1 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa
parabola: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba
per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò
nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri
che stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello
che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5 Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece
altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne
stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata.
Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo
fattore: Chiama gli operai e dá loro la paga, incominciando dagli ultimi fino
ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero
ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero
ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone
dicendo: 12 Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai
trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse:
Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a
quest’ultimo quanto a te. 15 Non posso fare delle mie cose quello che voglio?
Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 16 Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”.
[Mt 20, 1-16]
Questo
brano evangelico riporta la prima di tre parabole di Gesù, che ruotano tutte
attorno al tema della vigna (le prime due sono esclusive di Matteo). Un padrone
esce all’alba e, successivamente, in diverse ore del giorno fino alle cinque
del pomeriggio, a ingaggiare operai. C’è urgenza di mano d’opera, forse per la
vendemmia. La giornata lavorativa era di dodici ore: dall’alba (circa le sei
del mattino) al tramonto (verso le sei di sera). Con gli operai incontrati
all’alba si accorda per la paga “giusta” (oggi diremmo “sindacale”) di un
denaro. Al termine della giornata, nel momento della paga, si verifica qualcosa
di imprevedibile e molto strano: quelli che hanno lavorato un’ora soltanto
ricevono un denaro, cioè la paga
pattuita con i primi operai per l’intera giornata. Così pure gli altri
gruppi ricevono un denaro. I primi, costatando la grande generosità del
padrone, si aspettano una ricompensa abbondante. Invece, con viva delusione,
ricevono un denaro. Non nascondono il proprio disappunto e accusano il padrone
di ingiustizia. Nella sua risposta possiamo cogliere il messaggio centrale
della parabola. Egli non ha agito ingiustamente, perché ha dato loro il dovuto,
cioè la somma convenuta. Precisa poi che del suo è libero di disporre come
vuole. E conclude: “...sei invidioso (letteralmente: “il
tuo occhio è cattivo”) perché io sono buono?”.
Chi
ha di mira Gesù? Le sue scelte in favore di quanti non contano
sul piano religioso - peccatori, popolino ignorante - provocano le critiche
aspre degli osservanti (farisei e scribi). Secondo loro, Gesù mette sullo
stesso piano peccatori e giusti: ecco l’ingiustizia! Gesù, invece, mostra che
Dio ha un modo di agire imprevedibile, fuori schema, che non può essere
giudicato secondo i criteri umani (cfr. Is 55, 8-9: I lettura). L’uomo non può
chiedere conto a Dio della sua condotta, che rivela una “giustizia” superiore.
Il suo Regno lo offre a tutti, anche a chi arriva all’ultima ora.
Se
dà un salario uguale per un lavoro disuguale, ciò non significa che esclude e
disprezza coloro che hanno lavorato tutto il giorno. Anzi gradisce molto il
loro impegno e servizio. Soltanto vuole togliere loro la presunzione di
particolari meriti e privilegi davanti a Lui. La ragione ultima del suo modo di
agire? “Io sono buono”.
La bontà di Dio supera i parametri della retribuzione intesa come una paga
dovuta. Con ciò non vìola la giustizia, ma la realizza in modo più vero. In
altri termini, la “vita eterna” non è una ricompensa che mi spetta per diritto,
in base a meriti personali, ma un dono totalmente gratuito della bontà divina.
La “vita eterna” è in definitiva “Dio che si dona”. Chi può meritarlo?
Di
fronte a questo amore divino che è totale gratuità non ha senso essere
invidiosi. Sarebbe un’interpretazione scorretta della parabola concludere che a
Dio poco importa se uno lavora e si impegna, oppure no. Si pensi infatti, per
esempio, ai testi innumerevoli sull’ operosità (uno per tutti: la parabola dei
talenti in Mt 25, 14-30). Ogni minimo gesto di amore lo incanta. Dio però ama
anche gli ultimi e vuole che i suoi condividano la sua benevolenza e
liberalità.
Gesù
smaschera impietosamente l’egoismo e l’orgoglio che si nascondono dietro
l’apparente esigenza di giustizia: “li hai trattati come noi”.
Ciò che non si tollera è che gli altri siano sul nostro stesso piano. Quasi che
il nostro valore e il nostro prestigio risaltino meglio finché gli altri
rimangono un gradino sotto di noi. E’ la posizione di privilegio che
rivendichiamo per noi e non accettiamo che altri la condividano. Questa
mentalità, col comportamento conseguente, capovolge l’ “ama il prossimo tuo
come te stesso” e nega praticamente il legame fraterno che unisce i membri
della comunità cristiana e anche civile.
Affermando
con forza il principio della “gratuità”, Gesù contesta una concezione di
Dio e del mondo, propria dei farisei (di tutti i tempi): un sistema di
relazioni fondato sul merito, in cui l’amicizia con Dio si compra e in cui ogni
uomo vale quanto valgono le sue prestazioni. Un mondo in cui chi sbaglia deve
pagare duramente. Altrimenti non varrebbe la pena fare tanti sforzi per essere
“giusti”. In realtà tale mondo, in cui non c’è spazio per la misericordia e la
gratuità, si rivela... “disumano”.
Gesù
ci ricorda che non possiamo fare calcoli con Dio, insegnandogli che cosa deve
dare a noi e agli altri. Non possiamo lamentarci con Lui d’aver ricevuto meno
doni degli altri. D’altra parte, chi è in grado di misurarlo? Piuttosto sapremo
riconoscere con stupore e gratitudine tutto ciò che ci dona, mentre ci
rallegreremo di ogni gesto della sua bontà, anche quando non riguarda
direttamente noi, ma il prossimo.
Se
la gratuità spiega il comportamento di Dio con noi e di conseguenza le nostre
relazioni con gli altri, allora tutto cambia. Non mi fa problema sentirmi “un
operaio dell’ultima ora”. So infatti che mio Padre mi darà la vita eterna non
perché me la sono guadagnata, ma perché sono suo figlio e ai figli i genitori
danno gratis la loro eredità. Tale convinzione non incoraggia e non giustifica
il disimpegno, ma mi stimola a operare in sintonia con la volontà di mio Padre,
che mi dà fiducia e conta su di me, e non intendo deluderlo.
In
quest’ottica possiamo anche rileggere la parabola sottolineando la realtà di
Dio che chiama a tutte le ore (in tutte le stagioni della vita) e non esclude
nessuno. L’invito del padrone “Andate anche voi nella mia vigna”
diventa il motivo conduttore dell’Esortazione Apostolica sui laici (Chfl 30
dicembre 1988): “I fedeli laici.. appartengono a quel popolo di Dio che è
raffigurato dagli operai della vigna di cui parla il Vangelo di Matteo...La
parabola evangelica spalanca davanti al nostro sguardo l’immensa vigna del
Signore e la moltitudine di persone, uomini e donne, che da Lui sono chiamate e
mandate perché in essa abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero...Non c’è
posto per l’ozio, tanto è il lavoro che attende tutti nella vigna
del Signore. Il “ Padrone di casa” ripete con più forza il suo invito:
“Andate anche voi nella mia vigna” (Chfl 1-2).
Mi ritrovo più facilmente nell’atteggiamento degli operai “mormoratori”,
condividendo le loro ragioni, oppure riesco a capire le ragioni di Colui che è
supremamente “buono”?
So essere contento del bene donato agli altri dal Signore? Lo ringrazio?
“Andate anche voi nella mia vigna”. Mi chiederò se lì, dove il
Signore mi ha posto, svolgo il mio lavoro con serietà, impegno, gioia,
gratuità, oppure con calcolo commerciale.
“Guardate al vostro modo di vivere, fratelli carissimi, e verificate se
siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello che fa e consideri se
lavora nella vigna del Signore” (San Gregorio Magno, citato in Chfl 2).
“O Padre, fa’ cha comprendiamo l’impagabile onore di lavorare nella tua
vigna fin dal mattino” (Colletta della Messa odierna).