XII DOMENICA del TEMPO
ORDINARIO/A 2005
26 In quel tempo,
disse Gesù ai suoi discepoli:”Non temete gli uomini, poiché non v’è nulla di
nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere
manifestato. 27 Quello che vi
dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio
predicatelo sui tetti. 28 E non abbiate
paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;
temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo
nella Geenna. 29 Due passeri non
si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza
che il Padre vostro lo voglia. 30 Quanto a voi,
perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; 31 non abbiate
dunque timore voi valete più di molti passeri! 32 Chi dunque mi
riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio
che è nei cieli; 33 chi invece mi
rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che
è nei cieli”.
[Mt 10,26-33]
Gesù invia i discepoli di
tutti i tempi a “evangelizzare”, dicendo quello che diceva Lui e operando
quello che operava Lui, anzi...lasciando che Lui continui a dire e ad operare
attraverso di loro. (cfr. Vangelo della scorsa domenica).
“Quello che vi dico nelle
tenebre.....predicatelo sui tetti”. Gesù desidera trasmetterci la certezza
che riempie il suo cuore: del suo Vangelo tutti gli uomini hanno un assoluto
bisogno. La rivelazione su Dio Padre - che attraverso il proprio Figlio chiama
tutti a essere felici della sua stessa felicità - Egli la offriva alle folle,
ma poi la “sbriciolava” e spiegava in tutti i suoi aspetti ai propri discepoli
in un prolungato cammino educativo. Quanto essi hanno ascoltato, appreso e
vissuto nel rapporto con Lui è un’esperienza così ricca, è un dono così
vertiginoso che non può rimanere dentro la loro cerchia, a loro uso e consumo.
Ma tutti gli uomini devono esserne partecipi. Tutti devono saperlo. Il
messaggio di Gesù deve raggiungere tutti. A tal fine i discepoli dovranno
ricorrere ad ogni espediente, servirsi di ogni mezzo: dalla parola detta o scritta
agli strumenti sempre più vari e potenti della comunicazione di massa. Un
annuncio pubblico, che non trascura nessuna persona, nessuna fascia di
età, nessuna categoria. Un annuncio integrale, che cioè proclama tutte
le parole di Gesù, tutti i punti della Rivelazione, senza farne una selezione a
seconda dei gusti di chi offre l’annuncio o di chi lo riceve.
Responsabili di tale annuncio -
oggi diciamo preferibilmente “nuova evangelizzazione”- sono tutti
i discepoli di Gesù, nessuno escluso.
L’annuncio si compie con la
testimonianza della vita e con la parola: “La vostra vita grida
più forte delle vostre parole”( madre Teresa di Calcutta).
Che cosa testimoniare, che cosa
dire? <<L’uomo è amato da Dio! E’ questo il semplicissimo e
sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo. La parola e la
vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio
ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è “via, verità e
vita” (Gv 14, 6)>> [Chfl 34].
Come singoli e come comunità abbiamo
mai riflettuto seriamente su questa consegna di Gesù e sulle sue implicazioni
concrete?
Gesù non ci illude. Sa bene che
tale “operazione” non è indolore. Nel brano che precede immediatamente il
nostro (vv 16-25) ha annunciato apertamente le persecuzioni che si accaniranno
contro i discepoli inviati in missione. Per questo li incoraggia: tre volte in
un testo pur così breve troviamo l’imperativo “Non temete”. E’
uno degli imperativi più frequenti nella Bibbia e risuona immancabilmente sulla
bocca di Dio ogni volta che incontra una persona o un gruppo di persone.
All’uomo abituato a convivere con la paura, a trascinarsi prigioniero della
paura, Dio offre la grande assicurazione che, quando c’è Lui e l’uomo accetta
la sua compagnia, la paura non ha più ragion d’essere e viene superata. Gesù
riprende, con insistenza, questa esortazione divina. Ecco che cosa gli sta
veramente a cuore: che i suoi non cedano alla paura lasciandosi ridurre al
silenzio e diventando infedeli alla missione. Gesù richiama alcuni motivi che
potranno sostenerli nel combattere e vincere la paura.
- “Non v’è nulla di
nascosto che non debba essere svelato...”. La parola di Gesù, la sua
rivelazione, anche se affidata a pochi nel segreto, anche se inizialmente
rifiutata e fallimentare, si farà strada e avrà uno sviluppo, come il seme di
un albero (cfr Mt 13, 31-32). Questo perché ogni notizia tende a propagarsi
come per un processo naturale. Ma, soprattutto, perché Dio si incaricherà di
far conoscere e diffondere la rivelazione di Gesù: è questo il senso dei due
verbi nella forma passiva (“deve essere svelato...deve
essere manifestato” da Dio, si intende). Ecco dove poggia la speranza
di Gesù sul futuro del suo Vangelo: tutta l’”impresa” la conduce il Padre e lo
fa proprio attraverso i discepoli (“ditelo nella luce, predicatelo sui
tetti”).
- “E non abbiate paura di
quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima...”. Gesù non promette ai discepoli che saranno
loro risparmiati i mali che temono. Ma vuole aprire loro gli occhi: dove stanno
il vero bene e il vero male? La vita terrena non è il bene più grande, come la
morte non è il male più grande. Il vero bene è la vita eterna con Dio, il vero
male è essere privati di Dio. E’ questo il senso della contrapposizione: non
temere gli uomini che al massimo possono togliere la vita fisica; temere,
invece, Dio (cioè riconoscerlo, adorarlo, amarlo, attuare la sua volontà),
Dio il quale è infinitamente più potente dei persecutori e dal quale dipende il
nostro destino definitivo, la vita eterna o la rovina eterna. Gesù ci invita a
essere “realisti”, a discernere con lucidità ciò che è essenziale, ciò che vale
e per esso a metterci interamente in gioco, anche se questo dovesse comportare
la perdita della vita fisica. Il “martirio” (=testimonianza) è la forma
più alta di annuncio. I martiri “sono coloro che hanno annunciato il
Vangelo, dando la vita per amore...Il credente che abbia preso in seria
considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una
possibilità già annunciata nella Rivelazione, non può escludere questa
prospettiva dal proprio orizzonte di vita” (IM 13). Ogni giorno, però, noi
possiamo dare alla nostra vita la dimensione del “martirio”, quando - sapendo
morire a noi stessi - compiamo ogni gesto nella radicalità dell’amore a Dio e
al prossimo. Testimoniamo così che il valore più alto non è la vita terrena e
ogni forma di benessere o di successo, da ricercare o conservare a ogni costo.
Ma mostriamo in modo credibile che il valore più alto è il nostro legame con
Dio e con la sua volontà, e per esso sappiamo impegnare coraggiosamente la
nostra esistenza in ogni sua espressione.
- “Due passeri...voi
valete di più”. Il terzo motivo su cui Gesù fonda l’esortazione a
bandire ogni timore è l’amore paterno e provvidente di Dio per ciascuno dei
suoi figli. Dio si prende cura di ogni creatura a tal punto che neppure un
passerotto è trascurato da Lui: “non cadrà a terra senza che il Padre
vostro lo voglia”. Più propriamente: “senza il Padre vostro”.
Cioè il Padre è al corrente della morte dell’uccellino e non la impedisce,
perché questa rientra nel suo disegno d’amore. Ma non è indifferente e lontano,
bensì presente, partecipe della tragedia della sua piccola creatura,
soffrendola in qualche modo con lei. Quanto più - conclude Gesù - il “Padre
vostro” avrà sollecitudine di voi. Non nel senso che vi libererà dalla
morte, ma - se essa è prevista nel suo piano d’amore - Egli la ...vivrà con
voi, come tenendovi in braccio. Poiché ognuno dei suoi figli è prezioso ai suoi
occhi, come preziose sono le loro sofferenze e il loro impegno di rimanergli
fedeli. Ognuno è il suo tesoro personale: “Come possiamo essere una piccola
cosa, se siamo un tesoro per te?” (San Bernardo). E tutto lo interessa di
noi: “Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”. “L’amore
di Dio arriva a preparare anche i dettagli...Ora c’è solo l’abbandono che mi
guida, non ho proprio altra bussola” ( Santa Teresa di Lisieux). Un sogno
da non rimuovere: imparare a scaricare ogni problema, che può inquietarci, nel
cuore del Padre; arrivare ad essere così tanto sicuri di Lui da poter smettere
di preoccuparci di noi.
Le parole di Gesù, che
stiamo meditando, fanno emergere due atteggiamenti di fondo che il discepolo è
chiamato a vivere e a rinnovare incessantemente: la fiducia totale nel Padre
e l’attaccamento incondizionato a Gesù del quale condivide la passione.
Il legame con Gesù sofferente può provocare angustia e timore nel discepolo.
Per questo Gesù vuole incoraggiarlo: è il senso del triplice “non temete”
con le motivazioni che lo fondano. Moltiplicare gli atti di affidamento al
Padre e unire spesso le proprie sofferenze a quelle del Crocifisso: questo
esercizio ci procurerà la vera libertà di fronte a ogni forma di paura. La
libertà di impegnarci nell’annuncio del Vangelo. La libertà di “riconoscere”
coraggiosamente e pubblicamente, nelle occasioni grandi e piccole della vita,
Gesù come il proprio Signore, non vergognandoci di Lui, ma manifestandoci suoi discepoli nelle scelte contro corrente
e nella parola franca. Con la serena fiducia che Egli ci “riconoscerà”
come suoi fratelli davanti al Padre nel giorno del giudizio. La nostra salvezza
definitiva si decide nella posizione che prendiamo o meno in suo favore, nella
nostra solidarietà o meno con Lui.
“Che cosa hai rischiato tu
per la tua fede?” (Card. Newman)
Quando lungo la giornata
avvertirò il peso, la fatica, il “pericolo” a cui mi espongono il credere e il
testimoniare Gesù, riascolterò il suo “Non temete” e la buona notizia che lo
fonda.