VIII DOMENICA T.O./B 2006
18 In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i
farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli
dissero:“Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano,
mentre i tuoi discepoli non digiunano? ”. 19 Gesù disse loro: “Possono forse digiunare gli
invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro,
non possono digiunare. 20 Ma verranno
giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. 21 Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un
vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma
uno strappo peggiore. 22 E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi,
altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo
in otri nuovi”.
[Mc 2, 18-22]
La legge mosaica
prescriveva il digiuno una volta l’anno, nel “Giorno dell’Espiazione”, in cui
tutto il popolo implorava il perdono dei suoi peccati (Lev. 16, 19-34).
L’usanza di digiunare era, comunque, abbastanza estesa. Certi gruppi, come i
farisei, lo praticavano due volte la settimana (cfr. Lc 18, 12), probabilmente
il lunedì e il giovedì. Era segno di penitenza, di conversione. Esprimeva la
richiesta di perdono e l’attesa della salvezza. Si accompagnava abitualmente
alla preghiera.
“I discepoli di
Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno.”. I primi imitano
l’austerità del loro maestro. Forse il digiuno è motivato proprio dall’arresto
o dalla morte di Giovanni? In tal caso i farisei solidarizzano con loro.
Comunque sia, non nascondono il proprio stupore per il fatto che i discepoli di
Gesù - e ovviamente anche Lui - non condividono tale prassi. Che posizione
prende Gesù di fronte al digiuno, che - con la preghiera e l’elemosina -
costituiva la triade classica della pietà giudaica? Altrove nei Vangeli Gesù lo
approva, mettendo in guardia però dal praticarlo per ostentazione (cfr. Mt 6,
16-18). Su di Lui, comunque, circolava lo slogan di “mangione e beone”
(Mt 11, 19).
“Possono forse
digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?” Una
risposta categorica in cui Gesù prende nettamente le distanze non solo dalla
prassi dei suoi avversari, ma anche dalla loro mentalità e concezione
religiosa. Il comportamento dei suoi discepoli è del tutto idoneo e
corrispondente alla situazione attuale. I discepoli di Giovanni e i farisei non
hanno capito il tempo presente e rimangono legati al passato. Non si sono
accorti di ciò che sta accadendo qui e
ora. E’ incominciata una festa ed è in corso. Una festa di nozze. Non ha senso
fare lutto e digiunare finché c’è lo “sposo”: un termine che ricorre per ben
tre volte in due versetti.
Nell’A.T. l’alleanza fra Dio e il suo popolo era
presentata dai profeti come una relazione nuziale, in cui Dio è lo sposo e
Israele la sposa. Dio è lo sposo deluso e amareggiato per l’incorrispondenza e
l’infedeltà della sposa. Ma la fedeltà di Dio è assoluta: “Il Signore è
buono e grande nell’amore” (Sal resp.). Per questo il legame nuziale, che
il popolo ha più volte infranto, Egli lo ricostruirà e lo renderà perfetto. E’
questo il futuro da sogno che Egli annuncia nel profeta Osea (Os. 2: I
lettura): “Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò
al suo cuore”. Dio ricorrerà alla “seduzione” amorosa per riconquistarsi il
suo cuore e legarla definitivamente a sé. “Ti farò mia sposa per sempre...ti
fidanzerò con me”. In questa promessa vibra una gioia e una commozione non
controllabili per il capolavoro d’amore che Egli farà. Il patto nuziale tra Lui
e il suo popolo sarà pieno e senza ombra.
Nella risposta di Gesù risuona la buona notizia che
Dio ha mantenuto la sua parola: la festa promessa è già in fase di svolgimento e
Dio sta “sposando” definitivamente il suo popolo, l’umanità e nell’umanità ogni
singola persona. Lo fa attraverso Gesù, il Messia e Figlio suo. Gesù
attribuisce a sé il ruolo di sposo che Dio rivendicava per sé in modo
esclusivo. Ciò che rende questo tempo veramente unico e nuovo rispetto ogni
altro periodo della storia è la presenza dello Sposo, Gesù. Egli rivela in tal
modo un aspetto essenziale del suo mistero: non è soltanto colui che -
perdonando i peccati - riconcilia gli uomini con Dio, li porta alla comunione
con Dio (cfr. Vangelo scorsa domenica). Ma li unisce a sé, e quindi a Dio, con
un vincolo di amore nuziale, nella pienezza della gioia.
“Gli invitati a nozze” (letteralmente “i
figli della sala delle nozze”) sono i compagni, gli amici dello sposo, i suoi
uomini di fiducia, incaricati di curare la buona riuscita della festa, di
quella festa di nozze che è il Regno di Dio. Sono in primo luogo gli Apostoli e
i loro successori. Sono in un certo senso tutti i credenti. Una festa
contagiosa. Abbiamo qui un’immagine suggestiva di ogni comunità cristiana: essa
vive con Cristo una relazione d’amore, un’appartenenza nuziale. Qui sta la sua
realtà più profonda: una Persona, Gesù, che diventa il nodo vivente, il vincolo
che stringe i discepoli in una sola famiglia. Lui la gioia, la festa permanente
della famiglia: “Lo sposo è con loro...Hanno lo sposo con loro”.
E’ Lui che determina il comportamento degli amici. Con Gesù ormai il loro modo
di agire non è regolato da rigide norme, ma è sempre in riferimento alla sua
persona. Egli è tutto per loro: se c’è, sono felici; se manca, sono in lutto.
La sua presenza è fonte di gioia, la sua assenza provoca dolore.
“Ma verranno giorni in cui sarà loro tolto lo
sposo” (cfr. Is. 53,8). Questo annuncio evoca oscuramente l’ora della
Passione, ma anche in un certo senso il tempo della Chiesa, in cui essa
“digiunerà”, cioè sperimenterà l’assenza visibile del suo Sposo nelle
persecuzioni e nella fatica del cammino. La pratica del digiuno, allora,
assumerà un significato specifico e nuovo: quello di esprimere il dolore per
l’assenza dello Sposo e l’attesa struggente del suo ritorno. Non si dimentichi
il duplice carattere del tempo che i cristiani vivono: da una parte il Signore
è divenuto invisibile e noi siamo chiamati a condividere la sua passione,
incontrandolo sotto il “volto dolente” del Crocifisso; dall’altra è già risorto
e vive in mezzo a noi, con noi. Ci riguarda perciò - anzi, con un’intensità
maggiore ancora - la sua dichiarazione sugli “invitati a nozze”.
A questo punto, Gesù rafforza il suo messaggio con due
immagini. Il “panno grezzo” è un panno tessuto a mano, appena
uscito dal telaio, mentre il “vestito vecchio” significa un abito
molto usato, logoro. Spesso a quell’epoca un vestito durava una vita intera!
Il “panno nuovo”, quando veniva lavato, si restringeva
e quindi, se era stato cucito su un vestito vecchio, vi produceva uno strappo
maggiore. Così pure gli otri, fatti con pelli di capra, nel tempo si
logoravano; per cui col vino nuovo, in ebollizione, potevano scoppiare.
Le due immagini dicono in modo plastico e visivo che
c’è incompatibilità assoluta fra la novità del Vangelo e la religione giudaica,
quale era ridotta a insieme di pratiche compiute in modo formalistico. Abbiamo
qui una delle affermazioni più rivoluzionarie di Gesù. Egli è l’assolutamente
nuovo e imprevedibile, perché è il Messia promesso, anzi lo stesso Figlio di
Dio. Il suo messaggio contiene una rivelazione su Dio, sugli uomini e sul loro
agire morale, che è radicalmente superiore a quanto finora si poteva sapere. La
risposta che Egli porta a ogni attesa di salvezza è sovrabbondante e al di là
di ogni pur grande aspirazione. E’ impossibile metter d’accordo tutta questa
realtà dirompente, e il modo nuovo di vivere richiesto dal Vangelo, con l’attaccamento
a tradizioni e istituzioni inveterate, e specialmente con la fiducia che si
continua a riporre in essa. Non si può adattare il nuovo al vecchio. Bisogna
scegliere fra l’uno o l’altro.
“Vino nuovo in otri nuovi”. La novità
del Vangelo ha bisogno di incarnarsi in nuove forme e stili di vita, in nuove
strutture.
La tentazione costante per noi cristiani è quella
di...addormentarci a poco a poco in concezioni, abitudini e forme di
comportamento che sono lontane dalla carica esplosiva del Vangelo. La Chiesa ha
sempre bisogno di essere “riformata”. Il Signore provvede anche oggi con i doni
più diversi, con la fioritura di correnti spirituali, che la rinnovano. Si
pensi in particolare al Conc. Vat. II, “la grande grazia di cui la Chiesa ha
beneficiato nel secolo ventesimo: in esso ci è offerta una sicura bussola per
orientarci nel cammino del secolo che si apre” (NMI 57).
In che misura le nostre comunità promuovono il
rinnovamento conciliare?
La novità che il Signore oggi vuole immettere nella
Chiesa esige una vera conversione, che non significa introdurre qualche
ritocco, quasi un soprammobile, nel nostro sistema di vita, ma un cambiamento
radicale di mentalità.
I discepoli di Gesù sanno di appartenere a una
comunità gioiosa e sempre in festa: “ Lo Sposo è con loro...Hanno lo
Sposo”. Lo testimoniamo?
Soprattutto l’Eucaristia è il banchetto di nozze a cui
partecipiamo come “invitati”. Ne siamo fieri e felici? Che rapporto d’amore
viviamo con lo “Sposo”?
Il “vino nuovo” del Vangelo è, in definitiva, l’amore stesso che circola nella Trinità e che Gesù è venuto a portarci. Siamo gli “otri nuovi” che lo contengono e lo manifestano attraverso i nostri gesti concreti di comunione?