In quel tempo,Giovanni vedendo
Gesù venire verso di lui disse: “Ecco
l’agnello di Dio, ecco colui
che toglie il peccato del mondo! 30 Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me
viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 31 Io non lo
conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto
conoscere a Israele”.
32 Giovanni rese testimonianza dicendo “Ho
visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. 33 Io
non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e
rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. 34 E io ho visto e
ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”.
[Gv 1,29-34]
Il Vangelo di questa
domenica, ancora sulla lunghezza d'onda dell'Epifania (=manifestazione di
Gesù), riporta la testimonianza di Giovanni Battista:
"Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse". La
realtà più vera di Gesù rimane nascosta alla percezione comune. Ma un profeta,
illuminato da Dio, scopre la sua identità, la sua missione e la rivela.
"Ecco l'agnello di Dio". Un titolo notissimo, quasi
logorato dall'uso. Ma in che misura è compreso il suo significato? Il termine
"agnello" rimanda all' "agnello pasquale" che, sacrificato
nel tempio, veniva poi consumato nella cena pasquale, una festa notturna
celebrata in famiglia. Evoca, quindi, la liberazione di Israele dalla schiavitù
d'Egitto e soprattutto la redenzione messianica, di cui quella dell'Esodo era
una figura. In effetti, Giovanni nel racconto della passione di Gesù sottolinea
il particolare che non gli vengono spezzate le gambe e in questo fatto vede
compiersi la prescrizione riguardante l'agnello pasquale: "Non gli spezzerete alcun osso" (Gv
19, 33.36. cfr Es 12,46). E' evidente il messaggio dell'Evangelista: Gesù è
l'Agnello pasquale. Cioè col suo sacrificio ha operato la liberazione
definitiva dell'umanità. Nel termine si coglie anche un'allusione al
"Servo del Signore" che Isaia, nell'annunciare in anticipo la sua
passione, paragona a un "agnello
condotto al macello", aggiungendo anche che "portava il peccato di molti (= di tutti)"
[Is 53, 7.12]. L'opera di questo "agnello", che dice di
per sé una figura quanto mai inerme e fragile, è poderosa: "toglie il peccato del mondo".
La forza del male, che è ribellione a Dio, inimicizia contro di Lui, rifiuto
egoistico di Dio e del prossimo, si esprime in un cumulo crescente di colpe
personali e sociali, come un fiume in piena che si ingrossa sempre più e che
nulla sembra poter arginare: questo è il "peccato del mondo",
soprattutto la sua incredulità di fronte alla rivelazione di Gesù.
"L'agnello di Dio" - che cioè appartiene a Dio, non un
agnello che l'umanità offre a Lui, ma che Dio stesso dona all'umanità -
elimina, distrugge, fa scomparire il peccato
del mondo e quindi tutte le colpe dell'umanità che la separano da Dio. In
che modo? Con la sua parola rivelatrice, cioè con la forza del suo Vangelo, e
soprattutto col sacrificio della sua vita. Il verbo che è tradotto con
"togliere" significa pure "caricarsi, prendere su di sé".
In tal caso sarebbe chiaro il riferimento a Is. 53,12 (come sopra abbiamo
mostrato).
Gesù è l'unica persona che
toglie il peccato e quindi riconcilia con Dio, riporta cioè alla perfetta
comunione con Lui e dona l'energia per non peccare più. Non esiste nessuna
situazione di così tragica lontananza da Dio, nessun peccato così grave, che
Gesù non possa cancellare e trasformare. Egli è la rivelazione della
misericordia di Dio che è più forte di ogni peccato e rigenera l'uomo col
perdono.
Ma c'è un altro aspetto
dell'attività di Gesù più positivo ancora:
E' "Colui che battezza in Spirito Santo", cioè dona lo
Spirito, effonde l'abbondanza dello Spirito Santo. Propriamente "immerge"
nello Spirito Santo, cioè nella pienezza infinita della vita, dell'amore e
della gioia di Dio. Ciò avviene nel battesimo cristiano. Ma più in generale si
intende il dono permanente dello Spirito che il Risorto, e soltanto Lui, fa
alla Chiesa e che è sgorgato dalla sua morte redentrice. C'è un legame
strettissimo fra lo Spirito Santo e il perdono: cfr. la formula
dell'assoluzione sacramentale: "Dio
Padre di misericordia...ha effuso la Spirito Santo per la remissione dei
peccati...". Non c'è esperienza del perdono senza l'esperienza dello
Spirito Santo.
Giovanni Battista fonda
queste affermazioni sconvolgenti sull'esperienza da lui fatta subito dopo il
battesimo di Gesù: ha "visto lo
Spirito scendere e rimanere su di Lui"
(cfr. Is 11,2). Ha capito
cioè che Gesù, possedendo in pienezza lo Spirito, lo può a sua volta
comunicare. Ma chi può dare lo Spirito Santo se non Dio solo? Ecco appunto
l'ultima scoperta di Giovanni e quindi la sua testimonianza più alta: "Gesù è il Figlio di Dio". Di lui
aveva già precedentemente affermato la divina preesistenza: "Era prima di me".
Si avverte nelle parole di
Giovanni una confessione di fede in Gesù straordinariamente ricca e profonda.
Nelle azioni e titoli "vertiginosi" che il Battista applica a Gesù si
coglie la sorpresa e la gioia intima del "testimone", innamorato di
lui, felice di poter donare la rivelazione che ha ricevuto. Il rischio che noi
corriamo è di ascoltare superficialmente tutto quanto viene attribuito a Gesù
nel Vangelo, lasciandolo scivolare via e senza riflettere sul suo significato.
Eppure in ogni Eucaristia tutto ciò continua ad accadere: la presenza del
Messia divino preesistente, la vittoria totale sul peccato e il dono dello
Spirito, che sono frutto della sua Pasqua. E noi vi siamo coinvolti.
Giovanni riconosce che la sua
scoperta dell'identità di Gesù è frutto di rivelazione, è dono:
"Io non lo conoscevo", cioè prima non vedeva che l'uomo
senza afferrare il mistero di Gesù, che pur era suo parente. Ma poi è stato
illuminato da Dio. Così, nella nostra vita di cristiani ogni passo avanti nella
comprensione di Gesù - e non si finisce mai di scoprirlo, perché è un mistero
inesauribile -, ogni passo avanti nella scoperta di Lui è grazia, è dono.
Grazia e dono che, però, si
accompagnano sempre a una disponibilità, a una ricerca di Lui che deve essere appassionata, insonne.
Quanti cristiani sono lontani
da una conoscenza di Gesù che si avvicini a quella di cui parla Giovanni!
Manifestano lacune vistose sul piano della dottrina e della prassi, e non se ne
preoccupano affatto. Ritengono il cristianesimo un insieme di pratiche da
assolvere, di doveri da compiere. Non sospettano che è essenziale alla vita di
fede una relazione personale con Gesù. Il rapporto con una persona
riconosciuta, appunto, come l' "Agnello di Dio", l'unico donatore
dello Spirito...Una dottrina si può discutere, davanti a una morale si può
mercanteggiare. Ma di fronte alla persona di Gesù occorre decidersi per il sì o
per il no. Non si può restare neutrali. Soltanto chi aderisce incondizionatamente
a Gesù può dire come Giovanni Battista : "Ho visto e ho reso testimonianza...". Questa testimonianza è credibile ed è il dono più
grande che possiamo offrire agli altri.
Ai cristiani di Corinto (1Cor 1, 1-3: II lettura), e anche di oggi,
affetti da rivalità, divisioni, indifferenza reciproca, s. Paolo mette davanti
agli occhi la superiore unità di tutti
coloro che formano la “Chiesa di Dio, …Padre nostro”, hanno la medesima
fede in Cristo (“invocano il suo nome”) e gli appartengono (“santificati in Cristo…Signore nostro e loro”). “Grazia e pace a voi”. È il
saluto tipicamente cristiano. Più che un saluto è un annuncio gioioso, è una
dichiarazione rassicurante. La “grazia”è l’amore totalmente gratuito di Dio che ha
raggiunto il suo culmine nel dono di Gesù. È Lui l’amore di Dio reso visibile e
sperimentabile. È Lui la “grazia”. La “pace” è l’insieme di tutti
i beni che si possono desiderare, la pienezza della comunione con Dio e tra gli
uomini. Ancora, la “pace” è Gesù (cfr. Ef 2, 13-22). I cristiani
godono di una ineffabile realtà, che Paolo chiama “grazia e pace”; godono del
dono di una Persona, Gesù. È l’identità
cristiana che accomuna tutti i battezzati, anche se appartengono a confessioni
diverse. Come pure le accomuna la fede in Gesù, espressa mirabilmente nel testo
evangelico di oggi. Gesù, come il Battista testimonia, rimane
l'unico tesoro al quale tutti i cristiani, pur ancora divisi tra loro,
attaccano il proprio cuore. Nella misura in cui tutti - cattolici, anglicani,
protestanti, ortodossi - crescono nel rapporto con Lui, progrediscono anche
nella loro appartenenza reciproca. E quanto ci richiama il tema della settimana
di preghiere per l'unità dei cristiani, che si svolgerà dal 18/25 gennaio: “Cristo
è l’unico fondamento della Chiesa” (1Cor 3, 1-23).
- A che cosa penso quando, durante la Messa, ascolto o pronuncio
l'espressione "Agnello di Dio"? Saprei spiegare ad altri
questo simbolo di Gesù?
- Se Gesù "toglie i peccati" e "battezza nello
Spirito Santo" soprattutto nei sacramenti, come mi accosto, in modo
particolare, ai Sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia?
- Ciò che unisce noi cattolici con i cristiani di altre Chiese è più
grande di quanto ancora ci divide. Saprei dire qual è? Quali passi concreti il
Signore chiede a me e alla mia comunità per promuovere l'unità fra i cristiani?