SANTITÀ? SÌ, GRAZIE!

«Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro.

Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate. La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita: “Chi è quello?” chiese. “È l’aquila, il re degli uccelli”, rispose il suo vicino. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli”. E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale».

Questo, che è forse il più famoso dei racconti del gesuita indiano Anthony De Mello, presenta qual è la situazione di molti davanti alla realtà della santità: “Loro appartengono al cielo, noi invece apparteniamo alla terra”, quasi a dire: “Santità? No, grazie”, siamo persone normali, siamo dei terrestri e non super uomini. E così rinunciamo in partenza a dare un colpo d’ala alla nostra esistenza quotidiana, accontentandoci del solito tran tran.

La festa di Tutti i Santi, che apre questo mese di novembre, parte dalla convinzione profonda che tutti noi siamo fatti per cose grandi e non per una vita mediocre; siamo fatti per l’azzurro infinito del cielo e non per il grigio fango della terra. Già una quarantina d’anni fa, il Concilio Vaticano II parlava di questa chiamata a “vivere alla grande”, della vocazione universale alla santità, tipica di tutti i cristiani. Prova ne è l’immensa moltitudine di santi e di beati, la maggior parte dei quali laici, canonizzati soprattutto in questi ultimi anni da Giovanni Paolo II. Proprio nel corso della commovente celebrazione della memoria dei martiri del XX secolo, fatta nell’ambito del Giubileo, abbiamo scoperto che due terzi dei martiri della Chiesa appartengono proprio a questo secolo, e che per il maggior numero sono laici. Sono veramente una “moltitudine immensa, di ogni nazione, razza, popolo e lingua, che nessuno poteva contare” come raffigurato nel libro dell’Apocalisse.

Consapevole di ciò, Giovanni Paolo II, nella sua Lettera scritta a conclusione del Giubileo del 2000, ci invita non solo a “prendere il largo” verso il Terzo Millennio senza paura, ma addirittura a fare della santità una vera e propria “urgenza pastorale”, da inserire nella programmazione di ogni comunità cristiana. Ben consapevole che può sembrare poco operativo “programmare la santità” dentro un piano pastorale, ci stimola a maturare tre atteggiamenti per vivere da aquile:

- non accontentarci di una vita mediocre e di una religiosità superficiale: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione”;

- proporsi come meta il radicalismo del discorso della montagna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”;

- far sì che tutta la vita delle comunità ecclesiali e delle famiglie cristiane porti ad una “misura alta” della vita cristiana ordinaria.

Il Battesimo ha messo dentro ciascuno di noi l’impronta e la nostalgia del Cielo: tocca a noi cogliere questo messaggio per vivere da aquile, e non accontentarsi di fare i... polli!

Umberto S.