IV DOMENICA DI QUARESIMA/B

 

14 In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.

[Gv 3,14-21]

 

 

Nei testi biblici di questa domenica domina il tema della “grazia”, cioè dell’amore gratuito e misericordioso di Dio verso il suo popolo Israele e verso l’umanità.

Nella parte finale del libro delle Cronache (Cr. 36: I lettura) l’autore sacro offre una riflessione malinconica e amara sulla fine del regno di Giuda (587 - 586 A.C.), provocata dall’infedeltà dei capi e del popolo all’alleanza con Dio. Il Signore, ostinatamente fedele, “amava il suo popolo e la sua dimora”. Per questo, aveva “mandato premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli”. Ma essi si presero gioco dei profeti, scatenando così il giudizio punitivo di Dio, cioè la distruzione della città e del tempio e la deportazione in Babilonia.

Ma la misericordia di Dio è inesauribile e la sua fedeltà eterna. Il brano termina riportando l’editto di Ciro, re dei Persiani, che permetteva agli esuli di ritornare in patria (538 A.C.).

Alla luce di questo testo, siamo in grado di riconoscere la successione dei momenti in cui si articola la storia della salvezza, fin dall’inizio dell’umanità, come pure la storia personale di ciascuno: grazia (l’amore di Dio prende l’iniziativa e ricolma di doni), peccato (l’uomo è infedele alla grazia e si allontana da Dio), giudizio (la separazione da Dio produce tragiche conseguenze), misericordia (l’amore di Dio prevale, suscitando il pentimento e rinnovando col suo perdono). Viene così ripristinata la condizione di “grazia”. Un ciclo che si ripete - chissà quante volte! - nella vita dei singoli e dell’umanità.

 

San Paolo in Ef 2, 4-10 (II lettura) riprende questo schema, richiamando con espressioni colme di entusiasmo e di riconoscenza la redenzione operata da Dio attraverso Gesù: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci fa fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati”. Il passaggio dalla morte, frutto del peccato, alla vita nuova di comunione piena con Dio in Gesù ha la sua ragione e il suo fondamento nell’amore gratuito e fedele di Dio, oceano di misericordia. Paolo, anticipando - potremmo dire- la celebre definizione “Dio è amore” che si incontra negli scritti di Giovanni (1Gv 4, 8. 16), non si limita qui a esprimere la sua gioia per la salvezza. Ma sottolinea con una forza unica l’assoluta gratuità di tale salvezza e la libertà sovrana e amante di Dio.

Se la fede è il cuore della conversione quaresimale, credere è la capacità di riconoscere in profondità nello snodarsi delle vicende storiche, e anche personali, la misericordia di Dio in azione. Questa lettura di fede avrà come frutto una fiducia consolidata in Dio, un impegno e coinvolgimento concreto, una lode gioiosa. Come quella di Maria che nel Magnificat canta la “sua misericordia che si estende di generazione in generazione.” Credere è riconoscere, con uno stupore e una gioia che non si esauriscono mai, che la misericordia di Dio ha un nome e un volto concreto: Gesù.

 

A vivere pienamente tale sperienza di fede ci insegna Gesù stesso nel Vangelo di oggi. Questo brano costituisce l’ultima parte del dialogo notturno di Gesù con Nicodèmo. In tale dialogo Gesù rivela che, per passare dall’incredulità o dalla fede imperfetta alla fede autentica, occorre una trasformazione radicale, una nuova nascita che non è opera dell’uomo, ma di Dio. E’ lo Spirito l’artefice di questa nuova nascita, Colui che suscita l’esperienza di fede vera e l’alimenta incessantemente.

Ma che cos’è questa fede? Gesù la descrive con alcune espressioni estremamente dense di significato: tale fede ha come oggetto la persona di Gesù Figlio di Dio, è adesione incondizionata al Cristo morto e risorto.

Anzitutto Gesù evoca la scena di Mosè che nel deserto innalza sopra un’asta un serpente di rame, guardando il quale quanti erano stati morsicati dai serpenti velenosi non morivano, ma venivano risanati (Nm. 21, 8ss.; Sap. 16,7). Allo stesso modo, “bisogna che sia innalzato (sulla croce e nella gloria della risurrezione) il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”. L’evento della morte e risurrezione di Gesù è una necessità, cioè è il cuore del progetto di Dio, in favore degli uomini. Lo sguardo di fede fisso su di Lui ci ottiene la salvezza. La ragione? Nel Crocifisso - risorto Dio manifesta e dona se stesso supremamente come Amore a coloro che credono:

 Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. E’ una di quelle confidenze che mozzano il fiato e lasciano muti per lo stupore,  se la forza dell’abitudine, una certa assuefazione e una inspiegabile incoscienza non ci impedissero di prendere in tutta la sua serietà questa dichiarazione d’amore.

Prova a vedere cosa ti succede se, creando uno spazio di silenzio dentro di te, lasci che Gesù ripeta anche a te personalmente la stessa dichiarazione: Colui che è nel seno del Padre, l’oggetto della sua infinita compiacenza, Dio lo ha donato al mondo, lo ha donato a noi, a te con tutte le conseguenze tragiche di tale dono (lo ha consegnato alla morte).

Gesù rivela a Nicodemo e a ciascuno di noi di essere il dono, il regalo superiore a ogni attesa e previsione che Dio ci offre. Attraverso la sua persona, la sua presenza tra gli uomini e soprattutto il sacrificio della croce, Gesù è la manifestazione concreta e palpabile di Dio Amore che si fa visibile e si comunica. Questo amore sconvolge ogni schema, ogni logica. Supera i dati della nostra esperienza. E’ qualcosa di scandaloso per la sapienza puramente umana. La fede genuina - quella richiesta da Gesù - è appunto accettazione senza riserve, resa incondizionata, abbandono fiducioso e totale a questo “incredibile” amore di Dio che in Cristo si manifesta e si dona. Per mezzo della fede l’uomo si lascia invadere e afferrare da questo incomparabile amore.

Tale amore è vita e salvezza per l’uomo. Ma non si impone. Chi lo respinge si condanna da sé.

Il Figlio di Dio è venuto non per condannare, “ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.

Chi crede permette all’amore di Dio di trasformarlo e salvarlo.

Chi invece non crede si autocondanna, cioè si chiude ostinatamente alla luce e alla vita che gli vengono offerte da Gesù. Davanti alla rivelazione di Dio in Cristo è possibile il rifiuto tragico e irragionevole dell’uomo: “la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce”. Sembra incredibile, ma succede: persone che muoiono di fame e non vedono la tavola lautamente imbandita per loro, persone che muoiono di sete e non si avvicinano alla sorgente che può dissetarli, persone che si dibattono nel buio e nel dubbio e si ostinano a tenere sprangate porte e finestre alla luce che chiede di entrare.

Perché accade? Gesù ne dà la spiegazione: “perché le loro opere erano malvage”. C’è un legame stretto fra il rapporto con Cristo e le nostre scelte di fondo. Il rifiutare la luce, cioè Cristo, o l’accoglierla parte da un compromesso di fondo e colpevole dell’uomo con il male o da una sua disponibilità sempre aperta alla verità e all’onestà.(vv.19-21) E’ essenziale la vigilanza a questo riguardo. E’ essenziale la fedeltà alla verità appena intravista. E’ essenziale il coraggio della verità, il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, il coraggio di una vita in sintonia con la verità. “Se tu non vivi come credi, finirai per credere come vivi”.

La presenza di Gesù divide inevitabilmente gli uomini in due categorie: “quelli che vengono alla luce”, perché si decidono per Dio e per il suo Inviato, e “quelli che preferiscono le tenebre”, rigettando Dio e il suo Inviato.

E’ in questo atteggiamento nei confronti di Cristo che oggi, ogni giorno, anche in questo momento ciascuno di noi è chiamato a decidere della sua vita, a giocarsi il suo destino eterno.

 

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Non stancarti di lasciartelo ripetere da Gesù. Nessuna notizia è paragonabile a questa, nessuna è buona e sorprendente come questa.

 

Hai intuito la portata vertiginosa di tale avvenimento e il suo significato, che ci viene rivelato da Gesù in questa pagina di Vangelo?

 

     Che cosa manca alla tua fede, perché abbia la qualità e la misura voluta da Gesù?