III DOMENICA DI
QUARESIMA /B
13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e
Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore
e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. 15 Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò
tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei
cambiavalute e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: “Portate via
queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”. 17 I discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo
zelo per la tua casa mi divora”. 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero:
“Quale segno ci mostri per fare queste cose? ”. 19 Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e
in tre giorni lo farò risorgere”. 20 Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è
stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere? ”. 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi
discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e
alla parola detta da Gesù.23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante
la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. 24 Gesù però non si confidava con loro, perché
conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che qualcuno gli desse
testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c’è in ogni uomo.
[Gv 2, 13-25]
La Quaresima è un
cammino - personale e comunitario - di fede, cioè di ritorno a Dio, di scelta
di Dio, di conversione a Dio. E’
insieme un cammino di ritorno e di conversione ai fratelli. Assai a proposito,
la liturgia odierna ci presenta il brano di Esodo 20, 1-17, che contiene la
promulgazione del Decalogo, quale espressione della volontà di Dio sui rapporti
che i membri del popolo eletto devono
vivere con Lui e fra di loro. Per capire il Decalogo occorre inquadrarlo nel
suo contesto vivente e originario, cioè la liberazione dell’Esodo e l’Alleanza:
è il documento ufficiale dell’Alleanza, rappresenta le clausole dell’Alleanza.
Ha senso unicamente nell’ambito dell’esperienza concreta che il popolo di Dio
sta facendo: prima Israele fa l’esperienza della liberazione, l’esperienza del
Dio salvatore che, dopo averlo “fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla
condizione di schiavitù”, lo conduce alla libertà; l’esperienza del Dio
amico che si lega in un rapporto di comunione col suo popolo. Solo dopo vengono
le esigenze di Dio su Israele: “Non avrai altri dei di fronte a me”. E’
il comandamento fondamentale. Gli altri nove lo esplicitano e mostrano nel
concreto cosa significa aderire con tutto il cuore a Dio solo. Dio prima dice:
“ti ho liberato”, poi dice: “tu devi”. L’indicativo precede l’imperativo e gli
dà tutto il suo senso. La grazia precede il comando. L’imperativo però segue
sempre l’indicativo: la grazia di Dio è dono ma insieme esigenza. L’osservanza
dei comandamenti è la risposta, piena di riconoscenza e di amore, di coloro che
hanno fatto l’esperienza della liberazione e godono del dono dell’Alleanza. Non
solo, ma i comandamenti sono presentati nella Bibbia come il modo, indicato da
Dio stesso, di vivere in unione con Lui. Sono grazia, sono luce nel senso che
attraverso di essi il Signore ci insegna come realizzare e potenziare
l’amicizia con Lui, come vivere l’Alleanza nella sua realtà di rapporto con Dio
e di comunione reciproca tra fratelli.
I comandamenti Gesù
non li ha aboliti, ma li ha portati a compimento, unificandoli nel duplice
precetto dell’amore di Dio e del prossimo. (cfr Mc 12,28-34). E li ha osservati
in modo superlativo. Il Cristo crocifisso, che Paolo predica (1Cor. 1,23: II
lettura), è la sintesi vissuta con somma perfezione di tutti i comandamenti.
Essi restano perennemente validi per la comunità cristiana, per il popolo che
ha fatto l’esperienza di una nuova e indicibile liberazione, di una nuova ed eterna Alleanza. I cristiani
li sentono non come un peso fastidioso e insopportabile, imposto dall’esterno e
arbitrariamente da un Dio capriccioso, ma come un dono dell’amore del Padre, la
via luminosa da Lui tracciata nella quale il nuovo popolo di Dio percorre il
suo cammino di progressiva libertà e comunione col suo Signore.
Il gesto di Gesù che
scaccia fuori dal tempio tutti i venditori è inatteso e sconcertante.
Era pur necessario che
almeno nelle adiacenze del luogo sacro si potessero acquistare animali per i
sacrifici e si potesse cambiare il denaro. Col suo gesto Gesù intende colpire
gli abusi e la disonestà negli affari all’interno stesso del santuario.
Soprattutto intende denunciare l’aristocrazia sacerdotale che dal vasto giro di
commerci traeva ricche entrate e consolidava il proprio potere.
Ma il gesto di Gesù ha
un significato più profondo ancora. Certi testi profetici dell’ A.T.
annunciavano che nell’era del Messia il tempio sarebbe stato purificato da ogni
profanazione e sarebbe divenuto il vero luogo dell’incontro fra Dio e il suo
popolo, anzi “casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56,7).
Gesù, contestando ogni
forma di commercio nel tempio, si presenta come il Messia, o meglio come il
Figlio che purifica la casa del Padre suo. L’espressione di Gesù ha un sapore
di novità inaudita che suona scandalosa e intollerabile: “Non fate della
casa del Padre mio un luogo di mercato”. Il tempio, che per i giudei è
la casa dove abita il proprio Dio, il Dio d’Israele, per Gesù è la casa di suo
Padre e quindi la casa sua, di Lui che col Dio di Israele è legato dal rapporto
unico e indicibile del figlio col proprio padre.
I giudei pretendono un
segno che provi questa sua autorità messianica. La risposta di Gesù mostra che
col suo gesto Egli non si limita a condannare gli abusi del culto, non si
limita a contestare le false sicurezze ancorate a una religione formalistica e
a un culto che non sia coerente con la vita: un richiamo che non cessa di
essere attuale. Ma, di più, Egli annuncia la fine del vecchio culto e
l’inaugurazione di un culto nuovo, di un modo radicalmente nuovo di incontrare
Dio: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”.
Gesù annuncia un tempio nuovo. Nell’A.T. e per il giudaismo il tempio aveva
sostanzialmente due significati che lo rendevano il cuore pulsante e il centro
dell’unità religiosa e nazionale di tutto Israele, anche di quelli ben più
numerosi residenti fuori della Palestina: era il luogo della presenza divina.
Qui il credente ebreo veniva per incontrare il suo Dio. Ma-ecco l’altro
significato- il tempio era il luogo di riunione e di incontro di tutti i membri
d’Israele. Qui, nell’incontro di preghiera col loro Dio, essi ricuperavano la
coscienza della propria identità di popolo eletto e rinnovavano l’esperienza
della propria unità e fraternità.
Si comprende allora la
portata della dichiarazione di Gesù: tutto quello che il tempio significava di
incontro con Dio nel culto e nella preghiera, come pure di unità religiosa e
nazionale, tutto questo sta per scomparire. Ma sarà rimpiazzato con qualcosa di
meglio, cioè con un altro tempio, un nuovo tempio, un nuovo culto, un nuovo
luogo di incontro con Dio e tra fratelli. Questa dichiarazione di Gesù per ora
è oscura, enigmatica. Ma più tardi i discepoli, dopo la sua risurrezione,
capiranno che “Egli parlava del tempio del suo corpo”. Cioè,
morendo e risuscitando, Gesù diventa Lui stesso il nuovo tempio annunciato dai
profeti. Non più un tempio di pietra, ma di carne. Il sogno, che attraversa
l’A.T. (“Dio con noi”) e che il tempio
di pietra realizzava molto imperfettamente, trova la sua piena attuazione
nel Signore risorto. In
Gesù i due significati del vecchio tempio sono mirabilmente congiunti: in Lui
appunto Dio Amore si fa presente e si dona ormai senza limiti e tutti possono
incontrarlo e lasciarsi afferrare. Ma - secondo aspetto - il Cristo morto e
risorto è anche il luogo dell’incontro, il luogo del grande raduno degli
uomini. Attorno a Lui si costituirà un’unica famiglia, formata da
quanti, a Lui legati e con Lui divenuti figli, incontrano il Padre.
La Chiesa - e nella
Chiesa ogni comunità, anche parrocchiale - è l’inizio, il germe fecondo, destinato
a diventare l’umanità intera, di questa stupefacente realtà. Se i cristiani
hanno bisogno di edifici materiali per ritrovarsi insieme davanti al loro Dio,
sanno bene che questi edifici sono la “casa della Chiesa”, il luogo dove si
raduna il vero tempio, il vero luogo della presenza di Dio e dell’incontro con
Lui che è appunto la comunità cristiana. E anche il singolo cristiano, che
cerca di vivere in una crescente assimilazione al Signore, è tempio di Dio,
dove lo Spirito Santo abita e gli dà la forza di osservare i comandamenti. Così
tutta la sua vita, in ogni sua espressione e non soltanto negli atti liturgici,
è culto esistenziale gradito a Dio.
I comandamenti li
avverto come un peso o come un dono? Sento che, osservandoli, compio la volontà
di Dio e manifesto concretamente la mia conversione?
Gesù è il vero tempio
dove Dio è presente e ci incontra. I cristiani come comunità e come singoli,
uniti a Gesù, sono la dimora santa di Dio. Questa realtà, che il Vangelo di
oggi ci richiama, in che misura la percepiamo e la viviamo?