VI DOMENICA di PASQUA/A

 

15 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. 16 Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, 17 lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. 18 Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. 19 Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20 In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. 21 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anchio lo amerò e mi manifesterò a lui.

[Gv 14, 15-21]

 

Questa pagina di Vangelo fa seguito a quella della scorsa domenica. Nell'Ultima Cena, un interrogativo inquietante stringe di angoscia il cuore dei discepoli: se la morte porta via il loro Maestro, come sarà il loro futuro senza di Lui? Gesù li assicura: nel tempo che seguirà la sua morte e risurrezione, il loro rapporto con Lui continuerà. Anzi, avrà un vertice di intensità. La sua presenza, infatti, non sarà tolta. Ma sarà reale, più profonda -anche se diversa da prima- e si arricchirà di altre "presenze".

 

Il brano si apre e si chiude con una dichiarazione di Gesù sull'amore personale che i discepoli gli portano: "Se mi amate...Chi mi ama..." (vv. 15.21). Gesù rimane una persona viva e presente. Ecco perché i suoi, coloro che Egli "amò sino alla fine" (Gv. 13,1), possono amarlo e crescere in una relazione di amicizia con Lui. Gesù ci tiene al loro amore. Ne è felice. Un amore da non sentire come un peso, ma come un dono: quale fortuna e quale gioia poterlo amare! Tale amore si esprime sicuramente con le parole: le dichiarazioni d'amore piacciono a Gesù. Per es. dopo la risurrezione, godrà nel sentirsi ripetere da Pietro: "Signore, tu lo sai che ti amo!" (Gv. 21, 15-17). Ma l'amore sincero e genuino si manifesta con i fatti: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti...Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama". L'amore a Gesù si prova con l'obbedienza alla volontà del Padre, che il Maestro ha rivelato nel Vangelo sintetizzandola nell'amore concreto a Dio e al prossimo. Si prova con l'attuare le parole di Gesù, i suoi "comandamenti" che, all'inizio del suo discorso nell'Ultima Cena, Egli ha già riassunti nell'amore scambievole: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv. 13, 34). Quando i cristiani sono attenti a compiere in ogni momento e con perfezione ogni volontà di Dio, appena conosciuta; quando si esercitano nell' "arte di amare" curando anche le più piccole sfumature nel rapporto fraterno tra di loro e con ogni altra persona: ogni volta Gesù riceve e sperimenta con gioia il loro amore personale.

 

Questo amore provocherà come risposta un nuovo amore da parte di Gesù e quindi un dono smisurato che Gesù otterrà per i suoi: "E io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre". E' il primo dei cinque testi in cui Gesù, nel suo discorso di addio, annuncia in diverse riprese la venuta dello Spirito Santo. Nei passi successivi Egli preciserà le funzioni e l'opera che questa Persona svolgerà. In questo primo annuncio si sottolinea il fatto che è un Dono, il Dono del Padre, che Gesù ottiene con la sua preghiera ("Io pregherò il Padre ed Egli vi darà") ed è una presenza, una compagnia permanente ("perché rimanga con voi per sempre"). I termini con cui Gesù lo descrive dicono già qualcosa della sua identità: "un altro Consolatore". Propriamente: "Paraclito", cioè "Avvocato difensore" che assisterà, proteggerà i discepoli. "Un altro" rispetto a Gesù, che rimane il primo "Paraclito". Colui che il Padre sta per donare continuerà l'opera di Gesù, sarà come "un altro Gesù", in relazione strettissima con Lui. Una persona che appare chiaramente distinta dal Padre e da Gesù.

"Lo Spirito di verità". Un nuovo titolo che getta luce sulla sua realtà e sul ruolo che deve svolgere. Gesù è la "Verità", cioè l'unica rivelazione, piena e definitiva, del Padre e del suo amore per gli uomini (cfr. Gv14, 1-12: scorsa domenica). Lo "Spirito" (cioè l'alito vitale di Dio e del suo Figlio, il loro respiro, la loro forza infinita d'amore) con la sua azione interiore farà capire, penetrare in profondità e assimilare tale rivelazione di Gesù, che è contenuta nel Vangelo. In tal modo "difenderà" e rafforzerà la loro fede in Gesù. Il "mondo" (cioè gli uomini che si ostinano nel rifiutare la rivelazione di Gesù) "non lo può ricevere". Ma per i discepoli è una Persona amica e inseparabile ("rimane con voi sempre"), vicina e in relazione continua con loro ("dimora presso di voi"), presente dentro di essi ("sarà in voi") quale radice e fonte del loro credere e del loro amare.

Lo Spirito subentra come aiuto al posto di Gesù. Ma in realtà non rende superflua e non elimina la presenza di Gesù: non è alternativo a Gesù. Con la tenerezza di un padre verso i figli, Gesù li assicura: "Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi". Letteralmente: "Vengo a voi". Questa promessa - che ha già fatto ai discepoli all'inizio del discorso (cfr. scorsa domenica)- si compie la sera di Pasqua quando il Risorto incontra i suoi (Gv. 20, 19.24.26: "venne...viene Gesù") e si compie per noi ogni volta che siamo riuniti per l'Eucaristia.

Gesù qui sottolinea la novità stupefacente di tale esperienza. Con la sua morte Egli sprofonda nel nulla per il mondo: il mondo sa soltanto che Egli è morto in croce. Ma i discepoli lo "vedranno", perché Gesù tornerà esclusivamente da loro, si mostrerà loro come il "Vivente" ed essi prenderanno parte alla sua stessa vita: "Voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete". In questo rapporto nuovo con Gesù risorto capiranno veramente quale comunione profonda c'è tra Lui e il Padre: "In quel giorno saprete che io sono nel Padre". E riconosceranno -una scoperta sconvolgente!- quale intima comunione li lega con Lui ("e voi in me e io in voi") e quindi col Padre.

Ancora una volta Gesù richiama il mezzo per giungere alla perfetta comunione con Lui. Volgendo lo sguardo oltre la cerchia dei suoi diretti discepoli, afferma per tutta l'umanità e per tutti i tempi: "Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama". Chi pratica questo amore operoso attirerà l'amore del Padre, che lo accoglierà nella comunione con Lui: "sarà amato dal Padre mio". E troverà anche l'amore di Gesù: "e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui". Gesù gli rivelerà la sua persona, la sua realtà di Figlio che dimora nel Padre. Anzi, lo trascinerà sempre più con Lui nel vortice d'amore della sua relazione col Padre. L'amore è fonte di luce: ama e capirai. "Non si entra nella verità che attraverso la carità" (Sant'Agostino).

 

Pietro nella sua prima lettera (3,15-18: II lettura) riprende in sintesi il tema della relazione d’amore dei discepoli con Gesù durante il tempo della Chiesa: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. L’adorazione – che è l’“estasi dell’amore – a Cristo si esprime nella testimonianza coraggiosa a Lui, data però con “dolcezza e rispetto”, in spirito di vero dialogo.

 

Il brano degli Atti (8, 5-17: I lettura) mostra, poi, l’attuazione della promessa di Gesù riguardante il dono dello Spirito: gli Apostoli lo hanno ricevuto dal Risorto (cfr.Gv 20, 22) e a loro volta lo comunicano ad altri.

Una nuova tappa si registra nel cammino missionario della Chiesa. Una violenta persecuzione, scoppiata in occasione della lapidazione di Stefano, sembrava segnare la morte della giovane comunità. In realtà realizzava il disegno di Dio. Infatti quelli che sono fuggiti da Gerusalemme, dovunque arrivano, annunziano il Vangelo. È il caso di Filippo, uno dei “Sette”, che gli Apostoli avevano scelto come collaboratori. Egli giunge in una città della Samaria. Gli abitanti di questa regione dai giudei erano considerati stranieri ed eretici. Ma il Vangelo non conosce frontiere. Filippo “cominciò a predicare il Cristo. E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo”. Non c’è soltanto l’ascolto attento di ciascuno, ma c’è l’ascolto “corale”, comunitario di persone che sono unite tra loro dall’amore. È un’indicazione precisa per noi in ogni forma di approccio alla parola di Dio.

 

La Chiesa-madre di Gerusalemme, avuta notizia della nuova comunità, avverte l’esigenza di verificare la purezza della sua fede e di consolidare il suo legame di comunione con gli Apostoli. Per questo due di essi, Pietro e Giovanni, la visitano, completando l’opera di Filippo: pregando e imponendo le mani conferiscono ai neo-battezzati il dono dello Spirito Santo. Si ripete, così, come una nuova “Pentecoste”. Possiamo pensare al Sacramento della Confermazione. Ogni comunità cristiana ha bisogno dello Spirito Santo, ma nello stesso tempo non può nascere e crescere senza l’opera degli Apostoli e la comunione con essi e con i loro successori (Papa e Vescovi).

 

La nostra esistenza di cristiani è piena di queste presenze che si intrecciano e si compenetrano: la presenza dello Spirito Consolatore, di Gesù risorto, del Padre. E' relazione vertiginosa con loro. Di questa realtà i "mistici", per grazia di Dio, sono arrivati a fare un'esperienza inebriante. Tutti, però, sono chiamati a viverla nella fede. Assaporarla a un livello sempre più profondo dipende dall'amore.

 

Ciò che Gesù in questo brano ci rivela sullo Spirito Santo, su di Lui, sul Padre e sul loro rapporto con noi mi interessa veramente? Cerco di capirlo? Mi dà gioia, speranza e carica per impegnarmi con più gusto?

 

Mi chiederò ogni tanto: in questo momento sto amando Gesù? Glielo sto provando con i fatti?