XXXII DOMENICA DEL T.O.A

         1 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; 4 le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. 5 Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. 6 A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! 7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8 E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. 9 Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. 10 Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11 Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! 12 Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. 13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.”

[Mt 25, 1-13]

 

Mentre l’anno liturgico si avvicina alla conclusione, la parola del Signore vuole ridestare la nostra attesa, la nostra vigile speranza. C’è un avvenimento che accadrà sicuramente, anche se non sappiamo quando. Un avvenimento che riguarda tutti e ciascuno personalmente. Un avvenimento a cui bisogna prepararsi con cura e senso di responsabilità. Questo avvenimento futuro noi lo proclamiamo ogni volta nel Credo quando diciamo: “Gesù ...verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine”. E dichiariamo anche di desiderarlo e di attenderlo: “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. San Paolo lo descrive con un linguaggio ricco di immagini, la cui sostanza però è chiara: il Signore verrà, noi gli andremo incontro e saremo sempre con Lui, partecipi del suo destino glorioso. Sarà un evento sommamente lieto, la cui attesa riempie l’animo di consolazione e di gioia (cfr. 1 Ts 4,13-18: II lettura ).

Gesù, a sua volta, nel brano evangelico presenta questo evento finale con l’immagine della festa di nozze.  Il banchetto nuziale simboleggia l’eterna comunione di vita di Dio con i suoi nella pienezza della relazione fraterna e della gioia. Ecco che cosa sta di fronte a noi, mentre avanziamo verso il futuro. Che cosa aspettiamo? La gente che cosa aspetta? Venti secoli di cristianesimo hanno notevolmente smorzato un’attesa concreta dell’ultima venuta di Cristo intesa come evento storico e visibile, che potrebbe verificarsi da un giorno all’altro. Semmai l’attesa del futuro, mista spesso a preoccupazione, riguarda fatti e situazioni di ordine politico, sociale, economico oppure anche il rischio di guerre (e guerra nucleare!) o irreversibile degrado ecologico. Comunque, il mondo potrà durare molti secoli, ma noi no: al massimo un certo numero di anni. Se non sappiamo come e quando “finirà” questo mondo, sappiamo che finirà per noi il giorno in cui chiuderemo gli occhi: quello sarà il momento del bilancio consuntivo definitivo della nostra esistenza.

In tale situazione, occorre lasciarsi guidare dalla “sapienza”, che è la capacità di discernere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che conduce alla felicità o invece alla rovina, e agire di conseguenza. Non è sapere tante cose, ma saper vivere e saper morire...(cfr. Sap 6,12-16: I lettura). E’ la ricerca amante e instancabile di Dio (cfr. Sal 23, salmo responsoriale).

Gesù nella parabola ci parla appunto di “vergini sagge” e di “vergini stolte”. Il racconto si riferisce alle consuetudini di allora. Sul far della notte, lo sposo, scortato dai suoi amici, andava a prelevare la sposa nella sua casa paterna. Qui essa lo attendeva insieme alle sue amiche, le sue damigelle. Si formava un corteo verso la casa dello sposo, dove il matrimonio veniva celebrato con un banchetto solenne. Le ragazze avevano il compito di accompagnare il corteo notturno e di illuminarlo con lampade o fiaccole. Per varie circostanze la venuta dello sposo poteva ritardare (nella parabola tale ritardo viene rimarcato fino all’inverosimile). Allora le lampade dovevano ardere più a lungo e si doveva aggiungere olio.

Delle dieci ragazze cinque sono sagge, cinque stolte. Le sagge, previdenti, hanno preparato dell’olio supplementare nel caso di ritardo dello sposo, le altre no. Così, viene a mancare loro l’olio necessario proprio nel momento in cui devono entrare in azione e non possono svolgere il compito di cui sono state incaricate. La conseguenza è che le prime possono prendere parte alla festa, le altre rimangono tagliate fuori. Non si sono preparate in modo adeguato e così si lasciano sfuggire il momento decisivo, che non può essere più recuperato.

Gesù non vuole che perdiamo la partecipazione al regno di Dio. Non vuole che manchiamo all’unico vero appuntamento che vale. Perciò con la parabola ci invita a riflettere sulla serietà della nostra situazione, su ciò che è in gioco per noi e qual è il comportamento saggio da tenere.

Possiamo precisare ulteriormente. La parabola non nomina la sposa, ma tutta l’attenzione è concentrata sullo sposo. E’ facile, perciò, rileggervi le nozze di Cristo sposo con la Chiesa sposa, rappresentata dalle dieci vergini (cfr. 2 Cor. 11,3). Alla Chiesa sposa appartengono santi e peccatori, persone sagge e stolte. Tutti in attesa dell’incontro nuziale col Signore Gesù. Ma soltanto le vergini prudenti sono premiate per la loro fedeltà, mentre le altre sono escluse dalla festa a causa del loro disimpegno e torpore spirituale. Esiste il pericolo che, per mancanza di saggezza, ci si trovi davanti a una porta chiusa e la gioia della festa si tramuti in un pianto sconsolato: “Non vi conosco!” (= vi rifiuto). “Vegliate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora”. Nel tempo della storia in cui la venuta del Signore ritarda, occorre una vigilanza responsabile. Occorre cioè restare impegnati ininterrottamente. In ogni momento bisogna farsi trovare pronti e operosi, con le lampade accese per rischiarare il corteo nuziale, con la provvista d’olio. L’olio, che alimenta la lampada e le permette di ardere, simboleggia la fedeltà a Dio nell’attuare la sua volontà, cioè le opere dell’amore. Corrisponde ai “frutti” che il Signore richiedeva ai vignaioli (Mt 21, 33-43: Domenica XXVII) e alla “veste nuziale” nella parabola del banchetto (Mt 22, 1-14: Domenica XXVIII).

Si è preparati a partecipare alla festa nuziale del Regno quando si attua il “Vegliate!”, cioè la vigilanza dell’amore. Ecco espresso in concreto il simbolismo dell’olio.

Non basta essere invitati alla festa delle nozze per entrare nella sala del banchetto. Occorre avere le lampade accese. Le ragazze che vanno incontro alla sposo con le fiaccole accese sono, appunto, i discepoli di Gesù, la cui luce deve risplendere davanti agli uomini attraverso le loro opere d’amore (cfr. Mt 5, 14-16). Nessun altro può prendere il nostro posto. Il fatto che le vergini sagge si rifiutano di fornire olio alle stolte non è segno di egoismo, ma un tratto simbolico destinato a farci comprendere che l’impegno della fede e carità operosa (= olio che alimenta la lampada) è strettamente personale e non sostituibile.

In sintesi, ecco il messaggio che Gesù ci offre nella parabola:

- Anzitutto, c’è una festa preparata anche per noi. Siamo attesi, desiderati. C’è chi vi prende già parte:      quante delle persone care, che la morte ci ha sottratto visibilmente e che ricordiamo in modo speciale in    questo mese di novembre, godono tale esperienza! Coloro che muoiono nella comunione con Cristo         saranno con Cristo glorificati per sempre ( cfr. II lettura).

- Con l’annuncio consolante, però, c’è anche l’ammonimento: l’accoglienza di Cristo, lo Sposo - che verrà     per introdurci alla festa - non si improvvisa, ma è amorosamente preparata da una vita amorosamente     vigilante (cfr. il “ Vegliate” e “l’olio” della lampada).

Gesù non ci ha rivelato il giorno della sua venuta perché noi fossimo costantemente all’érta, ma anche perché “ ognuno ritenesse che il fatto può accadere ai nostri giorni...Gesù disse semplicemente che sarebbe tornato, ma non determinò il tempo e così, in tutte le generazioni e nei secoli, si mantiene viva la speranza del suo arrivo” (s. Efrem ). Perché non viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo della nostra vita? Non è del tutto una finzione, perché, dato che quel momento ci sarà, poco importa se avverrà oggi o fra molti anni. Se cominciamo ad agire così, un cambiamento si verificherà dentro di noi: molte cose perderanno valore, molte altre ne acquisteranno. Soprattutto, ci troveremo sempre più liberi da tante possibili illusioni e vivremo più pienamente.

 

Potremmo riscrivere oggi la parabola così: il Regno è simile a tanti cristiani che hanno a disposizione il Vangelo. Ma una parte di loro sono stolti: si accontentano del nome cristiano, del Battesimo ricevuto, di qualche Messa....Altri sono saggi: il Vangelo lo considerano un tesoro inestimabile e quindi lo ascoltano e lo vivono.

 

“Ecco lo sposo, andategli incontro!” In attesa dell’ultima venuta del Signore Gesù, queste parole ci ricordano la sua venuta attuale e quotidiana, la sua presenza misteriosa ma reale nella Parola, nell’Eucaristia, nel fratello bisognoso, nei sacri ministri, nella sofferenza nostra e degli altri. E’ sempre Lui, con volti diversi, che viene a visitarci. Lui, però, con una carica infinita di tenerezza (è lo Sposo = Colui che è innamorato) e in attesa di essere ricambiato con amore nuziale. Ogni volta ravviverò la mia lampada con l’olio della carità operosa. Così l’incontro d’amore attuato con Cristo sposo in ogni momento della giornata ci preparerà all’incontro definitivo nella festa senza fine.

 

Mi ritrovo nel gruppo delle vergini sagge o in quello delle stolte?