2005 DOMENICA XV T.O.A

 

  1 Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2 Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia. 3 Egli parlò loro di molte cose in parabole.

E disse:“Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4 E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6 Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7 Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. 9 Chi ha orecchi intenda”.10 Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero“Perché parli loro in parabole? ”. 11 Egli rispose:“Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12 Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.[..] 16 Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. 17 In verità vi dico molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l’udirono!18 Voi dunque intendete la parabola del seminatore19 tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore questo è il seme seminato lungo la strada. 20 Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l’uomo che ascolta la parola e subito l’accoglie con gioia, 21 ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato. 22 Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dá frutto. 23 Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dá frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta”.

[Mt 13, 1-12.16-23]

 

Nel cap. XIII del suo Vangelo Matteo raccoglie sette parabole di Gesù. E’ il terzo grande discorso, dopo quello della montagna (Mt 5-7) e quello missionario (Mt 10). Gesù è il Maestro messianico che riunisce la sua comunità e la educa con la sua parola. La prima parabola è quella del seminatore o del seme. E’ anche la più nota. Le parabole di Gesù non sono “storielle” che accarezzano gli orecchi dell’uditorio, ma intendono scuotere, portando a riflettere e a prendere una decisione nei suoi confronti. E’ importante cogliere i motivi che hanno spinto Gesù a usare il linguaggio delle parabole. Da tempo ormai sta annunciando che il Regno di Dio è vicino e un gruppo di discepoli si è formato attorno a Lui. Essi, però, vivono un momento di crisi, di disorientamento. Si chiedono con inquietudine: dov’è il Regno, cioè l’intervento decisivo di Dio che cambia tutto? E’ davvero efficace la parola di Gesù? Molti, infatti, soprattutto i responsabili del popolo, non si sono convertiti davanti all’annuncio del Vangelo, anzi lo contrastano. Tanti, che si erano avvicinati a Gesù, si sono ritirati. Anche quelli che aderiscono a Lui sono poi veramente “cambiati”? Un sottile scetticismo si fa strada tra la folla e in particolare nel cuore dei discepoli, come anche in noi: vale ancora la pena seguire Gesù? Ecco allora il messaggio che vuole trasmettere con la parabola. Nell’ “avventura” del Regno di Dio, che annuncia e rende presente, avviene come quando si semina. In Palestina il campo non veniva arato prima della semina, ma dopo: la semente veniva sparsa in tutte le parti del campo, anche nei sentieri che lo attraversavano e nelle zone sassose o piene di spine. Per questo molta semente andava perduta (i tre quarti secondo la parabola, che calca intenzionalmente le tinte). M a il risultato finale, cioè la resa del seme caduto sulla terra buona, compensava tutte le perdite. Così il Regno di Dio - cioè la presenza di Dio Amore che si dona attraverso Gesù - si manifesterà pienamente e già si sta facendo realmente strada, nonostante gli ostacoli e i fallimenti che Gesù incontra, nonostante lo scacco supremo che Egli vede profilarsi (la sua passione e morte). Gesù non condivide la concezione spettacolare e trionfalistica dei giudei - e di molti cristiani - i quali pretendono che, se Dio interviene, deve abbattere ogni resistenza e si scandalizzano per la lentezza, la fatica con cui la sua opera avanza nella storia. Gesù, però,  vede già la fioritura e la maturazione del seme, l’abbondanza del  raccolto. Questa fiducia sconfinata nella potenza di Dio e nella forza della Parola (cfr. Is. 55,10-11: I lettura) Egli vuole comunicarla ai discepoli. Vuole infondere speranza nei cristiani di ogni tempo, tentati di cedere allo scoraggiamento e alla rassegnazione davanti agli insuccessi della missione.

Il seminatore Gesù sparge il seme dovunque, con “spreco” si direbbe, non scartando nessun terreno ma ritenendo ciascuno degno di fiducia e di attenzione. Così la Chiesa deve offrire la Parola a tutti e deve farlo senza risparmio di energie. E’ la vocazione di ogni cristiano. Tutti sono seminatori della Parola, dal Papa all’ultimo battezzato. Non tutti siamo seminatori allo stesso grado e con le stesse responsabilità, ma tutti siamo incaricati di portare la Parola al mondo, sapendo che è Parola la nostra vita prima ancora che la nostra voce.

Ogni mattina ogni cristiano dovrebbe “uscire a seminare”, senza scoraggiarsi se una parte del seme dovesse cadere su un terreno non buono...Il seminatore evangelico è sostenuto dalla certezza che esiste il buon terreno e che il terreno apparentemente non buono potrebbe invece esserlo o comunque diventarlo per l’intervento di Dio. “Seminate, seminate la Parola di Dio” (Santa Caterina da Siena).

La parabola mostra il contrasto fra l’inizio umile e modesto del Regno, nella parola e attività di Gesù, e il suo splendore futuro. In tal modo mette in luce la fecondità del seme e invita a riporre ogni fiducia nella potenza di Dio che porta avanti il suo Regno attraverso l’opera di Gesù e la missione evangelizzatrice della Chiesa, anche se apparentemente infruttuose.

E il medesimo contrasto che richiama s. Paolo fra la realtà attuale – segnata dalla precarietà e dal dolore – e il compimento finale: “…le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che deve essere rivelata in noi” (Rm 8, 18-23: II lettura).

 

Invece nella spiegazione della parabola ai discepoli (vv 18-23) Gesù sposta l’interesse sulla risposta libera dell’uomo, che ha la terribile capacità di condizionare l’ “onnipotenza” della Parola di Dio. Il terreno su cui il seme cade può essere in vario modo refrattario...Gesù elenca alcuni tipi di terreno che indicano altrettanti atteggiamenti nei confronti del Regno e del Vangelo.

L’uditore che somiglia alla strada è impenetrabile: su di lui la Parola rimbalza e non ha nessuna possibilità di attecchire. Con un’immagine diversa, è come una pietra immersa nell’acqua del fiume: spaccandola, dentro la trovi asciutta, perché impermeabile.

L’uditore che risponde al terreno sassoso è un superficiale: è facile all’entusiasmo ma non persevera, promette tutto e non mantiene nulla. Appena sente odore di persecuzione, si tira indietro.

Il terreno “spinoso” richiama l’uditore che davanti alle esigenze severe della Parola si lascia soffocare dalla  seduzione del denaro e dalle preoccupazioni terrene...In tutte queste situazioni è all’opera il “maligno” che vanifica e rende improduttiva la Parola. E’ un quadro...desolante. C’è, però, la “terra buona”: colui che “ascolta la Parola e la comprende”, cioè lascia che penetri nel cuore e si traduca nell’agire concreto. E il “frutto” è strepitoso. Ma la condizione è appunto un ascolto che “comprende”, cioè mette in pratica la Parola con impegno attivo e costante.

 E’ forte il richiamo a verificare a quale tipo di terreno io appartengo. O meglio, siccome ognuno di noi in un certo senso è tutte queste gradazioni di terreno, si tratta di osservare qual è la dominante e impegnarsi a fondo perché il terreno buono rubi sempre più spazio agli altri terreni, favorendo una resa corrispondente alle attese di Dio. Gesù, infatti, ci apre gli occhi su cosa è in gioco “tutte le volte che uno ascolta la Parola” (v.19). Se, come i discepoli, è disponibile e cerca di capire, chiedendo a Gesù un’ulteriore spiegazione, otterrà sempre più luce per penetrare nella Rivelazione e aver chiaro il senso della propria esistenza: “A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza”. Ma a chi, ascoltando Gesù, non è interessato a capire di più e a lasciarsi guidare da Lui, “sarà tolto anche quello che ha”. Cioè, trascurando la Parola, rimarrà nel buio e vi sprofonderà sempre di più.

Se la maggioranza sembra voler fare a meno della parola di Gesù e i discepoli hanno la percezione di essere sempre più minoranza, essi però rimangono fedeli a Lui e perseverano nella missione, rinnovando la speranza che il frutto sarà sovrabbondante. Non pretendono di vedere la messe matura, ma vivono in un’attesa serena e paziente: “Il Signore ha messo un seme nella terra del mio giardino. Io vorrei che nascesse il fiore, io vorrei che fiorisse il seme. Ma il tempo del germoglio lo conosce il mio Signore” (nota canzone). Ma intanto l’opera di Dio possono già vederla: “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono”. Beati perché avete me!. L’ “opera” di Dio, il suo Regno, non è forse tutto concentrato in Gesù? Nello stesso tempo vigilano contro i pericoli che minacciano la nostra accoglienza piena della Parola:

 

Proverò a riascoltare questa parabola cercando di cogliere la buona notizia che contiene, la carica di speranza che infonde, ma anche la provocazione molto forte che offre per la mia vita.