IV DOMENICA di QUARESIMA /A 2005

 

 

1 In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7 e gli disse: Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato). Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: Non è egli quello che stava seduto a chiedere lelemosina? . 9 Alcuni dicevano: E' lui; altri dicevano: No, ma gli assomiglia. Ed egli diceva: Sono io! .  13 Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14 era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo. 16 Allora alcuni dei farisei dicevano: Questuomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato. Altri dicevano: Come può un peccatore compiere tali prodigi? . E cera dissenso tra di loro. 17 Allora dissero di nuovo al cieco: Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi? . Egli rispose: E' un profeta! . 34 Gli replicarono: Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? . E lo cacciarono fuori. 35 Gesù seppe che lavevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: Tu credi nel Figlio delluomo? . 36 Egli rispose: E chi è, Signore, perché io creda in lui? . 37 Gli disse Gesù: Tu lhai visto: colui che parla con te è proprio lui. 38 Ed egli disse: Io credo, Signore! . E gli si prostrò innanzi.

[Gv 9,1.6-9.13-17.34-38 ; forma breve]

 

 

Le prime letture delle domeniche di Quaresima richiamano in modo articolato le diverse tappe della Storia della Salvezza, orientata a Cristo: l’umanità delle origini (I domenica), la vocazione di Abramo (II domenica), il popolo d’Israele che nel deserto Dio disseta con l’acqua sgorgata dalla roccia, simbolo di Cristo (III domenica). Nell’attuale domenica il brano dal primo libro di Samuele (1Sam 16,1-13: I lettura) narra l’elezione e l’unzione regale di David, antenato e figura del Messia.

 

Nel brano evangelico invece (seguiamo la forma breve) domina il tema della luce (cfr, pure Ef 5, 8-14: II lettura). Tutta la trama del racconto si comprende a partire da un'affermazione di Gesù (all'inizio del brano completo); "Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo" (v.5). Ecco chi è Gesù per l'uomo: la luce che rischiara la sua esistenza e la riempie di significato. E' colui che dona la luce della fede. Infatti il cieco rappresenta l'uomo che non crede. Ma Gesù lo guarisce: fisicamente e anche spiritualmente. Alla luce piena della fede il "cieco nato" arriva attraverso un itinerario lento e laborioso (come era avvenuto per la samaritana).

Gesù passa, vede un cieco, un pover' uomo che da anni sta seduto in quel posto a chiedere l'elemosina. Si ferma, non va oltre. Lo ama. Gli si avvicina e lo tocca con tenerezza. Poi gli comanda: "Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)".  "Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva" (v.7). La guarigione non è frutto di qualche magia. E' molto più semplice: basta obbedire alla parola di Gesù.

Così anche per noi è possibile rivivere questa storia: è sufficiente lasciarsi toccare il cuore dal Vangelo, ascoltando cioè e mettendo in pratica la parola di Gesù, e immergerci nella "piscina di Sìloe" (che significa "Inviato" e quindi Cristo stesso), cioè incontrare Gesù nei Sacramenti. Saremo, così, guariti dalla cecità e potremo accorgerci di chi ci sta attorno. E saremo capaci di stendere a nostra volta le mani per toccare con affetto chi è solo, chi è bisognoso, chi chiede amicizia. O meglio, permetteremo a Gesù di agire Lui stesso attraverso di noi.

Tutto il racconto, però, intende sottolineare in modo molto accentuato due atteggiamenti contrapposti davanti al medesimo fatto (il miracolo della guarigione del cieco), o meglio davanti alla medesima persona, Gesù.

Da una parte c'è l'atteggiamento del cieco che, guarito fisicamente, giunge grado grado all'illuminazione totale, che è la luce della fede in Gesù. L'evangelista descrive, appunto, l'itinerario della fede cristiana nel suo progressivo chiarificarsi: per il cieco Gesù è dapprima "quell'uomo che si chiama Gesù" (v.11) e che lo ha guarito: un uomo, cioè, che si è interessato  di lui e gli ha voluto bene concretamente. In un secondo momento lo riconosce come "un profeta" (v.17); quindi un inviato di Dio (v.33). Infine (è l'ultima tappa), in un incontro personale Gesù gli si rivela come il "Figlio dell'uomo", cioè come il Signore e Giudice universale, colui che viene dal cielo per radunare gli uomini e renderli partecipi della vita di Dio (Gv 1,51; 3, 14-15; 6, 62-63). Allora, prostrato a terra, il cieco guarito professa la sua fede piena: "Io credo, Signore!" (vv.35-38). Una fede che è cresciuta in un contesto di ostilità.

Secondo l'evangelista, nel corso della storia si svolge un grande processo dove l'imputato è Gesù e ogni uomo è chiamato a prendere posizione, a scegliere se stare con Gesù oppure contro di Lui. Non è possibile rimanere neutrali. Il cieco guarito si schiera dalla parte di Gesù e per questo si espone alla persecuzione. Ma nelle difficoltà la sua fede matura e la sua testimonianza si fa più decisa. La fede può esigere una rottura violenta col mondo e con la sua logica. Può comportare l'esclusione dalla comunità: il cieco, infatti, viene espulso dalla comunità come peccatore (v.34). Perfino i suoi genitori si rifiutano di appoggiarlo. Una fede senza complessi, coraggiosa: il cieco si trova praticamente solo e contro tutti nel difendere Gesù, nel testimoniare in suo favore. Una fede, quindi, che espone alla solitudine. Ma questa solitudine è riempita dall'incontro permanente con Cristo.

Mentre il cieco vede sempre più, dall'altra parte gli avversari diventano sempre più ciechi. Tutto questo si coglie con più evidenza nella forma lunga del testo (vv.39-41). Veramente l'uomo, come ha la possibilità di aprirsi alla fede, porta anche in sé il terribile potere di accecarsi, cioè di fabbricarsi delle buone ragioni per non vedere, di crearsi delle false evidenze, di rifiutarsi di aprire gli occhi dicendo che "vede". E' una tragica tentazione in continuo agguato nella nostra vita. In ogni azione che compiamo noi decidiamo sempre di sbarrare porte e finestre oppure di aprirle all'invasione della luce (cfr. Ef 5, 8-14: II lettura).

 

Come l'acqua nel racconto della samaritana, così la luce è simbolo del Battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato anche "illuminazione". Così pure i battezzati erano detti anche "illuminati" (cfr. Eb 6,4; 10,32). Cfr. anche l'antico inno battesimale "Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ef. 5,14). Si noti inoltre: "Si lavò" e "ci vedeva" (Gv 9,7).

Attraverso quelle azioni speciali che la Chiesa compie accompagnandole con la parola di Gesù, cioè i Sacramenti, è Gesù stesso che opera: "Pietro battezza? Cristo battezza" (sant'Agostino). Sono le sue mani che toccano l'uomo e lo risanano. Così, nel Battesimo Gesù è la luce vera del mondo, illumina interiormente l'uomo e lo rende nuova creatura, figlio di Dio.

In corrispondenza al messaggio contenuto nel testo evangelico, quasi in un vero contrappunto musicale, san Paolo ricorda che l’esistenza e l’attività del battezzato sono un’esistenza e un’attività luminose: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore”. Luce come Cristo stesso, che è “la luce del mondo”. “Comportatevi perciò come i figli della luce”, cioè “cercate ciò che è gradito al Signore”.

L'ascolto di questo brano evangelico, perciò, può aiutarci a riscoprire il significato del nostro Battesimo e l'identità di Gesù. Come fare? Ripercorrendo di tappa in tappa il medesimo itinerario del cieco guarito (come anche della samaritana).

 

In quanto credenti, sappiamo che Cristo è la luce, è colui che, col dono della fede, nel nostro Battesimo ha aperto i nostri occhi rendendoci capaci di vedere la realtà: la realtà di Dio e la realtà del mondo con gli occhi stessi di Dio. Tale dono, però, impegna al contatto costante con Cristo luce e alla testimonianza instancabile della fede.

 

Paul Claudel in una sua opera mette in bocca a un cieco questa domanda: "Voi che ci vedete, che ne fate della luce?" E' una domanda che milioni di ciechi spirituali rivolgono oggi ai cristiani: "Voi che credete in Cristo che ne fate della vostra fede?"

 

A che punto mi trovo nel cammino di fede? Permetto a Gesù di guarirmi col Vangelo e con i Sacramenti, oppure sono ancora cieco o miope?

In che misura faccio mia la professione: "Io credo, Signore"?

 

Più si crede e più si testimonia. Ma anche, più si testimonia e più cresce la fede. "La fede si rafforza donandola". (Giovanni Paolo II)

Com'è la mia testimonianza? Timida? Superficiale? Convinta? Entusiasta?