11 novembre 2001 – 32ª domenica t.o.
2 Mac 7,1-2.9-14 / 2 Ts 216 – 3,5 / Lc 20,27–38
TUTTI VIVONO PER LUI!
Lc 20,38
Alle persone che ritenevano la morte come la fine di tutto, Gesù dice che “Dio non è Dio dei morti ma dei vivi perché tutti vivono per Lui”. La vita, quindi, non finirà con la morte ma la oltrepasserà entrando nei “cieli nuovi e terre nuove”. Principio e ‘primizia’ della pienezza di vita che ci attende, passando attraverso la morte, è Gesù Risorto. È Lui che manifesta all’uomo la sua dignità altissima e il suo destino ultimo; è verso di Lui che cammina la storia. Il Figlio di Dio, con l’incarnazione, la morte e la risurrezione, risollevò il mondo dalla sua caduta e compì una ‘nuova creazione’. Sulla croce Egli prese da noi la morte perché noi potessimo prendere da Lui la Vita. Sulla croce si celebrarono le nozze dell’ ‘Agnello’ con la Chiesa-sposa, operando lo scambio: Dio ha fatto sua la nostra morte e noi abbiamo fatto nostra la sua Vita.
A chi è in viaggio per incontrare la persona amata è nota e attesa la meta e tutto è orientato a quell’incontro. Il resto è relativo. Così il discepolo di Gesù sa che il proprio cammino è con Lui e verso Lui, sa che la morte è la vita che fiorisce in pienezza. Già nel presente possiamo sperimentare un anticipo di vita futura quando, superando la paura di rimetterci qualcosa, vediamo fiorire la gioia nel volto di un fratello per il quale ci siamo donati. È restando nell’amore che scompaiono i dubbi sull’eternità, come è confermato dall’esperienza dei primi discepoli: “siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli” (1 Gv 3,14).
D. P.
In quest’ultimo periodo ho avuto modo di fare un’esperienza che mi ha
permesso di approfondire il mio rapporto con Gesù. Correndo per le scale una
mattina sono scivolato e mi sono rotto il braccio. Così sono dovuto andare
all’ospedale dove sono rimasto per quattro giorni. La prima notte in ospedale è
stata particolarmente difficile: faceva molto caldo e non potendomi muovere
dovevo stare sempre nella stessa posizione. In quel momento non ho pensato che
potevo offrire il mio dolore. Il giorno dopo, però, avendo la possibilità di
riflettere, ho capito che potevo accogliere questa sofferenza come un dono, amando
Gesù abbandonato. Non mi bastava però vivere un rapporto con Gesù dentro di me,
sentivo il dovere infatti di buttarmi ad amare subito tutti, anche i miei
compagni di camerata. Accanto al mio letto c’era, per esempio, una persona
anziana che voleva ascoltare la sua radiolina, ma non poteva farlo in quanto
aveva problemi di articolazione; allora mi sono offerto io di trovargli i
canali giusti; oppure chiamavo l’infermiere quando aveva bisogno. Tornato a
casa mi è sembrato che Gesù rispondesse al mio amore perché provavo una gioia
mai sperimentata prima. E anche quando mi succedeva di andare di nuovo giù,
subito sapevo come fare per tirarmi su: ricominciavo ad amare. Giorno dopo
giorno ho capito quanto è importante amare Gesù ed ora so che anche le situazioni
più difficili si possono trasformare grazie a Lui.