XI DOMENICA del T.O./A 2005

36 In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: La messe è molta, ma gli operai sono pochi!    38 Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe! . 1 Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e dinfermità. 2 I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, 3 Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, 4 Simone il Cananeo e Giuda lIscariota, che poi lo tradì. 5 Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6 rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa dIsraele. 7 E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".

[Mt 9,36-10,8]

 

"Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore". Troviamo qui la radice e il movente di quanto Gesù dice e opera. Gesù "vede" la reale situazione del popolo: sbandato e diviso per mancanza di guide che lo tengano unito, e quindi smarrito ed esausto. Il "vedere" provoca una reazione immediata: "ne sentì compassione". Un verbo che richiama le "viscere" e quindi una tenerezza profonda, materna. Anzi, il suo non è uno sguardo freddo e distaccato, ma traboccante di attenzione compassionevole. Gli occhi di Gesù sono occhi "misericordiosi" nei quali brilla l'infinita tenerezza del "Padre misericordioso". Una compassione attiva che si traduce in un intervento concreto.

Questa scena è sempre attuale: anche oggi Gesù vede una società lacerata e incapace di vivere fraternamente, una umanità prigioniera di una sofferenza immensa e priva della luce del Vangelo. Vede e ne prova compassione. E si impegna a intervenire. Vuole unificare l’umanità divisa, facendone una famiglia.

 

Nel contesto più ampio del Vangelo di Matteo la prima risposta che Gesù dà ai bisogni del popolo è il suo insegnamento (discorso della montagna: Mt 5-7) e le molteplici guarigioni (Mt 8-9).

 

La seconda risposta che dà è la formazione del gruppo dei discepoli e il loro invio in missione (Vangelo di oggi e delle prossime domeniche). Gesù non vuole operare da solo, ma coinvolge i discepoli, li associa a sé nel suo servizio di annuncio evangelico e nella sua attività di liberare gli uomini da ogni forma di male. Li coinvolge nella sua "compassione" attiva. I discepoli avvertono lo sguardo misericordioso di Gesù che avvolge tutta l'umanità. Da questo sguardo di amicizia si sentono raggiunti personalmente. Comprendono che questo sguardo sono chiamati a condividere, prestando a Lui i propri occhi perché Egli continui a guardare ogni uomo con la stessa amorevolezza. La missione dei primi discepoli e della Chiesa in ogni tempo, che prolunga quella di Gesù, ha la sua origine e spiegazione permanente nella "compassione", cioè nell'amore gratuito e attivo che spinge a impegnarsi per alleviare le miserie del popolo, dell'umanità. Gesù ci insegna che nessun servizio di evangelizzazione e di promozione umana è possibile senza la misericordia che lo motivi e lo accompagni. Occorre rinnovare senza tregua questo "sguardo compassionevole", anzi lasciarcelo rinnovare da Gesù.

 

"La messe è molta, ma gli operai sono pochi". Il primo operaio è Gesù stesso. Egli riconosce la sproporzione abissale tra la vastità del campo di lavoro apostolico e l'esiguità, non solo quantitativa, degli operai evangelici. Gesù, però, non comincia con l'appello "Datevi da fare!", ma con l'invito "Pregate il Padrone...". Ecco la prima forma della missione: il campo è del Padrone, l'opera è sua e Lui solo può chiamare e inviare gli operai. Nella preghiera non intendiamo convincere Dio, ma, mettendoci in rapporto con Lui, ci sintonizziamo col suo cuore e impariamo a condividere la sua stessa "passione" d'amore per tutti gli uomini. "...perché mandi operai": preti, frati, suore, laici di ogni età e condizione, tutti coinvolti. Nessun battezzato ha il diritto di essere un semplice "cliente" passivo della Chiesa. Ma tutti, con ruoli diversi e complementari, sono chiamati a lavorare per la messe, sono chiamati a edificare la Chiesa. Nella grande partita che si sta giocando per il Regno di Dio, non ci sono ventidue in campo mentre tutti gli altri fanno da spettatori. Ma tutti sono giocatori titolari e nessun "panchinaro".

Per aiutare efficacemente il popolo, l'umanità, Gesù ha indicato il mezzo prioritario della preghiera. Ora, però, manda i suoi discepoli. Non manda i primi che incontra, ma coloro che da tempo vivono con Lui: "i dodici discepoli...i dodici apostoli", cioè inviati. Non puoi essere "apostolo" se non sei "discepolo", legato cioè a Gesù da un rapporto personale dentro la comunità fraterna dei suoi. Ma se sei discepolo, non puoi non essere "apostolo", uno cioè che Gesù invia insieme agli altri che gli appartengono: "li inviò". E' interessante notare che, nella lista dei Dodici, essi vengono raggruppati a coppie, con una chiara allusione al testo di Marco dove Gesù "chiamò i dodici e incominciò a mandarli a due a due" (Mc 6,7). La missione si svolge non in modo isolato e individualistico, ma comunitario. E' un "gioco di squadra". Anzi, la "comunione", dei discepoli è già di per sé l'annuncio più efficace, perché tale comunione contiene la presenza del "Regno dei Cieli" (cioè Dio stesso che si fa vicino e si dona in Gesù), che essi sono inviati ad annunciare.

 

Per questo Gesù dedica ogni cura a formare il gruppo dei Dodici perché diventino una famiglia sempre più unita. Il numero "dodici" richiama le dodici tribù di Israele di cui i profeti avevano annunciato il raduno finale ad opera del Messia. Essi rappresentano il nucleo vitale del nuovo popolo di Dio e ne sono le guide autorevoli. Gesù li manda alle "pecore perdute della casa d'Israele", cioè al popolo di Dio disperso perché collaborino con Lui a radunarlo in una famiglia fedele al Signore. Così tutte le genti, attratte da tale unità, sarebbero venute a far parte del popolo di Dio. E' la missione storica di Gesù, in attesa che il Risorto affidi ai discepoli la missione universale.

L'elenco si apre con "primo, Simone chiamato Pietro": c'è l'indicazione chiara del "primato" dell'apostolo al servizio dell'unità del gruppo. Ma soprattutto sarà il rapporto con Gesù e l'amore scambievole che assicureranno tale unità. Un'impresa possibile? Anche a una lettura superficiale non può sfuggire la composizione eterogenea di tale gruppo: ci sono almeno quattro pescatori; c'è un esattore delle tasse e quindi collaborazionista del potere romano ("Matteo il pubblicano"). C'è anche "Simone il Cananeo" (=zelota), nazionalista, proveniente dalla Resistenza armata. C'è pure un futuro "traditore" (Giuda Iscariota). Un gruppo dove convivono in permanenza uomini quanto meno indicati per far vita in comune. Provengono, infatti, da esperienze diverse e anche contrapposte, con mentalità e caratteri diversi. Tutti però chiamati a lasciarsi formare da Gesù diventando sempre più la sua famiglia. Così in una comunità cristiana l'impegno di tutti e di ciascuno nell'aderire a Gesù porterà a quel superamento progressivo di ogni tensione, di ogni conflitto e a quella "sintesi" di tutte le "diversità" che è la "comunione".

Il programma missionario dei discepoli inviati è quello di Gesù. La loro attività continua la sua: "predicate che il Regno dei Cieli è vicino. Guarite...". Meglio ancora, nella vita e nell'opera dei discepoli, di ieri come di oggi, accade ancora ciò che l'evangelista annota nel versetto che precede immediatamente il nostro brano: "Gesù percorreva tutte le città e villaggi insegnando...e curando ogni malattia e infermità" (Mt 9,35). Quel "movimento" continua e ognuno di noi c'è dentro. Si tratta di vivere la missione con lo stile di Gesù che è la gratuità dell'amore: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Il dono ricevuto, per pura grazia di Dio, ce lo ha richiamato il testo dell’Esodo (19,2-6: I lettura).

Dio ha liberato Israele dalla schiavitù d’Egitto e lo ha condotto al Sinai. Qui gli propone di legarsi a Lui in un rapporto profondo, l’Alleanza: “Se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà fra tutti i popoli”. L’espressione nella lingua ebraica significa un bene che uno possiede in esclusiva, un tesoro di cui è gelosamente innamorato.

Subito dopo l’identità del popolo di Dio viene specificata: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti (=sono vicini a Dio e vivono un rapporto di intima comunione con Lui) e una nazione santa (=gli appartengono, sono suoi, oggetto di un amore incondizionato)”. È commovente notare che questa prerogativa del popolo della Prima Alleanza viene applicato alla Chiesa nel N. T.  (1Pt 2,9; Apc 5,10).

 

Da parte sua s. Paolo (Rm 5, 6-11: II lettura) afferma con forza che l’esperienza battesimale dei cristiani ha un unico fondamento, un'unica spiegazione: l’amore sommamente gratuito e misericordioso di Dio – che si è manifestato nella morte di Cristo per noi – ci ha “riconciliati” con Lui quando eravamo “empi…peccatori… nemici”. Chi ha sperimentato tale dono come può non trasmetterlo agli altri? “Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo. In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla agli altri” (Benedetto XVI).

 

E' facile cedere alla tentazione del calcolo e della logica commerciale che tende a inquinare ogni rapporto. Si pensi per esempio alla domanda del bambino alla mamma: "Cosa mi dai se ti faccio questo piacere?" Gesù invece mi ricorda che "c'è più gioia nel dare che nel ricevere" (Atti 20,35).

 

Proverò a contare i gesti di gratuità che riesco a compiere lungo la giornata.