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gennaio 2005 - 4a domenica t. ord.
Sof 2,3;
3,12-13 / 1Cor 1,26-31 / Mt 5,1-12
Beati gli operatori di pace
(Mt 5,9)
Tutto questo mese di gennaio è stato nel segno della pace, proclamata soprattutto il primo giorno dell’anno, Giornata della pace, e nella Settimana per l’unità delle chiese cristiane (18-25).
La pace è il segno di Dio.
La pace esige discepoli coraggiosi e disposti a soffrire per essa. Una canzone di pace profetizza: «spine tra le mani, piangerai, ma un mondo nuovo nascerà”. È la nostra esperienza: qualche volta forse abbiamo provato a portare pace nelle contese, ma spesso ci siamo ritirati perché abbiamo rimediato solo accuse, offese, disprezzo da tutte le parti in causa.
Ma se perseveriamo, e non da soli (vedi l’invito della settimana scorsa), potremo aiutare le persone a essere meno pessimiste e a far intravedere «un’alba di serenità” (così ancora profetizza la canzone).
Vale la pena soffrire per un sogno così grande. Saremo figli di quel Dio che guarda con particolare favore, e per questo chiama beati quelli che, come Gesù in croce, diffondono pace e creano unità.
Il marito di una mia collega era passato da
me per prendere una cosa di sua moglie. All’improvviso lui, troncando il
discorso che avevamo iniziato, comincia a parlarmi del suo rapporto con Silvia.
Il loro matrimonio è in crisi e lei è decisa a lasciarlo. Si sfoga e mi
racconta tanti fatti che, secondo lui, dimostrano la sua buona fede ed il torto
della moglie. È anche dispiaciuto perché si avvicina la data della prima
Comunione della figlia e Silvia, che non è praticante, gli ha detto chiaramente
che in quel giorno non intende accostarsi all’Eucaristia, come invece lui
avrebbe desiderato.
Nonostante fosse quasi mezzanotte, sento che
devo ascoltarlo fino in fondo, vivendo bene il presente.
Avverto di dover stare attenta a non cadere
in ragionamenti umani che mi porterebbero a giudicare il suo comportamento e
quello della moglie; ho il timore di dare risposte sbagliate se per caso, dopo
quello sfogo, lui chiedesse il mio parere. Ripenso a quell’arte d’amare sino a
farsi uno, che stavo imparando a vivere: essere «vuota» di fronte a lui per non
avere pensieri, valutazioni o risposte affrettate, per lasciare spazio alla
voce di Dio che, alla fine, sono sicura, mi avrebbe suggerito le parole giuste.
Sperimento nel mio animo una forza nuova. Al
termine, con tanta delicatezza, mi ritrovo a dirgli che, se voleva salvare il
suo matrimonio, non doveva pretendere niente dalla moglie ma solo da se stesso
e che doveva rispettare la decisione di lei in materia religiosa. Mentre gli porto
qualche esempio sull’arte d’amare, mi accorgo che si va rasserenando perché,
come poi mi dirà, gli è rinata la speranza di poter salvare il suo matrimonio.
Per molto tempo non ho più saputo nulla.
Poi, una sera, ritorna a casa mia; è felicissimo e mi ringrazia perché, amando
e ascoltando Silvia come gli avevo suggerito, ha visto la situazione cambiare,
anzi lei si è riaccostata, dopo moltissimi anni, ai Sacramenti e senza che lui
glielo chiedesse. Aveva solo pregato insieme alla sua bambina.
N.O., Italia