33In
quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
“Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la
circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi
l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34 Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da
quei vignaioli a ritirare il raccolto. 35 Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo
bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. 36 Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma
quelli si comportarono nello stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo:
Avranno rispetto di mio figlio! 38 Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé:
Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. 39 E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e
l’uccisero. 40 Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a
quei vignaioli? ”. 41 Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi
e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. 42 E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle
Scritture:“La pietra che i
costruttori hanno scartata è diventata
testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?”
43 Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e
sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare».
[Mt 21,33-43]
Ancora una parabola che fa riferimento alla vigna.
Mentre le due precedenti (cfr. le due scorse domeniche) sono esclusive di
Matteo, quest’ultima è riportata anche da Marco e da Luca.
Attraverso tale parabola, il cui significato è
trasparente, Gesù lancia un ultimo appello ai responsabili di Israele, che
stanno complottando per ucciderlo. Sono gli ultimi giorni della sua vita. Egli
cerca di provocare in loro un ripensamento, una conversione, prima che sia
troppo tardi. Lo fa attraverso una parabola che, sotto il velo delle immagini e
dei simboli, rievoca alcune tappe fondamentali della storia della salvezza, la
storia cioè dell’amore fedele e ostinato di Dio per il suo popolo. L’avvio di
questa storia richiama il celebre testo di Isaia 5, 1-7 (cfr. I lettura) e
mostra come il padrone non ha trascurato nulla perché la sua vigna fosse
feconda. Dio cioè con un amore provvidente e instancabile ha protetto Israele e
lo ha ricolmato di benefici. Il padrone perciò aveva diritto ai frutti della
vigna, il Signore aveva diritto alla risposta d’amore e di fedeltà da parte del
suo popolo. Ma, invano, Dio ha mandato a più riprese i “suoi servi”,
cioè i profeti, per richiamare il suo popolo ai doveri dell’Alleanza. I profeti
non sono stati accolti, anzi rifiutati, maltrattati, uccisi. Gli ascoltatori
della parabola vedono scorrere, così, davanti al loro sguardo una storia lunga
e ininterrotta di ingratitudine e di infedeltà, tali da stancare la pazienza
del “padrone” e provocare il suo intervento punitivo radicale.
Ma il racconto riserva una sorpresa. La storia di
una relazione deficitaria con Dio, che sembrava trascinarsi in modo monotono e
ripetitivo, subisce una svolta imprevista, del tutto inattesa.
“Da ultimo mandò loro il proprio figlio
dicendo: Avranno rispetto di mio figlio!”. Dopo i molti servi, ora
manda uno che gli sta a cuore in assoluto ed è il suo unico tesoro: “il
proprio figlio...mio figlio”. E’ il suo ultimo tentativo, la sua ultima
speranza. Dicendo tali parole, Gesù manifesta, sia pure velatamente, la
coscienza che ha di essere Lui questo figlio. L’allusione, infatti, alla sua
vicenda è abbastanza chiara. Fa intravedere la misura di un amore insospettato
da parte di Dio, che per gli uomini osa rischiare e mettere a repentaglio la
vita del proprio Figlio. Mostra anche la fiducia che questo padre nutre nei
confronti dei vignaioli: non arriveranno a compiere ciò che egli ritiene
semplicemente “ incredibile”.
E’ l’ultima tappa di questa storia, la più
drammatica di tutte, perché anche più carica d’amore.
Ma l’irreparabile accade. Il fallimento della
missione è totale: il figlio viene rifiutato, ucciso. Gesù allude alla propria
passione e morte. La risposta a tanto amore non poteva immaginarsi più ingrata
e assurda. La delusione del padrone, cioè Dio, è totale.
La storia si ferma qui? E’ una storia di salvezza e
non può finire in uno scacco di Dio.
Ci sarà la sua “rivincita”. Duplice rivincita. La
prima riguarda Gesù: “La pietra che i costruttori hanno scartata è
diventata testata d’angolo”. Colui che i capi del popolo hanno
eliminato- giudicandolo una pietra di scarto, inutile e inadatta a far parte
dell’edificio ( la comunità di Israele)- Dio lo ha riabilitato scegliendolo
come pietra d’angolo, con una funzione cioè essenziale e decisiva nella
costruzione del nuovo tempio (la comunità messianica). E qui siamo invitati a
contemplare il Crocifisso, lo “scartato” nella sua passione umiliante, ma
risuscitato e costituito dal Padre come Signore e fonte di vita.
La seconda rivincita riguarda, appunto, la comunità
dei credenti: “Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che
lo farà fruttificare”. Questo popolo è il vero Israele, sostenuto e
unificato dall’unica pietra d’angolo che è il Cristo crocifisso e risorto.
Comprende ebrei e pagani che aderiscono nella fede al Signore Gesù.
Che cosa caratterizza in modo inconfondibile i
membri di questo popolo, che è la comunità cristiana? Il “regno di Dio”
- cioè la vicinanza e dono di sé che Dio offre in Gesù - essi non lo accolgono
in modo pigro e passivo, ma lo “fanno fruttificare”.
I “frutti”
da fare sono: un comportamento che manifesta una reale conversione, un
impegno serio e costante ad
attuare la volontà di Dio rivelata da Gesù, che si riassume nell’amore
operoso al prossimo (cfr. Mt 3, 8-10;
7, 16-21. cfr. pure Fil. 4, 8-9: II lettura). I nuovi vignaioli, quindi, non
sono qualificati dalla semplice appartenenza battesimale, ma dai frutti:
“Dai loro frutti li potrete riconoscere” (Mt 7,20).
E’ facile per noi cristiani, nell’ascolto di questa
parabola, interpretarla soltanto in riferimento al passato, come se riguardasse
unicamente l’antico Israele. In tal caso, perché l’evangelista l’avrebbe
riportata?
In realtà la storia della salvezza continua, è in
pieno corso e noi vi siamo coinvolti.
Le attenzioni, i doni, gli interventi di Dio in
nostro favore chi è in grado di contarli e misurarli? Proviamo almeno a
riconoscerne qualcuno, ripetendo ogni volta: “Grazie perché mi vuoi bene!”.
Ma i doni di Dio sono esigenti. Chi dà tutto vuole
anche tutto. E nel caso di Dio, se vuole tutto. è unicamente perché vuole la
nostra felicità. Vuole i “frutti”, cioè una vita di fedeltà
rinnovata a Lui, una vita trascorsa nel compimento della sua volontà, una vita
piena di gesti d’amore.
E’ una facile tentazione per noi cristiani quella di
fare assegnamento sulle false sicurezze. Anche la fede può diventare
un’ingannevole sicurezza, quando la si considera un bene di famiglia, un
deposito tradizionale che basti preservare in qualche modo, mentre è una realtà
dinamica che si esprime in opere, in frutti concreti. Senza le opere essa è
morta.
Il mese di ottobre – e specialmente la prima
domenica – è dedicato anche alla Madonna del Santo Rosario. Maria è veramente
la “vigna” che Dio ha amato e coltivato con infinita cura. La “vigna”
che non ha deluso il suo Signore. La “vigna” che gli ha dato
i “frutti” che Egli
attendeva, cioè una vita di perfetta adesione al Lui e alla sua volontà. Una
vita trasformata dalla fede e dalla carità, una vita piena di innumerevoli
gesti d’amore. Ma, soprattutto, una “vigna” che ha prodotto il “frutto”
infinitamente gradito a Dio e assolutamente necessario agli uomini: il “frutto
benedetto del tuo seno, Gesù”. Glielo possiamo ripetere tante volte nello scorrere dell’ Ave Maria
durante la recita del Santo Rosario, come pure nella preghiera che lo conclude,
la Salve Regina: “Mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto
benedetto del tuo seno,o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria”
Questa parabola ci provoca? Sentiamo che ci
interpella personalmente e come comunità?
Le attese del Signore e i tentativi che fa per
ottenere i “frutti”, cadono a vuoto e restano delusi oppure trovano in noi i
vignaioli fedeli che “glieli consegnano a suo tempo”, puntualmente?
Ogni gesto di bontà, ogni compimento del proprio
dovere, ogni testimonianza, ogni servizio (es. quello di catechista e
animatore...), ogni preghiera perché su tutta la terra cresca il popolo nuovo
che fa “fruttificare il Regno” (è quanto ci richiama il mese “missionario” di
ottobre): sono tutti frutti, uno più bello e più gustoso dell’altro, di cui
quotidianamente possiamo riempire il nostro cesto per il Signore.
Alla sera proverò a verificare quanti e quali frutti
ho potuto offrirgli per la gioia sua e mia.