VII DOMENICA T.O./B 2006

 

1 Dopo alcuni giorni, Gesù  entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa 2 e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola.

3 Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. 4 Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. 5 Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico“Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. 6 Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro:7 “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo? ”. 8 Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro:“Perché pensate così nei vostri cuori? 9 Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? 10 Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, 11 ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”. 12 Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile! ”.

[Mc 2, 1-12]

                                                                                                                                          

L’episodio riportato in questa pagina di Vangelo si apre con la scena di Gesù che in una casa - presumibilmente la casa di Simone -, assiepata di gente, “annunciava loro la Parola”. E’ quanto continua ad accadere dentro la “casa della Chiesa”, dove alla comunità riunita Gesù rivolge la sua parola “efficace”. In effetti, nella Chiesa primitiva con l’espressione “annunziare la Parola” si indicava la predicazione cristiana, che continua quella di Gesù.

Si recarono da Lui con un paralitico”. Nonostante l’impresa sia ardua, i quattro portatori sono determinati. Per evitare la calca di gente, ricorrono a uno stratagemma. Passando dalla scala esterna, salgono sul tetto, che, come di solito nelle case palestinesi, a un solo piano, era in forma di terrazza e fatto di legni con terra battuta. Qui praticano un’apertura e calano il lettuccio, lasciando scivolare le funi a cui è assicurato. Un’iniziativa ispirata dalla fede. Il paralitico e i suoi portatori sono convinti che Gesù può operare il miracolo della guarigione e sono sicuri che è buono. Si fidano di Lui. Il loro gesto silenzioso è un appello commovente che non lascia insensibile Gesù. Il povero malato attira subito la sua attenzione,  è al centro del suo interesse. Anche se stava parlando a tutti, subito si rivolge a lui personalmente.

Vista la loro fede:ecco che cosa gli sta a cuore. Egli guarda alla fede, quale condizione che gli consente di operare. La “loro” fede: non del singolo soltanto, ma di più persone. Un richiamo ad attivare la fede orante mia e della comunità per ottenere l’intervento di Gesù in favore di qualsiasi “malato”. In tal modo si compie uno squisito atto d’amore verso di lui.

...disse al paralitico: figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati.” La dichiarazione di Gesù è introdotta da un appellativo tenero e incoraggiante: “figliolo”. Forse inizialmente Gesù sembra deludere l’attesa del malato e dei suoi portatori, i quali si aspettano la guarigione. Gesù invece dà ciò che vale di più e invita a scoprire un bisogno profondo che risiede nel cuore dell’uomo, il bisogno del perdono di Dio. C’è nell’anima una malattia ben più grave di quella fisica.

Secondo la Bibbia esiste un legame stretto fra la malattia e il peccato. La ribellione a Dio ha scatenato nel mondo l’esplosione del male in tutte le sue forme, anche fisiche. Non nel senso che ogni malattia è frutto diretto di una colpa personale, come spesso pensavano gli Ebrei contemporanei di Gesù. Egli non intende dire al paralitico che lui è più peccatore degli altri. Ma in lui appare in modo speciale la separazione dell’uomo da Dio e la sofferenza quale frutto di tale separazione. Gesù semplicemente coglie una relazione tra peccato e malattia, per cui la malattia fisica è la conseguenza e il segno di un male più profondo che colpisce l’uomo. Soltanto Dio può sanare l’uomo da questo male che porta nel cuore e di conseguenza anche la malattia. Sulla bocca di Gesù, perciò, tale assicurazione rivolta al paralitico è la più bella notizia che potesse dargli.

 Di per sé con le parole “Ti sono rimessi i tuoi peccati” Gesù può dichiarare semplicemente al paralitico che Dio ha perdonato i suoi peccati, come es. nell’A.T. un profeta assicura Davide: “Il Signore ha perdonato il tuo peccato” (2Sam. 12,13). Ma se gli scribi presenti interpretano la sua affermazione come una bestemmia, è segno che hanno colto il suo vero pensiero, che cioè Egli stesso intenda accordare il perdono. Dio è offeso dal peccato e quindi Lui solo può perdonare. E’ bestemmia arrogarsi un potere che è solo di Dio. Tale accusa è gravissima: la bestemmia veniva punita con la morte per lapidazione.

Dopo aver svelato il male radicato nel cuore del paralitico, Gesù mette in luce i ragionamenti degli scribi. Egli non ritratta, non ridimensiona la sua affermazione. Anzi, la ribadisce con forza offrendo un segno esterno. “E’ più facile dire...”. Perdonare i peccati è certamente più difficile che guarire una malattia fisica. Ma ciò avviene nell’ordine spirituale e non è controllabile sul piano fisico e visibile. Allora, per dare una prova sensibile agli avversari, Gesù opera ciò che sul piano esterno è più difficile,  cioè la guarigione. D’altra parte Dio non potrebbe compiere prodigi per mezzo di uno che mente.

Affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati”.

Nel Vangelo di Marco col titolo di “Figlio dell’uomo” (cfr. Dn. 7, 13 ss.) Gesù designa se stesso come il Messia glorioso che giudicherà gli uomini nell’ultimo giorno. Ma, prima ancora, con tale appellativo si presenta come il “Servo sofferente”. Gesù quindi afferma che quell’autorità di giudice, che eserciterà un giorno, già ora l’anticipa; già ora emette la sentenza che dovrà pronunciare alla fine dei tempi. Una sentenza, però, non di condanna, ma di perdono: prima del giudizio definitivo, c’è il tempo della misericordia. Tale “potere” di perdono passa attraverso quell’immensa prova d’amore che è la morte in croce: “Il Figlio dell’uomo dovrà molto soffrire” (Mc 8,31).

Il miracolo della guarigione istantanea e perfetta è segno che i peccati del paralitico sono stati effettivamente perdonati. Manifesta la sua purificazione interiore, la sua guarigione dalla “paralisi” dello spirito, che è il peccato.

 Ecco chi è Gesù per l’uomo. Se nei brani precedenti (cfr. scorse domeniche) guariva i malati, in questo episodio la sua parola “efficace” libera l’uomo interamente. Lo guarisce in radice. Comincia a sanarlo dal male profondo che lo separa da Dio. Il vertice del racconto non è, appunto,  la guarigione fisica, ma il perdono. Gesù è il Medico che procura una salute “integrale”. Perdono e guarigione fisica fanno parte di un’unica impresa di liberazione. A Lui sta a cuore tutto l’uomo. La grande parola che Gesù pronuncia in questo episodio è un’offerta di comunione: Dio ti riammette alla pace piena con Lui. Quale notizia più consolante di questa? Si compie la promessa divina: “Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati” (Is. 43,25: I lettura). Ed è la risposta sovrabbondante alla supplica. “Rinnovaci, Signore, col tuo perdono” (Sal. resp.). E’ questa la “cosa nuova” che Dio intende fare per il suo popolo (Is. 43: I lettura): trasformarlo nel suo intimo e legarlo a sé in amicizia perfetta. Attraverso Gesù - che è l’unica e definitiva “novità”, perché “tutte le promesse di Dio in lui sono divenute sì” (2Cor 1,20: II lettura) - Dio comincia già ora a “far nuove tutte le cose” (cfr. Ap. 21,5 e 2Cor 5,17) donandoci il suo Spirito (2Cor. 1,22: II lettura).

Oggi nella Chiesa (la casa dove Pietro è costituito responsabile) Gesù “annuncia la Parola” e continua a esercitare il “potere di rimettere i peccati”. Lo fa soprattutto nei Sacramenti, in cui incontra i credenti e li risana. “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”. La meraviglia che ha afferrato il paralitico perdonato e guarito, come tutti i presenti, e la loro lode a Dio, siamo capaci di riviverle anche noi?

 

Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. Solo il Signore è in grado di misurare la novità che opera in me col suo perdono. Ne prendo coscienza?

 

Se rimango prigioniero del peccato, sono come un “paralitico” e Gesù vuole risanarmi per rendermi capace di “camminare”, anzi “correre” nella via dell’amore e della libertà vera. Sento bisogno del suo perdono?

 

Quando mi accosto al Sacramento della Riconciliazione, è un dono immenso che Dio mi fa. Avverto l’azione liberatrice e rinnovatrice di Gesù? Provo stupore, riconoscenza e gioia?

 

Mi capita di pensare alla gioia che Gesù sperimenta nel rendermi nuovo ai suoi occhi?

 

Il sacerdote al termine del rito, riprendendo le parole di Gesù, mi assicura: il Signore ha perdonato i tuoi peccati. Va’ in pace. In quel momento che cosa provo? Mi sento felice, nuovo e deciso a camminare in questa novità?