V DOMENICA T.P./B
1 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Io
sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo
toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho
annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non
può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non
rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me
e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il
tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in
voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio che
portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
[Gv 15, 1-8]
L’autore degli Atti nel brano odierno (I lettura: At.
9,26-31) descrive una tappa importante nel cammino della Chiesa, nata dalla
Pasqua di Gesù. La comunità cristiana si è arricchita di un membro eccezionale:
Paolo, che il Cristo risorto ha incontrato personalmente e ha trasformato in
Apostolo. A questo punto Luca offre un breve sommario sulla vita della giovane
comunità: “La Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la
Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto
dello Spirito Santo”. Troviamo qui tratteggiata la realtà della Chiesa di
ogni tempo. Due verbi vanno colti nel loro profondo significato. Anzitutto: “cresceva”.
Propriamente: “veniva edificata”. E’ la nota immagine, ricorrente nel
N.T., della Chiesa come edificio in costruzione, anzi come la vera casa di Dio,
luogo della sua dimora, che Egli si costruisce (cfr. il passivo “veniva
edificata”, s’intende da Dio). La Chiesa formata da “pietre vive” (1Pt
2,5) e insieme cantiere sempre aperto, dove c’è lavoro per tutti e architetto è
Gesù. L’altro verbo “camminava” indica la Chiesa come popolo di
pellegrini che avanza e progredisce, e insieme come comunità di cristiani non
disimpegnati e sonnolenti, ma dinamici. Questo dinamismo interiore ed esteriore
della Chiesa ha due fonti permanenti: il “timore del Signore” (cioè
l’adesione sincera al Signore risorto, la fede in Lui) e il “conforto”,
cioè la forza consolante e corroborante
dello “Spirito Santo”. La crescita e il cammino in avanti della Chiesa
non è tanto frutto di organizzazione o di risorse e strategie umane, ma della
presenza operante del Cristo risorto e del suo Spirito. Il testo dice
letteralmente “si moltiplicava per il conforto dello Spirito Santo”.
Con questo flash sulla vita della Chiesa primitiva Luca non si limita a
costatare quanto accadeva allora, ma propone un ideale alla Chiesa di ogni
tempo, che è chiamata a riprodurre tale fisionomia. Ecco l’identikit della
Chiesa. Essa è qualificata da questi connotati: è docile al suo Signore e si
lascia animare dallo Spirito Santo. Sta qui il segreto del suo dinamismo
interno (“era edificata...camminava”) e conseguentemente della sua crescita
numerica (“si moltiplicava”). In definitiva, per la comunità cristiana tutto si
gioca sulla qualità della sua relazione con Gesù. E’ il messaggio centrale del
testo evangelico di oggi.
“Io sono la vera vite”. Siamo nella
linea delle rivelazioni solenni di Gesù nel IV Vangelo: “Io sono la luce...
Io sono il pane della vita... Io sono la porta... Io sono il buon pastore... Io sono la via, la
verità e la vita...Io sono la risurrezione e la vita...” Gesù è l’Unico
necessario per l’uomo.
La “vera vite”. Nell’A.T. Israele era la
“vigna del Signore”, oggetto della sua cura assidua, amorevole e paziente. Una
vigna, però, sterile, che lo deludeva
non dando i frutti attesi (cfr. es: Is. 5,1-7; Ger. 2,21; Sal 80, 9-16 etc.).
Ma ecco ora la grande novità: la vite produce i suoi frutti, perché tale vite, tale vigna è Gesù. Egli
incarna la realtà del nuovo popolo di Dio che finalmente piace al Signore. In
Gesù si congiungono perfettamente il dono di Dio e la risposta dell’uomo.
Infatti sulla Croce c’è Dio che arriva a morire per l’uomo: il suo dono,
la sua cura per il popolo raggiungono la
misura estrema dell’amore. Ma nello stesso tempo sulla Croce c’è un uomo che
muore per Dio e così la risposta del popolo è piena. Il Padre ha finalmente
trovato in Gesù la docilità e l’amore che si attendeva dagli uomini (= i frutti
della vigna). La vera vite, cioè il vero popolo di Dio, è Gesù. Anzi è Gesù con
i suoi discepoli, nella misura in cui essi sono uniti a Lui. Gesù rivela
appunto un aspetto essenziale della sua persona e del suo rapporto con noi: la
vera vigna di Dio è la comunità di coloro che aderiscono a Gesù come i tralci
alla vite. Il “Padre” ne è il “vignaiolo”. Come
dire: la Chiesa è Gesù con i cristiani, intimamente congiunti con Lui (la
stessa linfa vitale dalla vite scorre nei tralci), oggetto della cura amorosa
del Padre. Tutto questo, se viene percepito, genera nel credente una fiducia e
una sicurezza inalterabile. Ma nello stesso tempo richiama l’esigenza di una
fedeltà totale ed esclusiva alla persona di Cristo e alla sua rivelazione. I
discepoli infatti portano frutto solo restando legati a Gesù. Non c’è altra
alternativa: o essere innestati in Lui o essere soppressi. La condizione
essenziale per essere fecondi e non inaridire è il rapporto con Cristo. Come la
sorte del tralcio dipende dal suo inserimento nella vite, così l’esistenza del
discepolo: “Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto, perché senza di
me non potete far nulla”. Non si tratta di compiere chissà quale
sforzo, ricorrendo a chissà quale strategia, per unirsi a Cristo vite. Siamo
già in Lui. La comunione con Lui è un dono che già possediamo a partire dal
Battesimo. Siamo organicamente congiunti a Lui: “Io sono la vite, voi i
tralci”. Con queste parole Gesù ci assicura che Egli è per noi
quello che la vite è per i tralci, cioè fonte della loro esistenza e
fecondità. Si pensi anche all’immagine del “corpo di Cristo”, coniata da
san Paolo, e alle sue espressioni ricorrenti: “in Cristo...nel Signore”:
cioè siamo in Lui come un pesce nell’acqua, come un bimbo nel grembo materno.
E’ Lui il nostro ambiente vitale. Fuori c’è la morte.
Ma noi siamo per Gesù quello che i tralci sono per
la vite, cioè le permettono di espandersi e fruttificare. Attraverso di noi
oggi Gesù può continuare a raggiungere ogni uomo con la sua parola e la sua
azione. I discepoli non possono essere senza Gesù, come Gesù non può essere
senza i discepoli.
Esiste già, quindi, questa unione vitale col Cristo
risorto e in Lui tra di noi. Gesù ci esorta: “rimanete in me e io in
voi...chi rimane in me e io in lui...”. Queste parole esprimono il
massimo pensabile dell’unione interpersonale: non sottraetevi al mio abbraccio,
non sfuggite alla mia stretta amorosa.
Nel concreto, questa relazione intima con Cristo “vera
vite” come si manifesta, da quali segni si riconosce? Come fare per
alimentarla sempre di più? Nel brano successivo (cfr. prossima domenica) Gesù
lo dirà in modo più chiaro. Ma già nel testo di oggi troviamo una risposta:
- “Se rimanete in me e le mie parole rimangono
in voi...” Gesù stabilisce come un’equivalenza fra Lui e le sue parole.
Egli dimora in noi se le sue parole dimorano in noi. L’appartenenza al Signore
Gesù è inseparabile dall’attenzione costante alla sua parola, che risuona oggi
nella Chiesa ed è contenuta nel Vangelo. Quando custodiamo nel cuore questa
parola, attraverso di essa il Padre “pota”, cioè purifica, quel
tralcio che è ciascuno di noi: “Voi siete mondi, per la parola che vi ho
annunziato”.
Anzi, nella
misura in cui ci esercitiamo ad ascoltarla
interiormente e a tradurla nella concretezza del quotidiano, veniamo
assimilati progressivamente a Cristo e Lui si insedia sempre più dentro di noi.
Gradualmente sostituisce alla nostra vecchia mentalità la sua mentalità nuova,
formando in noi la sua fisionomia. In tal modo la “parola”
produrrà il “frutto” abbondante che il proprietario della vigna,
il Padre, attende. Tale frutto è una vita, in crescita inarrestabile, di fede -
speranza - carità e una testimonianza contagiosa. E’ l’efficacia della nostra
preghiera (“Chiedete...e vi sarà dato”) e soprattutto il “diventare”
sempre più “discepoli” di Gesù, assimilati a Lui, altri Lui. In
tutto questo il “Padre è glorificato”, cioè rende visibile la sua
presenza.
- Ma l’espressione “rimane in me e io in lui”
Gesù la applica anche alla relazione trasformante che si stabilisce fra Lui e
il credente che lo riceve nell’Eucaristia: “Chi mangia la mia carne e beve
il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6, 56).
Ecco le condizioni essenziali per restare uniti
all’unica vite, segreto di fecondità: nutrirsi della parola di Gesù e
del cibo eucaristico.
- Infine, l’immagine dei tralci che sono inseriti
nella vite e in relazione reciproca tra di loro richiama l’esigenza che “...crediamo
nel nome Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri” (1Gv
3,23: II lettura).
Il quadretto degli Atti sulla vita della Chiesa
primitiva e l’immagine evangelica della “vite e i tralci” quali aspetti
mi fanno scoprire della
Chiesa e in essa della mia relazione con
Gesù?
Sono un tralcio vivo, ricco di frutti? Oppure un
tralcio sterile, anzi morto?
La misericordia di Dio, che opera nel Sacramento della
Riconciliazione, può trasformare un tralcio secco in un tralcio vivo e fecondo.
“Se le mie parole rimangono in voi...” Lungo la settimana che cosa è rimasto in me delle parole di Gesù che ho ascoltato la domenica precedente?