14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: 15 “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”. 16 Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17 Gesù disse loro: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. 18 E subito, lasciate le reti, lo seguirono. 19 Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. 20 Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.
[Mc 1, 14-20]
Gesù inizia la sua
attività pubblica in Galilea, una regione lontana dal centro religioso di
Israele, cioè la Giudea con la città santa Gerusalemme. Una regione abitata
anche da molti pagani: è anche per loro che Egli è venuto. L’evangelista
osserva che Gesù “predicava il Vangelo di Dio”: la buona
notizia che ha come contenuto Dio, che proviene da Dio, che Dio stesso
comunica attraverso Gesù. “Diceva”, cioè non si stancava di
ripetere, allora ma anche oggi. Il suo messaggio era incentrato in un annuncio
e in un appello, strettamente congiunti.
L’annuncio: “Il
tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino”. Il tempo, fissato da Dio
per attuare le sue promesse, è arrivato. La grande opportunità, l’occasione
unica e favolosa per ciascuno è giunta: il “Regno di Dio”, cioè
Dio stesso che è l’unico Signore, infinitamente potente e buono,
vi è vicino, è qui per legarvi a sé e coprirvi di ogni bene. E’ una
notizia sbalorditiva quella che Gesù annuncia. Ecco che cosa gli sta a cuore
farci sapere: attraverso di Lui Dio sta per donarsi interamente a noi. Ma non
fa violenza a nessuno, rispetta la libertà. Il suo progetto lo può realizzare
soltanto se noi ci stiamo. Ecco perché all’annuncio si collega inseparabilmente
l’appello:
“Convertitevi e
credete al Vangelo”. Modello di conversione sono gli abitanti di Ninive
(Gio 3,1-10: I lettura). Si tratta non solo di stranieri e pagani, ma di nemici
e oppressori del popolo eletto. Il profeta, dopo una prima resistenza, ha
accettato a malincuore la sua missione, perché non condivide l’amore universale
con cui il suo Dio si prende cura anche dei più lontani. Pensa e spera che la
sua predicazione non venga accolta. Ma la parola di Dio opera, al di là dello
strumento umano: i cittadini di Ninive si convertono in massa e Dio “si
impietosì”,lieto di poterli risparmiare.
È puntuale la lezione per noi cristiani a non pretendere che Dio agisca
solo nel nostro “recinto”- mentre gli altri sarebbero esclusi-, ma piuttosto ad
abbracciare col suo sguardo di misericordia ogni popolo e ogni persona. È forte
anche il richiamo ad accogliere l’appello alla conversione che Gesù oggi ci
rivolge – come già Giona ai Niniviti (cfr es. Mt 12,41) – cogliendone tutta
l’urgenza: pochi minuti possono decidere della vita eterna.
Nella stessa linea si
colloca l’esortazione di san Paolo (1Cor 7,29-31: II lettura) a non
“impantanarsi”, a non “insabbiarsi” nei beni e attività terrene così da esserne
schiavi e incapaci di vedere dove stanno le realtà essenziali (il Regno di
Dio e il Signore risorto).
Convertirsi è prendere sul serio l’annuncio e
la persona che lo offre, dando loro l’attenzione dovuta. Significa volgersi
a Dio, volgere a Lui la faccia e il cuore, ascoltarlo attentamente con
fiducia. Non voltargli le spalle, cercando la salvezza e la felicità lontano da
Lui. Il muoversi di Dio verso gli uomini esige come risposta il muoversi degli
uomini verso di Lui. Mentre ascoltiamo questo testo evangelico, qui e ora
l’annuncio e l’appello di Gesù ci raggiungono con la stessa novità e la stessa
carica di provocazione che sprigionavano quella prima volta.. Qual è la
nostra reazione? Il messaggio che Gesù ci rivolge ci interessa veramente oppure
pensiamo che non ci riguardi, e ci lascia neutrali?
L’imperativo “convertitevi”
viene subito ripreso e precisato da un altro imperativo: “Seguitemi”.
La conversione consiste nel legarsi a Gesù, nel diventare suoi discepoli.
L’evangelista insegna che cosa significa “credere al Vangelo”.
Mostra che cosa accade quando e dove il Regno di Dio, presente in Gesù, arriva
e viene accolto: si segue una persona. Abbiamo qui un racconto di vocazione.
La scorsa domenica ascoltavamo la chiamata dei primi discepoli secondo il IV
Vangelo. Oggi il medesimo fatto, da un’angolazione diversa e secondo diverse
modalità, viene narrato da Marco (seguito da Matteo). Ogni evangelista, in modo
originale, ha focalizzato alcuni aspetti nel medesimo mistero di Cristo che
chiama gli uomini a seguirlo. E’ importante notare che Marco narra un
fatto, ma ne sottolinea il significato a tal punto che il
racconto è estremamente concentrato, quasi stilizzato. Come altri racconti
simili, presenta uno schema fisso, dove ogni elemento è importante e quindi non
va trascurato: 1- Gesù passa; 2- vede qualcuno, di cui si
menziona il mestiere e l’attività; 3- chiama alla sua sequela. Non
domanda altro. E’ l’elemento centrale dello schema; 4- il chiamato lascia
tutto; 5- aderisce a Gesù, cioè lo segue. Questo schema, che si coglie
in entrambe le chiamate delle due coppie di fratelli, rivela alcune componenti
essenziali della vocazione.
Da una parte c’è l’iniziativa
di Gesù: Gesù passa. Gesù vede cioè sceglie. Non è uno
sguardo distratto e gettato a caso, ma uno sguardo di
intensissimo amore. Attraverso lo sguardo di Gesù è tutta la Trinità che mette
gli occhi addosso a una persona.
Gesù chiama. La
chiamata da parte di Gesù è grazia, è dono. La decisione dell’uomo è solo
risposta. Nessuna autocandidatura al discepolato. Mentre i maestri dell’epoca
non andavano in cerca di discepoli, ma erano questi che sceglievano il maestro,
è Gesù invece che sceglie i suoi discepoli. La sequela non è una conquista, ma
un essere conquistati. Inoltre Gesù li chiama a restare con Lui non per qualche
tempo (come avveniva per i discepoli dei rabbini), ma in maniera definitiva: di
fronte a Lui essi non saranno mai altro che discepoli, senza speranza di
diventare maestri a loro volta.
Dall’altra parte
l’iniziativa di Gesù provoca la risposta dei chiamati.
Risposta che è caratterizzata da prontezza e gioia senza rimpianto (“subito”).
Risposta che è rottura con la situazione anteriore (professione, famiglia). Si
noti il crescendo nel distacco operato dai discepoli: i primi due lasciano la
barca, gli altri due anche il padre. Risposta che è, infine, dono totale
a chi chiama per condurre una nuova esistenza caratterizzata dalla comunione
con Lui e da una missione: “vi farò diventare
pescatori di uomini”. Non cattureranno più pesci uccidendoli, ma uomini
salvandoli dalla morte. Tale risposta esprime la fede per cui il
discepolo, senza chiedere spiegazioni, si affida interamente a
colui che lo chiama. Esprime anche il distacco più radicale, dove però si
abbandona qualcosa perché si è trovato Qualcuno, dove la perdita è compensata
dal guadagno (e quale guadagno!), dove quello che si è trovato fa impallidire
ciò che si lascia. Tale risposta è soprattutto sequela. Ciò che
qualifica il discepolo di Gesù non è tanto il termine “imparare” (come vorrebbe
la sua etimologia), ma il verbo “seguire”, cioè condividere il
progetto di vita del Maestro.
Un altro particolare
degno di nota è la ...fretta, la rapidità con cui si svolgono la chiamata e la
risposta: per due volte l’avverbio “subito” (vv. 18 e 20). “E
subito, lasciate le reti lo seguirono...subito li chiamò” (il secondo “subito”
non viene riportato nella traduzione italiana). E’ un’urgenza per Gesù
chiamare, ma lo è anche per i discepoli rispondere: troppo grande è il dono
perché non sia offerto con tempestività e perché possiamo esitare anche solo
qualche istante a deciderci.
Gesù chiamando i
discepoli li lega ciascuno alla sua persona: “SeguiteMi (v. 17)...Ed
essi Lo seguirono” (vv. 18.21). Non cerca di convincerli proponendo
loro un programma ben articolato e definito. Ma li chiama alla comunione di
vita con Lui e a lasciarsi guidare da Lui nel cammino. Ecco la vocazione:
sentirsi guardati con occhi di predilezione da Gesù, sentirsi interpellati
personalmente, decidere di fidarsi di Lui e di affidargli la propria vita. Una
fiducia che a poco a poco diventa fedeltà sempre più grande.
Nello stesso tempo
coloro che chiama al rapporto personale con Lui, Gesù li
inserisce in una comunità dove Lui è il perno e il centro. Con le prime due
chiamate si forma già una comunità di discepoli. Non individui isolati seguono
Gesù, ma una comunità. Egli non li stacca dagli altri uomini, ma vuole che la comunione
con Lui e tra loro si espanda nella missione. E’ la realtà della Chiesa.
Una volta colto lo
schema del racconto, siamo in grado di scoprire la vera intenzione
dell’evangelista, che non è semplicemente quella di narrarci un episodio di
cronaca, ma mostrare che la chiamata - risposta dei primi
discepoli (fatto incontestabile) è, però, emblematica per tutti i cristiani. In
questo racconto di vocazione noi possiamo rileggere e verificare la storia
della nostra vocazione sia battesimale sia specifica di ciascuno. Una storia
non di ieri soltanto, ma di oggi. Anche oggi Gesù continua a “passare”
accanto a me, mi “vede” col suo sguardo carico d’amore, mi “chiama”
a fare quel passo concreto di fedeltà a Lui e io in ogni gesto decido se
seguirlo o meno. Che grazia se, ogni volta che ascolto il “Seguimi!”,
rispondo subito: “Sì, Gesù, io vengo e ti seguo!”.
Prova a rivivere nella
successione delle varie scene il Vangelo di oggi sentendoti non spettatore
neutrale, ma protagonista, come se fossi tu uno dei primi chiamati e proprio a
te fossero rivolte tutte le attenzioni di Gesù e il suo invito. Non è un gioco
di fantasia, perché ciò che accadde allora continua ad accadere oggi. Dicendo
“Seguimi!” Gesù che cosa ti sta chiedendo concretamente di fare in questo
momento? Non deluderlo. Deluderesti te stesso.