30 dicembre 2001 – S. FAMIGLIA

Sir 3,2-6.12-14 / Col 3,12-21 / Mt 2,13-15.19-23

 

AL DI SOPRA DI TUTTO VI SIA LA CARITÀ

Col 3,14

 

Ecco una Parola decisiva per la nostra vita e la nostra testimonianza nel mondo.

Per spiegare la condotta del cristiano, Paolo fa spesso l’esempio delle vesti che il seguace di Cristo deve indossare. Anche qui parla delle virtù, che devono prendere posto nel nostro cuore, come di tanti capi di vestiario: la misericordia, la pazienza, la sopportazione, il perdono...

Ma “al di sopra di tutto - dice, quasi pensando ad una cintura che lega tutto insieme e dà perfezione all’abbigliamento - vi sia la carità”.

Non basta per un cristiano esser buono, misericordioso, umile, mansueto, paziente... Egli deve avere per i fratelli e le sorelle la carità.

Ma la carità non è forse esser buoni, misericordiosi, pazienti, saper perdonare? Sì, ma non solo.

La carità ce l’ha insegnata Gesù. Essa consiste nel dare la vita per gli altri.

L’odio toglie la vita agli altri (“chi odia è omicida”), l’amore dà loro la vita. Ogni cristiano solo se muore a se stesso per gli altri ha la carità. Ma se ha la carità, dice Paolo, sarà perfetto e ogni altra sua virtù acquisterà la perfezione.

“Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è vincolo di perfezione”.

Certamente alcuni di noi possono avere una buona disposizione verso gli altri, perdonando e sopportando. Ma, se ben osserviamo, quello che spesso ci manca può essere proprio la carità. Pur con le più sante intenzioni, la natura ci porta a ripiegarci su noi stessi e, di conseguenza, nell’amare gli altri usiamo le mezze misure. Ma così non si è cristiani!

Occorre mettere il nostro cuore nella massima tensione. Di fronte ad ogni prossimo che incontriamo nella nostra giornata (in famiglia, al lavoro, dappertutto) dobbiamo dire a noi stessi: “Su, coraggio, rispondi a Dio, è il momento di amare, con un amore così grande da mettere in gioco anche la vita”.

“Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è vincolo di perfezione”.

Ringraziamo il Signore per averci riversato nei cuori il suo amore che ci rende sempre più capaci di ascoltare, di immedesimarci con i problemi e le preoccupazioni dei nostri prossimi; di condividerne il pane, le gioie e i dolori; di far cadere certe barrire che ancora ci dividono; di mettere da parte atteggiamenti di orgoglio, di rivalità, di invidia, di risentimento per eventuali torti ricevuti; di superare la terribile tendenza alla critica negativa; di uscire dal nostro egoistico isolamento per metterci a disposizione di chi è nella necessità o nella solitudine; di costruire dappertutto l’unità voluta da Gesù.

È questo il modo di fare Natale, cioè di rendere presente nel mondo d’oggi Gesù e la sua forza di cambiamento.

È questo il contributo che noi cristiani possiamo dare alla pace mondiale e alla fraternità fra i popoli, specie nei momenti più tragici della storia.

Chiara Lubich

 

Andando avanti nella vita del Vangelo, mi rendo conto di quanto sia importante cercare di viverlo nel quotidiano. E non è sempre facilissimo!

Un sabato, ad esempio, ero a pranzo con mia mamma, mia sorella e la mia nipotina. Un pranzo come tanti altri da qualche tempo in qua, condito da tutte le urla “necessarie” per far star buona la bambina e convincerla a mangiare. Un pranzo normale (!), urla normali (!), gli stessi rimproveri che scandiscono tutta la giornata per contenere quella bricconcella della mia nipotina!...

Ma quel giorno sono io che sono uscito dalla norma! Forse perché ero un po’ stanco o teso... sono esploso dicendo di non poterne più, che quello non era affatto un pranzo normale e chiedendo per quanto tempo avrei dovuto continuare a sopportare scene come quella. Queste mie parole, che si distinguevano per la “grazia” con cui erano dette, hanno fatto crollare la situazione: mia sorella piangendo ha preso mia nipote ed è tornata a casa sua; mia mamma, con le lacrime agli occhi, invece, se ne è andata in camera.

Mi è bastato un attimo per rendermi conto che avevo creato una dolorosa frattura tra noi. Che restava ben poco di tutto quello in cui credevo e che ero. Era il momento di perdere tutto e prima di ogni cosa il mio orgoglio.

Ho rincorso mia sorella e le ho chiesto scusa; ho cercato di spiegarmi... ma tutto quello che mi veniva in mente era solo chiedere scusa e poi ancora scusa. E ogni volta provavo dentro di me non l’umiliazione di chi riconosce di aver sbagliato, ma la gioia grande di chi guarisce, si alza e ricomincia.

Siamo ritornati insieme in casa mia e lì ho subito raggiunto la mamma per scusarmi anche con lei. Abbiamo deciso di ricominciare tutto da capo facendo tesoro di tutto quello che era successo. Ancora una volta affiorava in me la stessa gioia.

Antonello, Milano