VI DOMENICA T.O./B 2006

40 In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi! ”. 41 Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci! ”. 42 Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. 43 E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse:44 “Guarda di non dir niente a nessuno, ma va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro”. 45 Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

[Mc 1,40-45]

Chi era colpito dalla lebbra (sotto questa denominazione figuravano varie specie di affezione cutanea) era considerato “impuro”. Il lebbroso cioè non era in grado di accostarsi a Dio nel culto e “contaminava”, come un cadavere, quelli che entravano in contatto con lui. Per questo i lebbrosi portavano dei contrassegni - come le vesti stracciate, il capo scoperto...-, vivevano lontano dai centri abitati e dovevano dare l’allarme ai passanti gridando: “Immondo! Immondo!”(Lev. 13: I lettura). La mentalità soggiacente a tali norme era che la lebbra è un castigo di Dio per determinati peccati. Chi si teneva lontano dai lebbrosi condivideva il giudizio di Dio su di loro.  In un certo senso, i lebbrosi erano simbolo di tutte le categorie di esclusi, emarginati, messi al bando dalla società e “scomunicati” dalla vita religiosa.

Venne a Gesù un lebbroso”. Questo povero malato trasgredisce la legge e “osa” presentarsi in pubblico. Che cosa lo spinge? Ha sentito parlare delle guarigioni operate da Gesù (cfr. il Vangelo della scorsa domenica). Ha maturato, così, la convinzione che Gesù può risolvere il suo problema  ed è buono, incredibilmente buono. E’ pur vero che la sua malattia - paragonata alla morte - è tra le più gravi. Una sfida per la sua fede, che però egli supera brillantemente: “Lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi guarirmi!”. Propriamente, il lebbroso chiede di essere “purificato”. Gesù come reagisce? Un “maestro” osservante della legge sarebbe fuggito o lo avrebbe scacciato. Invece Gesù resta. Avrebbe potuto guarirlo con una parola, rimanendo a distanza (cfr. Lc. 17, 11-19). Invece “mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci!”. Molti non avvertono la forza rivoluzionaria di questo gesto di Gesù, la sua presa di posizione nettamente contro corrente. Toccando l’ “intoccabile”, Gesù condivide la sua impurità, la contrae egli stesso. Diventa impuro come lui. Mentre tutti - in obbedienza alla legge, per paura di essere contagiati dal male e soprattutto di cadere nell’impurità rituale - allontanano prontamente un lebbroso, Gesù è l’unico che non si comporta così. “Stese la mano” in segno di amicizia e riprendendo il gesto di Dio che protegge la persona che lo invoca. E’ come se volesse assicurare il lebbroso: tu non sei un maledetto da Dio, un pericola pubblico, un rifiuto della società. Sei una persona, un amico, un figlio di Dio che Egli ama e che ora guarisce attraverso di me. Non è una malattia che rende l’uomo impuro; è un altra la lebbra che esclude dalla comunione con Dio: la lebbra che abbrutisce e divora gli animi di quanti sono capaci soltanto di innalzare barriere e steccati tra le persone.

Lo voglio, guarisci (= sii purificato)!”. Ecco la volontà di Gesù, e di Dio, nei confronti di ogni forma di lebbra, fisica e spirituale. La sua volontà è combattere contro ogni genere di male.

Subito la lebbra scomparve ed egli guarì (= fu purificato)”. La guarigione è istantanea. Gesù agisce come Dio: basta che voglia una cosa perché essa si realizzi. Il racconto così visualizzato del miracolo ci consente di immaginare lo stupore e la gioia grande del guarito, ma anche la sorpresa e la gioia di Gesù nel vedere un uomo che, ricuperando la piena salute fisica, riacquista la sua collocazione sociale e religiosa. La sorpresa e la gioia di Gesù - e di Dio - ogni volta che un uomo (io, tu...) gli permette di guarirlo e purificarlo dalla lebbra dell’egoismo e dell’incapacità di amare. Un verbo motiva e spiega il comportamento di Gesù: “Mosso a compassione” (letteralmente: scosso nelle viscere). Esprime come l’immedesimarsi nel dolore dell’altro, la partecipazione intima alla sua tragedia: “compassione” nel senso di “patire con” l’altro. Soffrire con chi soffre è l’essenza dell’amore. Spesso nell’esercitare la carità e la compassione, nel dire a un malato o sofferente “ Coraggio!”, forse lo facciamo da “sani”, rimanendo a distanza e dimenticando di calarci nella sua pelle. La condivisione con tutti gli “esclusi” Gesù la spingerà fino al punto da accettare la morte ignominiosa del crocifisso, lo “scartato” e ripudiato dalla società religiosa e civile.

Col suo gesto di prossimità fraterna al lebbroso Gesù contesta e sconvolge una cultura che emarginava e continua tuttora a emarginare molte persone, sotto l’influsso di una mentalità sacrale ieri, sotto la spinta di ragioni più sofisticate ma non meno disumane oggi. A questo proposito può essere interessante rilevare che diversi manoscritti di questo brano non riportano “mosso a compassione”, ma “adiratosi”. Se questa lezione è preferibile - come sostengono molti studiosi - allora non nega la “compassione” di Gesù verso i lebbrosi, che per altro è evidenziata da tutto il suo comportamento. Ma mostra che Gesù non riesce a nascondere il proprio “sdegno” nei confronti di una ideologia diffusa che, in una società perbenista e ipocrita, mette in un angolo i poveri di ogni specie. Mentre vìola apparentemente la legge, Gesù insegna anche che il criterio con cui leggere e attuare le sue norme è l’attenzione prioritaria al bene dell’uomo, chiunque egli sia.

Al guarito Gesù impone il silenzio. Non cerca infatti il successo e la pubblicità, né vuole suscitare entusiasmi popolari equivoci. Ma, come ordinava la legge, lo manda dai sacerdoti perché costatino la guarigione e rilascino il certificato necessario perché il lebbroso guarito possa rientrare nella società: “a testimonianza per loro”. E’ un segno che offre ai sacerdoti della sua messianicità? O piuttosto un appello perché rivedano la loro responsabilità nella cultura”emarginante”?

Il lebbroso guarito non ce la fa a tacere. Come potrebbe? Gesù allora, per evitare le occasioni di assembramento, non entrava più apertamente nelle città...ma la gente veniva a Lui da ogni parte.

A contatto con Gesù che cosa imparano i discepoli?

- A non essere succubi di una mentalità “discriminante”, che divide le persone in buone e cattive, amabili e non amabili, belle e brutte, simpatiche e antipatiche, utili e inutili...

- A non escludere gli altri come “lebbrosi e impuri”, esprimendo condanna o dissociandosi o negando solidarietà, dietro il paravento di alibi falsamente rassicuranti.

Da una parte prova a vedere dentro di te come consideri certe categorie di persone: es. immigrati, stranieri, tossicodipendenti, uomini o donne con un comportamento morale che non condividi o con una scelta politica diversa dalla tua, ...malati, anziani etc..

Dall’altra, fissa lo sguardo su Gesù che si lascia avvicinare da un reietto della società, da un “impuro”, anzi lo tocca. Afferma, così, il valore della persona di quel reietto e col suo gesto di accoglienza già lo guarisce esistenzialmente. Di uno scarto di umanità fa nuovamente un uomo, proprio per l’attenzione che gli presta. Gesù promuove l’uomo in tutte le sue dimensioni, da quella personale a quella sociale.

 

Quando mi scopro inguaribilmente malato e “lebbroso”, soprattutto nella spirito, e mi faccio “ribrezzo”; quando mi sento prigioniero di una mentalità “discriminante” e mi giudico una “frana” su tutta la linea, ripeterò a Gesù con la fiducia del lebbroso: “Signore, se vuoi puoi guarirmi!”. Ascolterò la risposta: “Lo voglio, guarisci!”.

Lungo la giornata incontro spesso qualche “lebbroso”, che sono tentato di scartare o rifiutare. Penserò a Gesù e lo pregherò perché mi dia la forza di fare come Lui e anche di riconoscere Lui in quel fratello.

 

I lebbrosi nel mondo sono ancora milioni. Nel 2003 ricorre il centenario della nascita di Raoul Follereau, che spese l’intera esistenza nella lotta contro la lebbra (“contro tutte le lebbre”, era solito dire.), mobilitando l’impegno e la solidarietà di moltissime persone e gruppi. Oggi la lebbra si può curare e vincere, ma i lebbrosi restano, perché questa malattia è legata al sottosviluppo. Esiste un’associazione (AIFO), diffusa anche  in Italia, che è impegnata in questa battaglia contro la lebbra e pubblica una rivista “Amici dei lebbrosi”. “La sola verità è amarsi” è il titolo di uno dei numerosi libri che Follereau scrisse. Un altro è: “Se Cristo domani busserà alla tua porta, lo riconoscerai?” (Ed. EMI, Bologna)