2005 XIV DOMENICA T.O./A

 

25 In quel tempo Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

  28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”.

[Mt 11,25-30]

 

Questo brano di Vangelo si apre con una preghiera di giubilo, di lode che Gesù rivolge a Dio. In un altro momento, estremamente drammatico, della sua vita la sua preghiera sarà di supplica accorata e di abbandono al proprio Padre (Mt 26,39-42;27,46).

Luca nel passo parallelo osserva che Gesù, quando si accinge a fare questa preghiera, “esultò nello Spirito Santo” (Lc 10,21ss). Prova cioè una gioia profonda, incontenibile - che gli suscita nel cuore lo Spirito Santo - e che si esprime nella lode.

 

“Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra”. Gli ebrei erano educati a “benedire Dio” (=lodarlo e ringraziarlo). Si pensi alla frequenza con cui questo verbo ricorre nei salmi (es. sal.34.103.104.134 etc.). Inoltre le “benedizioni” lunghe e specialmente quelle brevi, che - come le nostre “giaculatorie”- costellavano la giornata del pio ebreo, manifestavano e alimentavano un atteggiamento “eucaristico” continuo. Lode e gratitudine a Dio per la creazione, la redenzione, i suoi innumerevoli benefici. Anche Gesù “benedice” Dio. Ma qui si coglie subito una grande novità e originalità: “Padre”, che corrisponde ad “Abbà” (=babbo, papà). Così i figli, non soltanto  bambini ma anche adulti, chiamavano il padre in famiglia. Era inaudito per un ebreo rivolgersi a Dio con tale appellativo. Se Gesù lo fa, ciò è segno della coscienza che aveva di una relazione filiale con Dio, unica ed esclusiva. Il Creatore e padrone assoluto del mondo è suo padre, suo papà. E Gesù è felice di suo Padre, di come si comporta, di quel che opera. E’ stupito, è incantato per quello che il Padre fa. E glielo dice. Ecco il motivo della sua lode gioiosa e riconoscente: il modo di agire di suo Padre, che non rispetta le regole e la logica in vigore presso gli uomini.

“Queste cose”: il Regno, l’autodonazione di Dio agli uomini, il farsi loro vicino nel proprio figlio  Gesù, la sua realtà di Padre che ama, la relazione trinitaria di cui Gesù parlerà subito dopo. Insomma, si tratta del mistero di Gesù e del suo rapporto col Padre. “Queste cose”, che costituiscono una realtà inaccessibile alle capacità conoscitive dell’uomo, Dio le ha “rivelate” (è un dono totalmente gratuito). Non a chi aveva più doti per capire: “i sapienti e gli intelligenti”, cioè gli scribi, i farisei e quanti, compiaciuti del loro potere culturale - ma anche economico, politico, sociale - prendono le distanze dagli uomini semplici, ignoranti, peccatori. Non ai dotti, colti...sicuri di sé, che sanno sempre tutto e magari disprezzano gli altri...Ma ai “piccoli”, cioè coloro che - poveri, donne, bambini, pubblicani e peccatori...- socialmente e religiosamente non contano, ma hanno aderito a Gesù. I “piccoli” letteralmente sono gli “infanti”, cioè i bambini che non sanno ancora parlare..., ma una parola la sanno dire, perché Gesù a loro l’ha insegnata: “Abbà” (=papà) a Dio. Questi “piccoli”, in definitiva, sono i discepoli, con Maria. Sono quelli che si riconoscono come bambini davanti a Dio, lo riconoscono come Padre. Sono i “poveri in spirito” (Mt 5,3).

 

Dio ha offerto la sua Rivelazione ai “piccoli” attraverso Gesù, le sue parole, le sue opere, la sua vita. Ecco la seconda parte del brano, quella centrale: Gesù rivela in che rapporto Egli sta con Dio.

“Tutto mi è stato dato dal Padre mio”: ogni potere, ma in particolare la conoscenza totale di Lui.

“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”. Tra Gesù e Dio c’è una conoscenza reciproca ed esclusiva. Stanno su un piano che non è accessibile a nessun altro. Essi si conoscono reciprocamente in base alla più profonda comunione (è il senso biblico del verbo “conoscere”). Tra Gesù e Dio c’è un rapporto unico di Figlio-Padre: Dio è il Padre di Gesù e Gesù è il Figlio di Dio. Soltanto Dio, in quanto Padre, sa chi è Gesù e quanto amore Gesù gli porta e quanta felicità gli procura. Non sono gli uomini che conoscono Gesù, per quanto lo giudichino e lo rifiutino (ieri come oggi). Solo Dio conosce la realtà di Gesù in quanto figlio, nel suo totale riferimento e amore al Padre.

“...e nessuno conosce il Padre se non il Figlio”. Allo stesso modo soltanto Gesù conosce Dio in quanto Padre che ama Lui con infinita tenerezza e ama, attraverso Lui, tutti gli esseri di cui è Creatore e Signore. Solo Gesù conosce Dio, cioè è in rapporto vitale con Lui.

Anche altri, però, possono essere introdotti in tale rapporto: “e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. Sono i “piccoli” ai quali Dio si rivela attraverso Gesù. L’uomo è accolto nella comunione d’amore col Padre, nella misura in cui accetta di entrare in comunione con Gesù.

Questa rivelazione di Dio come Padre oggi Gesù continua a offrircela nel Vangelo, custodito e interpretato dalla Chiesa. Ogni volta che, nel rapporto con la parola di Gesù, noi facciamo un passo avanti nella scoperta del Padre e nella relazione filiale con Lui, Gesù è felice e in noi ripete: “Ti benedico, o Padre” e noi con Lui.

 

Gesù ci ha detto in che relazione Egli sta con Dio (è suo Figlio) e qual è il compito che svolge in favore degli uomini che lo accolgono: rivela loro Dio come Padre. A questo punto - è la terza parte del brano - rivolge un invito, un appello pressante ad accogliere il suo annuncio, la sua rivelazione, ad accettare Lui come il proprio Maestro: “...voi tutti, che siete affaticati e oppressi...”. Sono i “piccoli”, scoraggiati dal peso eccessivo delle osservanze della Legge, come viene interpretata dai farisei. Ma sono anche tutti quelli che si sentono schiacciati dalle prove e dalle angustie della vita. A tutti questi (ci siamo anche noi), spesso tentati di non rimanere fedeli a Gesù, Egli rivolge tre imperativi:

Venite a me”: credete in me, mettetevi in relazione con me, legatevi a me.

Prendete il mio giogo sopra di voi”. Il “giogo” è simbolo della Legge mosaica o della Sapienza. Qui indica l’insegnamento di Gesù, il suo Vangelo, che Egli ci invita a seguire.

Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Il senso non è tanto: imitate me come modello di mitezza e di umiltà. Ma: lasciatevi istruire da me, ascoltate il mio messaggio, la mia parola. Mettetevi alla mia scuola. Diventate e rimanete  miei discepoli. Il motivo di questo appello a seguirlo: Egli non è un Maestro duro come gli altri (es. come gli scribi), ma dolce, comprensivo, che sostiene e incoraggia. Forse, più precisamente, è da intendere che Gesù è mite verso gli altri perché umile verso Dio. Il suo rapporto di abbandono fiducioso e obbediente a Dio (umiltà) genera la sua relazione di attenzione misericordiosa agli altri (mitezza). In Lui si trova pienamente realizzata la fisionomia dell’umile re messianico annunciato dal profeta Zaccaria (9,9-10: I lettura).

“Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”. In che senso Gesù può fare una tale affermazione, se le sue esigenze sono molto più radicali di quelle contenute nella Legge di Mosè?

In realtà tutta la Legge, complicata dall’interpretazione degli scribi, Gesù l’ha semplificata e concentrata nel comandamento dell’amore. Una tale esigenza non si può dire “pesante”. “Chi ama corre e vola. Vive nella gioia” (Imitazione di Cristo). Inoltre il “giogo” lo porta Lui con noi. Se sono unito a Lui, lascio che Gesù stesso viva in me, ami in me, mi comunichi il suo Spirito che è amore, mi comunichi la sua stessa capacità di amare.

Particolarmente sottolineata da s. Paolo (Rm 8, 11-13: II lettura) è appunto questa presenza nel credente di Colui che l’Apostolo chiama “lo Spirito di Cristo” (una volta) e “lo Spirito di Dio” (tre volte).

Il frutto, la conseguenza dell’ascolto del Maestro Gesù: “Io vi ristorerò...troverete ristoro per le vostre anime”, cioè troverete la suprema realizzazione di voi stessi.

 

Proverò a ripetere spesso come Gesù e con Gesù - anzi lasciando che Lui lo ripeta in me-:  Ti benedico, Abbà”. Quanti motivi abbiamo lungo la giornata per lodare e ringraziare!

 

Si, o Padre,” (Sì, papà). Lo ripeterò con Gesù che vive in me, associandomi a Lui mentre  lo dice incessantemente al Padre. In tal modo assicurerò il Padre che mi sento sicuro fra le sue braccia  insieme con Gesù e che sono pronto a fare o accettare la sua volontà nei momenti di gioia, ma anche di dolore.  

 

Il “Sì, o Padre”, pronunciato da Gesù, raggiunge appunto una profondità abissale quando Egli è solo sulla croce. Così anche il nostro “Sì, o Padre”, quando nella morsa del dolore, stretti al Crocifisso, dichiariamo a Dio la nostra fiducia e la nostra resa incondizionata al suo oscuro disegno d’amore.