1 In quel tempo, rispondendo Gesù riprese a parlare in
parabole ai prìncipi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e disse2 : “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un
banchetto di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle
nozze, ma questi non vollero venire. 4 Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato
il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e
tutto è pronto; venite alle nozze. 5 Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al
proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li
uccisero.
7 Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe,
uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è
pronto, ma gli invitati non ne erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli
che troverete, chiamateli alle nozze. 10 Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne
trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un
tale che non indossava l’abito nuziale, 12 gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui
senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi
e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà
pianto e stridore di denti. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”.
[Mt 22,1-14]
“Il
regno dei cieli è simile a un Re che fece un banchetto di nozze per suo figlio”.
I
profeti (cfr. in particolare Is. 25, 1-10: I lettura) avevano annunciato e
descritto l’intervento definitivo di Dio nella storia con l’immagine di un
banchetto, a cui sarebbero stati invitati tutti i popoli. Questa festa
conviviale simboleggia la salvezza che sazia sovrabbondantemente la fame
e la sete dell’uomo (“cibi succulenti, vini raffinati”). Simboleggia la
gioia ( “il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto”) e il trionfo
della vita (“Eliminerà la morte per sempre”). Soprattutto significa un
profondo rapporto di conoscenza e amicizia fra colui che invita (Dio) e i suoi
ospiti: “Egli strapperà il velo che copriva la faccia di tutti i popoli”.
Nell’incontro con Dio verrà guarita la cecità spirituale che impediva agli
uomini di riconoscere Dio e di scoprirsi fratelli.
Questa
immagine del convito si ritrova nel Salmo responsoriale (Sal. 23) dove esprime
un rapporto di intensa familiarità e
intimità personale del fedele col suo Signore: “davanti a me tu prepari una
mensa...il mio calice trabocca”. La sicurezza e la gioia caratterizzano
tale esperienza: “Felicità e grazia (= l’amore di Dio) mi saranno
compagne tutti i giorni della mia vita”. La gioia e la grazia -
personificate - sono le compagne inseparabili del credente. “E abiterò nella casa del Signore per
lunghissimi anni (= per sempre)”. In questa casa è perennemente in corso il
banchetto festoso di Dio con i suoi amici.
All’inizio
della parabola Gesù evoca questo tema biblico, così ricco di significato, e
rivela che l’annuncio di Isaia si compie.
Di
più, questo banchetto viene specificato come una festa di nozze: altra
immagine profetica (cfr. Os. , Ger., Ez. etc.) per indicare la salvezza
messianica. Gesù inaugura la festa del Regno, che è la festa delle nozze di Dio
e di suo Figlio con l’umanità. Si noti la frequenza con cui lungo il brano
ricorre la parola “nozze” (sette volte). Secondo il Vangelo c’è un’unica
grande festa di nozze nella storia, un unico incontro nuziale, l’incontro di
Dio con l’umanità. Questo incontro si realizza attraverso Gesù. Questo incontro
è Gesù. Dio ha voluto stringere un’alleanza definitiva d’amore con la famiglia
umana. Dio ha voluto sposare l’umanità. E’ questo l’evento nuziale per
eccellenza e tutti gli altri rapporti nuziali traggono il loro significato, la
loro bellezza e forza da questo incontro, che è stato celebrato in forma
misteriosa e primordiale nel grembo della Vergine Maria ed è culminato nella
morte - risurrezione del Signore. In ogni Eucaristia tale evento è reso
presente e noi vi siamo coinvolti. “Possono forse gli invitati a nozze
essere in lutto, mentre lo sposo è con loro?” (Mt. 9, 15). Lo sposo è Gesù.
Nell’inizio della parabola Egli annuncia l’avvenimento inaudito che sta
accadendo: la comunione gioiosa e definitiva di Dio col suo popolo, anzi con
l’umanità intera, attraverso il proprio figlio Gesù.
Il
re “mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze...Di nuovo
mandò altri servi a dire: tutto è pronto; venite alle nozze!”. Dio
ripete le sue chiamate. Desidera che il suo invito venga accettato senza
ritardi. Perciò invia ripetutamente i suoi servi (= i profeti, e in seguito i
missionari cristiani, i messaggeri del Vangelo). E’ immenso, infatti, il suo
bisogno di far partecipare tanti altri alla gioia sua e del Figlio.
La
parabola sottolinea, in modo accentuato, il comportamento dei chiamati. Davanti
a un’offerta così grande, davanti a un’opportunità così inattesa, essi reagiscono
con la noncuranza e col rifiuto. Per loro vale di più attendere ai propri
interessi. Altri, addirittura, respingono i servi e li uccidono, provocando
l’intervento punitivo del re (allusione alla distruzione di Gerusalemme). E’
spontaneo il richiamo ai “vignaioli assassini” (parabola della scorsa
domenica).
La
parabola prende di mira i responsabili di Israele che si chiudono al Vangelo
annunziato da Gesù, come poi il popolo nel suo insieme, che respingerà la
predicazione dei missionari cristiani. Rifiutano “il tesoro e la perla” (Mt. 13, 44-46) che vengono loro
offerti: atteggiamento strano, incomprensibile; miopia sconcertante. Quale
delusione per chi ha invitato con tanto amore!
Ma
la festa si farà: la risposta negativa dell’uomo non può arginare il flusso
dell’amore di Dio che vuole dilagare dovunque e fare tutti felici. “Andate
ora ai crocicchi delle strade...Quei servi raccolsero quanti ne trovarono,
buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali”. I nuovi invitati
sono i peccatori e le varie categorie di esclusi che accolgono Gesù e si legano
a Lui. Sono poi i pagani che entreranno in massa nella Chiesa. Sono, ancora
oggi, tanti che per vie diverse approdano alla comunità cristiana e si
ritrovano nella grande “sala” dove si celebra la festa dell’amore. La storia
sembra concludersi lietamente.
Ma
ecco, inaspettatamente, la scena conviviale si tramuta in una specie di
tribunale e il re diventa giudice.
Non
basta essere invitati, aver accettato l’invito, partecipare alla festa (cioè
ritrovarsi nella Chiesa grazie al Battesimo), per essere salvi definitivamente.
Bisogna rispondere a certe esigenze di “comportamento” richiesto dal Vangelo,
per poter sedere a mensa nella casa del Signore (cioè già ora nella Chiesa e
poi eternamente nel grembo della Trinità). La condizione è la “veste
nuziale”, senza la quale si è esclusi dalla salvezza, precipitando
nelle “tenebre” della perdizione eterna. La veste (cfr. Apc.
19,8) simboleggia la fedeltà a Dio nel compiere la sua volontà, in particolare
le opere dell’amore fraterno (cfr: Mt 25, 31-46). Corrisponde ai “frutti” nella parabola dei vignaioli
omicidi. E’ spontaneo richiamare la veste bianca ricevuta nel rito del
Battesimo (simbolo della realtà nuova e dell’appartenenza a Cristo, con
l’impegno di imitare il suo stile di vita): “portala senza macchia per la
vita eterna”.
La
parabola mostra la stupidità e incoscienza degli uomini che, davanti a un
invito così fantastico, lo rifiutano e così rifiutano la felicità. Sotto questo
profilo la parabola non mi riguarda?
Dall’altra
parte, mette in luce l’inesauribile tenacia di Dio che porta avanti il suo
progetto d’amore: la festa si fa lo stesso.
Nella
Chiesa questa festa è in corso e diventa particolarmente intensa
nell’Eucaristia domenicale. “Noi cristiani celebriamo come una festa solenne
la vita intera” (san Giovanni Crisostomo).
“Tutto
è pronto: venite alle nozze!”. Questo appello, che risuona sempre nuovo per
noi credenti, ci provoca a ravvivare il nostro legame personale con lo sposo
Gesù e a vivere l’esperienza cristiana come una “festa senza fine”.
La
Chiesa esiste per ripetere a tutti questo annuncio e questo invito. Ogni
cristiano è un “invitato” e insieme un “servo” che dice a ognuno: C’è una festa
di nozze organizzata da Dio stesso. Anche tu, come me, sei invitato da Lui
personalmente. Sei atteso. Non indugiare. Vieni! E’ la responsabilità
missionaria, che anche in questo mese di ottobre ci viene richiamata.
L’appello
che rivolgiamo - prima con la vita che con le parole - sarà efficace, se la
festa ci riempie il cuore, brilla anche sul volto e risplende in tutto il
comportamento. Se cioè chi ci incontra può vedere la “veste nuziale” che noi
indossiamo.
Come
ogni mattino mi metto il vestito, così devo ravvivare la fede e la carità. E
questo soprattutto la domenica, quando partecipo all’Eucaristia e ne riparto
con la veste ogni volta rinnovata dall’incontro nuziale col Signore e con la
comunità dei fratelli.
Ogni
domenica il “Venite alla festa” lo sentirò come l’invito personale che Dio mi
fa a prendere parte all’Eucaristia. Preparerò con cura la mia veste nuziale
(facendo atti concreti di fede e di carità) perché nell’incontro col Signore
possa risplendere più nuova e più bella.
Così la mia testimonianza di vita griderà
in modo efficace a quanti incontro il “Venite alla festa”.