IV DOMENICA DI PASQUA/B
11 In quel tempo, Gesù disse: “Io sono il buon
pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario invece, che non è pastore e al
quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e
fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13 egli è un mercenario e non gli importa delle
pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e
le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre;
e offro la vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non sono di quest’ovile;
anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo
gregge e un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io offro la
mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso,
poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo
comando ho ricevuto dal Padre mio”.
[Gv 10, 11-18]
Pietro ha appena guarito
uno storpio. Ora si trova davanti al tribunale giudaico. Ai giudici, che
qualche mese prima avevano condannato Gesù, dichiara con franchezza che il
miracolo non lo ha compiuto lui con un suo potere personale, ma “Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio
ha risuscitato dai morti” (At. 4,10:
I lettura). Egli è talmente vivo e operante attraverso il suo discepolo da
restituire l’integrità fisica a un malato. Tale guarigione è segno di una salvezza
globale (liberazione dal peccato e dalla morte, vita eterna nella comunione con
Dio) che Gesù dona a tutti gli uomini e solo Lui può donarla. Pietro infatti
aggiunge un’affermazione solenne, che non consente interpretazioni riduttive: “In
nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto
il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati”. Gesù,
crocifisso e risorto, è il Salvatore unico e universale. Lui solo può
salvare. Tutti hanno bisogno di essere salvati da Lui. Condividendo questa
confessione di Pietro, i cristiani non disprezzano le altre religioni, non
negano la salvezza ai non cristiani, ma riconoscono - con immensa gratitudine -
che Gesù è la sorgente della salvezza per ogni uomo, qualunque sia la via che
percorre per raggiungerla. Agenzie assicurative, “maghi” di ogni specie
promettono ai loro “clienti” salute, sicurezza
economica, gratificazioni affettive, soluzione di ogni problema. Ma la “salvezza”-
cioè la risposta totale al bisogno di felicità, di vita, di amore, di cui è
impastato il cuore dell’uomo - è legata soltanto a Gesù Cristo. La “salvezza”
- che è rapporto filiale con Dio destinato all’incontro immediato e
beatificante con Lui (“lo vedremo così come Egli è”: 1Gv. 3, 1-2. II
lettura) - è dono soltanto di Gesù. “In nessun altro c’è salvezza”. Egli
è la “pietra angolare”. Ed è il nostro “pastore”.
Nell’A.T. la relazione fra Dio e il suo popolo è spesso
presentata come il rapporto fra il pastore e il suo gregge. Ricordiamo per es.
Ez. 34 e il Sal. 23: “Il Signore è il mio pastore. Non manco di nulla”.
In questi testi emerge l’attenzione premurosa di Dio Pastore nei confronti del
suo popolo e del singolo fedele, la conoscenza reciproca, la comunanza di vita,
il suo impegno di ricuperare ogni fedele smarrito o ferito e di radunare tutti
i dispersi.
Nel brano evangelico di oggi Gesù, con un’audacia che
doveva sorprendere il suo uditorio, applica a sé il medesimo ruolo di guida e
di salvatore svolto da Dio nell’A.T..
Bisognerebbe sostare a lungo in contemplazione davanti
al ritratto incomparabile che Gesù offre di sé come “il buon pastore”.
Per tre volte si definisce così. Letteralmente: “Io sono il pastore bello”,
cioè autentico, perfetto, l’unico pastore, il modello di pastore supremamente
realizzato. Quali sono i suoi connotati specifici? Gesù li delinea in contrasto
e in polemica con i “falsi pastori”: i capi del popolo che lo osteggiavano, ma
anche quanti in ogni tempo tradiscono la propria responsabilità, non curando il
bene della gente loro affidata. Gesù li chiama “mercenari”, ai
quali non sta a cuore il gregge, ma il vantaggio che possono ricavarne. Per
cui, davanti al pericolo si defilano o si danno alla fuga. Invece il pastore
vero, che è Lui, vive col gregge e con ogni singola pecora una relazione
amicale profonda: “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”.
Non si tratta di una conoscenza sterile e disimpegnata, ma di un rapporto
vitale, di un interessamento dinamico e concreto che provoca la risposta e
diventa quindi coinvolgimento reciproco: Egli ama personalmente ciascuno dei
suoi ed è riamato personalmente.
Tale rapporto non è qualificato da una carica
affettiva puramente umana, ma si radica in quella comunione profondissima che
lega il Figlio col Padre: “...come il Padre conosce me e io conosco il
Padre”. Attraverso Gesù è l’amore divino del Padre che si riversa in
pienezza sul gregge e su ogni singola pecora. Nella relazione personale con
Gesù è l’amore che parte dal circuito della Trinità e lì ritorna coinvolgendo e
trascinando ciascuno di noi. Tutto questo genera la pace e la sicurezza
indicibile del cristiano.
“...E offro la vita per le pecore”. Una
dichiarazione che ha dell’incredibile, ma che non gli è sfuggita in un momento
di distrazione o di rapida euforia affettiva. Ricorre infatti per ben cinque
volte con cadenza martellante in un testo pur breve. Ecco chi è Gesù per noi,
per me: colui che ci guida, ci nutre, ci salva, ci ama fino a dare la vita.
Letteralmente “depone” la sua vita nella mani del Padre, se ne priva in favore
del suo gregge. Ecco ciò che caratterizza nel modo più originale la relazione
di Gesù con i suoi: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la
vita per le pecore”. Si comprende anche in che senso Gesù è “il
pastore bello”. Tale bellezza consiste nell’amore con cui si lega a
ognuno dei suoi e lo ama fino al dono della propria vita. In altri termini, la
Bellezza vera è l’Amore che in Dio unisce i Tre e che si rivela pienamente
nella Croce e Risurrezione, esercitando un fascino irresistibile agli occhi
della fede. La Bellezza è il Crocifisso-Risorto. Niente è così bello come dare
la vita per amore.
Tale relazione tra Gesù e i suoi non si restringe alla
cerchia dei discepoli attuali, ma ha un’apertura universale: “E ho altre
pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre;
ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore”.
Tutti i pagani e gli uomini di ogni tempo sono candidati ad appartenergli e a
divenire “un solo gregge e un solo
pastore”. Questa espressione dice l’unità vivente che formeranno quanti
nella storia gli apparterranno. Dire “un solo gregge” è dire “un
solo pastore” e viceversa.
La comunione con Gesù buon Pastore non può ridursi a
un rapporto individuale e intimistico. Se apparteniamo a Gesù, non è per godere
della sua compagnia e per consolarci a vicenda. Ma dobbiamo trasmettere al
mondo, nella gioia che trasfigura i nostri volti, l’esperienza di chi è
“conosciuto”dal buon Pastore e a sua volta lo “conosce” e “ascolta la sua
voce”. Dobbiamo essere trasparenza limpida dell’unico e vero Pastore che serve
fino a dare la vita. In effetti, per Gesù, la “vocazione all’amore”, che
è di tutti, è “vocazione al servizio” e “servire” è “dare la
vita”. La 43° Giornata Mondiale di preghiera per la Vocazioni, è
un’occasione per riflettere seriamente su tale responsabilità. Il Signore Gesù
oggi vuole rendere presente e visibile il suo servizio di buon Pastore
attraverso l’amore concreto di tutti i battezzati e, in forma privilegiata,
attraverso le vocazioni di speciale consacrazione: ministero ordinato, vita
religiosa, missionaria etc.. Soprattutto i ragazzi, le ragazze, i giovani non
possono eludere la domanda: “Perché non io?”. Forse il Signore alla tua
risposta ha legato la felicità tua e di molte altre persone.
La Giornata odierna ha come
tema “La Vocazione nel mistero della Chiesa”. Alcuni stralci dal
messaggio del Papa: nella Chiesa “siamo chiamati a vivere da fratelli e
sorelle di Gesù, a sentirci figli e figlie del medesimo Padre…Nel quadro di
questa chiamata universale Cristo, nella sua sollecitudine per la Chiesa
chiama, in ogni generazione, persone che si prendano cura del suo popolo; in
particolare, chiama al ministero sacerdotale uomini che esercitino una funzione
paterna…La missione del sacerdote nella Chiesa è insostituibile…Un’altra
vocazione speciale, che occupa un posto d’onore nella Chiesa, è la chiamata
alla vita consacrata:…molti uomini e donne si consacrano a una sequela totale
ed esclusiva di Cristo…
Memori della raccomandazione di Gesù: ‘La messe è molta, ma gli operai
sono pochi!| Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua
messe! (Mt 9,37)’, avvertiamo vivamente il bisogno di pregare per le vocazioni
al sacerdozio e alla vita consacrata…”.
“O Padre, donaci santi ministri del tuo
altare, che siano attenti e fervorosi custodi dell’Eucaristia,sacramento del
dono supremo di Cristo per la redenzione del mondo.
Chiama
ministri della tua misericordia, che mediante il sacramento della
Riconciliazione diffondano la gioia del tuo perdono.
Fa’, o Padre,
che la Chiesa accolga con gioia le numerose ispirazioni dello Spirito del
Figlio Tuo e, docile ai suoi insegnamenti, si curi delle vocazioni al ministero
sacerdotale e alla vita consacrata.
Sostieni i
Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e tutti i battezzati in Cristo,
affinché adempiano fedelmente la loro missione al servizio del Vangelo. Te lo
chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.
Maria, Regina
degli Apostoli, prega per noi!”
Riesco a intuire che la vita cristiana, descritta da
Gesù come relazione personale con Lui, merita di essere vissuta in modo
diverso? Chi è Lui per me? E io per Lui?
Ho veramente scoperto la mia “vocazione nel mistero
della Chiesa”? In che misura mi sento responsabile delle vocazioni di speciale
consacrazione, anzitutto con la preghiera?