14 ottobre 2001 – 28ª domenica t.o.

2 Re 5,14-17 / 2 Tm 2,8–13 / Lc 17,11–19

 

VA’, LA TUA FEDE TI HA SALVATO

Lc 17,19

 

La fede nasce dal riconoscimento dell’amore di Dio e dei doni ricevuti da Lui e si esprime in riconoscenza incessante a Lui.

Il lebbroso che si vede guarito e, unico dei dieci, ritorna da Gesù per ringraziarlo, si sente rivolgere queste parole: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. La riconoscenza per la guarigione dalla malattia gli ottiene la grazia di essere chiamato a seguire Gesù. Egli risponde all’Amore con l’amore; dimostra che non soltanto il corpo è risanato ma che anche la sua interiorità è ravvivata. Se grande è la gioia per la salute ricevuta, ancor di più lo è l’incontro con Gesù che gli dona la salvezza e lo chiama a seguirlo. Gesù comunica Dio all’uomo e lo coinvolge nella sua avventura. Nel seguire Gesù viviamo e scopriamo la nostra identità più profonda, ciò per cui siamo fatti da tutta l’eternità.

Il lebbroso che ritorna da Gesù è stato prima guarito e poi salvato. Guarito è chi non ha più lebbra, salvato è chi vive Gesù.

Proviamo a vivere non preoccupandoci tanto della nostra salute, né dei nostri meriti, né dei nostri peccati, ma semplicemente essendo un grazie al Padre, vivendo la Parola che è Gesù, partecipando alla Sua missione. È questo il livello della vita cristiana, che è vita pienamente umana.

D. P. e L. C.

 

Mi chiamo G., sono sposato e ho due figlie. Desidero testimoniare un’esperienza che mi sta a cuore in quanto è stata la mia prima esperienza di Gesù: credo che Cristo sia vivo proprio per averla vissuta.

Eravamo una famiglia normale fino a quando mi trovai ad essere un alcolista, quasi sempre ubriaco e violento bestemmiatore. Era una vita d’inferno, sia per me che per i miei familiari.

Io avrei voluto essere diverso, ma non ne ero capace in quanto l’alcool era più forte di me. Questa malattia mi ha impedito di diventare adulto e capire le cose importanti della vita: l’amore, la famiglia, l’essere fratelli.

Le cose in seguito peggiorarono e dovetti scontare anni di carcere. Mi trovai ad essere stanco di vivere, ma non trovai mai il coraggio di mettervi fine, forse perché in me vi era un filo sottile di speranza.

Un giorno, dalla porta chiusa, mi accorsi che mia moglie piangeva e pregava; mi fece pena perché vedevo che soffriva a causa mia. Decisi allora di ricoverarmi in ospedale; nell’attesa che mi venisse assegnato un letto, si sedette accanto a me una persona che mi salutò chiamandomi per nome e, dopo aver ascoltato i miei problemi, mi disse che se volevo guarire i miei mali dovevo avere fiducia in me stesso e fede in Dio. Rimasi un paio di giorni con il pensiero di questa strana persona che mi aveva fatto strani discorsi. Una sera mentre ero solo e passeggiavo nel giardino dell’ospedale, cominciai a riflettere e a fare un inventario della mia vita. La disperazione mi avvolse completamente, un dolore tremendo mi prese dentro il petto, dolore tale da farmi uscire le lacrime dagli occhi. Mi resi conto che qualcuno mi stava guardando. Ciò mi disturbava, cercai solitudine ed entrai nella porta che mi stava dinanzi. Era una chiesa, non vi era nessuno. Decisi di pregare e dissi: Padre nostro, ma lì mi fermai, riflettendo sulla parola ‘Padre’ e dissi: “Tu dici di essere Papà di tutti e di voler bene a tutti, ma io non sono forse tuo figlio? Perché mi abbandoni e mi lasci morire?” Poi ebbi una nuova ispirazione e misi tutto in mano a Lui, quasi a dare le dimissioni da me stesso; da solo non riuscivo più a fare niente. “Signore, ti prego, da solo non ce la faccio, la mia vita è un totale fallimento: ti prego, aiutami ad essere come le altre persone”. Il giorno dopo mi sentivo incredibilmente un’altra persona, in me vi era una sicurezza e volontà mai avute, cominciai con la decisione di non bere più, così è stato fino ad oggi, e son passati tanti anni; ma soprattutto mi sono sentito cose nuove nel cuore.

G. I., Vicenza