2005 II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO / A

 

 

In quel tempo,Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: Ecco lagnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! 30 Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele. 32 Giovanni rese testimonianza dicendo Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. 33 Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: Luomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. 34 E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio.

[Gv 1,29-34]

 

Il Vangelo di questa domenica, ancora sulla lunghezza d'onda dell'Epifania (=manifestazione di Gesù), riporta la testimonianza di Giovanni Battista:

"Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse". La realtà più vera di Gesù rimane nascosta alla percezione comune. Ma un profeta, illuminato da Dio, scopre la sua identità, la sua missione e la rivela.

"Ecco l'agnello di Dio". Un titolo notissimo, quasi logorato dall'uso. Ma in che misura è compreso il suo significato? Il termine "agnello" rimanda all' "agnello pasquale" che, sacrificato nel tempio, veniva poi consumato nella cena pasquale, una festa notturna celebrata in famiglia. Evoca, quindi, la liberazione di Israele dalla schiavitù d'Egitto e soprattutto la redenzione messianica, di cui quella dell'Esodo era una figura. In effetti, Giovanni nel racconto della passione di Gesù sottolinea il particolare che non gli vengono spezzate le gambe e in questo fatto vede compiersi la prescrizione riguardante l'agnello pasquale: "Non gli spezzerete alcun osso" (Gv 19, 33.36. cfr Es 12,46). E' evidente il messaggio dell'Evangelista: Gesù è l'Agnello pasquale. Cioè col suo sacrificio ha operato la liberazione definitiva dell'umanità. Nel termine si coglie anche un'allusione al "Servo del Signore" che Isaia, nell'annunciare in anticipo la sua passione, paragona a un "agnello condotto al macello", aggiungendo anche che "portava il peccato di molti (= di tutti)"

 [Is 53, 7.12]. L'opera di questo "agnello", che dice di per sé una figura quanto mai inerme e fragile, è poderosa: "toglie il peccato del mondo". La forza del male, che è ribellione a Dio, inimicizia contro di Lui, rifiuto egoistico di Dio e del prossimo, si esprime in un cumulo crescente di colpe personali e sociali, come un fiume in piena che si ingrossa sempre più e che nulla sembra poter arginare: questo è il "peccato del mondo", soprattutto la sua incredulità di fronte alla rivelazione di Gesù.

"L'agnello di Dio" - che cioè appartiene a Dio, non un agnello che l'umanità offre a Lui, ma che Dio stesso dona all'umanità - elimina, distrugge, fa scomparire il peccato del mondo e quindi tutte le colpe dell'umanità che la separano da Dio. In che modo? Con la sua parola rivelatrice, cioè con la forza del suo Vangelo, e soprattutto col sacrificio della sua vita. Il verbo che è tradotto con "togliere" significa pure "caricarsi, prendere su di sé". In tal caso sarebbe chiaro il riferimento a Is. 53,12 (come sopra abbiamo mostrato).

Gesù è l'unica persona che toglie il peccato e quindi riconcilia con Dio, riporta cioè alla perfetta comunione con Lui e dona l'energia per non peccare più. Non esiste nessuna situazione di così tragica lontananza da Dio, nessun peccato così grave, che Gesù non possa cancellare e trasformare. Egli è la rivelazione della misericordia di Dio che è più forte di ogni peccato e rigenera l'uomo col perdono.

Ma c'è un altro aspetto dell'attività di Gesù più positivo ancora:

E' "Colui che battezza in Spirito Santo", cioè dona lo Spirito, effonde l'abbondanza dello Spirito Santo. Propriamente "immerge" nello Spirito Santo, cioè nella pienezza infinita della vita, dell'amore e della gioia di Dio. Ciò avviene nel battesimo cristiano. Ma più in generale si intende il dono permanente dello Spirito che il Risorto, e soltanto Lui, fa alla Chiesa e che è sgorgato dalla sua morte redentrice. C'è un legame strettissimo fra lo Spirito Santo e il perdono: cfr. la formula dell'assoluzione sacramentale: "Dio Padre di misericordia...ha effuso la Spirito Santo per la remissione dei peccati...". Non c'è esperienza del perdono senza l'esperienza dello Spirito Santo.

Giovanni Battista fonda queste affermazioni sconvolgenti sull'esperienza da lui fatta subito dopo il battesimo di Gesù: ha "visto lo Spirito scendere e rimanere su di Lui"

(cfr. Is 11,2). Ha capito cioè che Gesù, possedendo in pienezza lo Spirito, lo può a sua volta comunicare. Ma chi può dare lo Spirito Santo se non Dio solo? Ecco appunto l'ultima scoperta di Giovanni e quindi la sua testimonianza più alta: "Gesù è il Figlio di Dio". Di lui aveva già precedentemente affermato la divina preesistenza: "Era prima di me".

Si avverte nelle parole di Giovanni una confessione di fede in Gesù straordinariamente ricca e profonda. Nelle azioni e titoli "vertiginosi" che il Battista applica a Gesù si coglie la sorpresa e la gioia intima del "testimone", innamorato di lui, felice di poter donare la rivelazione che ha ricevuto. Il rischio che noi corriamo è di ascoltare superficialmente tutto quanto viene attribuito a Gesù nel Vangelo, lasciandolo scivolare via e senza riflettere sul suo significato. Eppure in ogni Eucaristia tutto ciò continua ad accadere: la presenza del Messia divino preesistente, la vittoria totale sul peccato e il dono dello Spirito, che sono frutto della sua Pasqua. E noi vi siamo coinvolti.

Giovanni riconosce che la sua scoperta dell'identità di Gesù è frutto di rivelazione, è dono:

"Io non lo conoscevo", cioè prima non vedeva che l'uomo senza afferrare il mistero di Gesù, che pur era suo parente. Ma poi è stato illuminato da Dio. Così, nella nostra vita di cristiani ogni passo avanti nella comprensione di Gesù - e non si finisce mai di scoprirlo, perché è un mistero inesauribile -, ogni passo avanti nella scoperta di Lui è grazia, è dono.

Grazia e dono che, però, si accompagnano sempre a una disponibilità, a una ricerca di Lui che deve essere appassionata, insonne.

Quanti cristiani sono lontani da una conoscenza di Gesù che si avvicini a quella di cui parla Giovanni! Manifestano lacune vistose sul piano della dottrina e della prassi, e non se ne preoccupano affatto. Ritengono il cristianesimo un insieme di pratiche da assolvere, di doveri da compiere. Non sospettano che è essenziale alla vita di fede una relazione personale con Gesù. Il rapporto con una persona riconosciuta, appunto, come l' "Agnello di Dio", l'unico donatore dello Spirito...Una dottrina si può discutere, davanti a una morale si può mercanteggiare. Ma di fronte alla persona di Gesù occorre decidersi per il sì o per il no. Non si può restare neutrali. Soltanto chi aderisce incondizionatamente a Gesù può dire come Giovanni Battista : "Ho visto e ho reso testimonianza...". Questa  testimonianza è credibile ed è il dono più grande che possiamo offrire agli altri.

Ai cristiani di Corinto (1Cor 1, 1-3: II lettura), e anche di oggi, affetti da rivalità, divisioni, indifferenza reciproca, s. Paolo mette davanti agli occhi  la superiore unità di tutti coloro che formano la “Chiesa di Dio, …Padre nostro”, hanno la medesima fede in Cristo (“invocano il suo nome”) e gli appartengono (“santificati in Cristo…Signore nostro e loro”). “Grazia e pace a voi”. È il saluto tipicamente cristiano. Più che un saluto è un annuncio gioioso, è una dichiarazione rassicurante. La “grazia”è l’amore totalmente gratuito di Dio che ha raggiunto il suo culmine nel dono di Gesù. È Lui l’amore di Dio reso visibile e sperimentabile. È Lui la “grazia”. La “pace” è l’insieme di tutti i beni che si possono desiderare, la pienezza della comunione con Dio e tra gli uomini. Ancora, la “pace” è Gesù (cfr. Ef 2, 13-22). I cristiani godono di una ineffabile realtà, che Paolo chiama “grazia e pace”; godono del dono di una Persona, Gesù.  È l’identità cristiana che accomuna tutti i battezzati, anche se appartengono a confessioni diverse. Come pure le accomuna la fede in Gesù, espressa mirabilmente nel testo evangelico di oggi. Gesù, come il Battista testimonia, rimane l'unico tesoro al quale tutti i cristiani, pur ancora divisi tra loro, attaccano il proprio cuore. Nella misura in cui tutti - cattolici, anglicani, protestanti, ortodossi - crescono nel rapporto con Lui, progrediscono anche nella loro appartenenza reciproca. E quanto ci richiama il tema della settimana di preghiere per l'unità dei cristiani, che si svolgerà dal 18/25 gennaio: “Cristo è l’unico fondamento della Chiesa” (1Cor 3, 1-23).

 

- A che cosa penso quando, durante la Messa, ascolto o pronuncio l'espressione "Agnello di Dio"? Saprei spiegare ad altri questo simbolo di Gesù?

- Se Gesù "toglie i peccati" e "battezza nello Spirito Santo" soprattutto nei sacramenti, come mi accosto, in modo particolare, ai Sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia?

- Ciò che unisce noi cattolici con i cristiani di altre Chiese è più grande di quanto ancora ci divide. Saprei dire qual è? Quali passi concreti il Signore chiede a me e alla mia comunità per promuovere l'unità fra i cristiani?