunga all’improvviso,
trovandovi addormentati. 37 Quello che dico a voi, lo dico a
tutti: Vegliate! ”.
[Mc 13, 33-37]
L’ “anno della Chiesa”, che non
coincide con quello civile, terminava la scorsa domenica, con l’invito a
concentrare la nostra attenzione su Gesù “Re dell’universo”. A Lui la comunità
cristiana sa di appartenere e a Lui guarda con l’affetto tenero di una sposa.
Ancora a Lui essa rivolge interamente
la sua attenzione d’amore all’inizio del nuovo anno liturgico, che si apre con
una stagione, chiamata significativamente “Avvento”
(=Venuta). Ciò per indicare che il cammino della Chiesa e del singolo credente
è tutto proteso verso un traguardo futuro: la venuta del Signore Gesù.
Essa inaugurerà la festa senza fine del Regno di Dio, colmando ogni aspirazione
e desiderio dell’uomo. Noi cristiani viviamo “nell’attesa che si compia la
beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”. Venuta ultima e
gloriosa, che suppone la prima venuta di Cristo “nell’umiltà della nostra
natura umana” (prefazio della Messa), quando “portando se
stesso portò ogni novità” (sant’Ireneo).
Questa prima venuta la Chiesa si
prepara a celebrarla nel prossimo Natale, rivivendo la lunga attesa del
Salvatore da parte dei fedeli di Israele e anche- sia pure a livello inconscio
- da parte di tutta l’umanità. Un’attesa che si prolunga oggi con dimensioni
molto vaste. Ogni ricerca, ogni bisogno anche inespresso di liberazione e di
salvezza i cristiani lo condividono con ogni uomo, consapevoli che in
definitiva è ricerca e bisogno di Cristo. Consapevoli che Lui “è il
compimento dell’anelito di tutte le religioni del mondo e, per ciò stesso, ne è
l’unico e definitivo approdo” (TMA 6).
La supplica accorata che risuona nel
testo di Isaia ( 63, 16-19; 64,1-7: I lettura) dice la misura e l’intensità di
tale attesa radicata profondamente nel cuore degli uomini. Dio soltanto può
salvare! Per questo si implora il suo intervento: “Se tu squarciassi i cieli
e scendessi!” Un’invocazione struggente, ma intrisa di fiducia filiale: “Signore,
tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti
noi siamo opera delle tue mani”. Il cuore dell’uomo, che i peccati hanno
allontanato da Dio e reso inguaribilmente impuro, Lui può rinnovarlo, anzi
riplasmarlo come in una nuova creazione.
La risposta di Dio al grido implorante
dell’umanità è stata superlativa e superiore a ogni previsione: Gesù.
Nel saluto di Paolo all’inizio della prima lettera ai cristiani di Corinto
(1Cor 1,3-9: II lettura) si sente vibrare la gioia, l’entusiasmo per l’evento
inaudito: “Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo”.
Non è tanto un augurio, ma una dichiarazione, un lieto annuncio: la “grazia”
- cioè l’amore gratuito e traboccante di Dio - e la “pace” - cioè la
comunione piena con Lui e tra fratelli - vi sono state donate attraverso Gesù e
voi ne godete. “Grazia e pace” che sono Gesù, nel quale “siete stati
arricchiti di tutti i doni...”. Coltiviamo la consapevolezza, umile ma
senza complessi, che, potendo godere di questa presenza e venuta permanente di
Cristo, siamo le persone più fortunate e più ricche del mondo? “...Nessun
dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore
nostro Gesù Cristo”. Questo lieto evento, che Paolo chiama anche “il
giorno di Gesù”, i credenti lo aspettano con l’animo colmo di speranza.
Tale speranza è desiderio vivo, unito
a fiducia invincibile, che il dono già ora posseduto ci venga accordato
nella sua pienezza: “Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla
comunione del Figlio suo Gesù Cristo nostro Signore”. Il rapporto vitale
con Gesù - e attraverso di Lui col Padre - è una realtà già presente, ma tutta
protesa verso quel compimento definitivo, che Dio solo conosce e che sarà per
noi una sorpresa assoluta.
Nel passo evangelico Gesù sottolinea
l’aspetto operoso dell’attesa.
Nell’itinerario, che siamo chiamati a
percorrere quest’anno, ci guiderà prevalentemente San Marco. Semplificando,
possiamo dire che il suo progetto educativo è:
- aiutarci a trovare la risposta a due
interrogativi fondamentali: Chi è Gesù? Chi è il discepolo?
- condurci alla maturità della fede,
cioè a un rapporto sempre più personale con Gesù.
Il brano di oggi contiene la
conclusione di un lungo discorso dove Gesù ha annunciato gli eventi futuri, che
culmineranno nella sua venuta al termine della storia: “Allora vedranno il
Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.
Ed Egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti” (Mc
13, 26-27). La venuta gloriosa di Gesù opererà il raduno di tutti
i figli di Dio dispersi, ricomporrà la famiglia per la festa senza fine.
A questo punto, però, Gesù, con una
insistenza e una forza che impressionano, richiama la necessità di prepararsi
al grande Incontro. In che modo? La “parola d’ordine”, la parola chiave
dell’Avvento (non solo come tempo liturgico, ma come dimensione dell’intera
esistenza) è: “Vegliate”.
Mentre aspettiamo la venuta del
Signore, che è sicura ma non datata e prevedibile, dobbiamo vigilare, cioè in
ogni momento dobbiamo essere pronti a rendergli conto. In effetti tutto ciò che
abbiamo - a cominciare dalla nostra vita e dal nostro tempo - è un bene che
Egli ci ha affidato e va gestito responsabilmente. Il primo imperativo “State
attenti” (propriamente “guardate, tenete gli occhi aperti”) viene
specificato col “vegliate”, ripetuto tre volte. La parabola dei
servi a cui il padrone affida la sua casa, con uno speciale incarico per il
portiere (cioè “vegliare”) dice che la vigilanza consiste
nell’essere costantemente all’erta in atteggiamento di servizio, pronti ad
accogliere il Signore in qualunque ora e momento arriva.
In questo modo si supera una duplice
tentazione: sia l’atteggiamento di chi ritiene imminente il “Giorno del Signore” e si perde in calcoli
febbrili sul come e sul quando, estraniandosi dall’impegno concreto nella
storia; sia il comportamento di chi non aspetta più nulla e si adagia
nelle false sicurezze della vita presente, dimenticando che le realtà
essenziali sono altrove.
“Vegliare” è tenere desta
l’attenzione d’amore a Colui che verrà, ma che già viene e ci incontra (nella
sua Parola, nei Sacramenti, nei fratelli). La qualità di questo incontro,
attuato qui e ora, è decisiva rispetto all’Incontro finale, che per ciascuno è
in un certo senso anticipato nel momento della morte.
- Cercherò di cogliere nei vari
momenti della celebrazione eucaristica le preghiere che esprimono l’attesa e la speranza della Chiesa,
e le farò mie.
- Gesù continua a ripeterci: “Vegliate”,
cioè in ogni attimo fate bene quel che Dio vuole da voi qui e ora.
State attenti a Gesù che qui e ora vi
incontra: nella parola del Vangelo che ascoltate o lasciate risuonare dentro di
voi; nell’Eucaristia che ricevete la domenica o visitate nel Tabernacolo lungo
la settimana; in ogni persona in cui si nasconde e continua a dirvi: sono Io!.
Vegliare è “essere amore” qui e ora.
Sono “amore” quando qui e ora mi ricordo di essere abbracciato dall’amore di
Dio per me. Sono “amore” quando qui e ora cerco di ridonare questo amore a Lui
e agli altri.
- “O Dio, nostro Padre, suscita in noi
la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene”
“Vieni, Signore Gesù!”.