29 giugno 2003 – Ss. PIETRO E PAOLO

At 12,1-11 / 2Tm 4,6-8.17-18 / Mt 16,13-19

Su questa pietra edificherò la mia Chiesa

(Mt 16,18)

 

Gesù ha posto a fondamento della Chiesa Pietro e Paolo, con il collegio degli apostoli. Essi hanno professato la fede in Cristo morto e risorto, l’hanno amato nei fratelli, fino a dare la vita.

Pietro, per ispirazione del Padre, dichiara Gesù Figlio di Dio. E Gesù, in risposta, gli affida la guida della Chiesa: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.

Oggi si sente spesso dire: “Credo in Cristo, ma non nella Chiesa”. È un errore, perché lo stesso Cristo che ha detto parole di verità, come “Dio è Padre, amatevi a vicenda”, ha anche detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.

È vero che la Chiesa è fatta di uomini soggetti a debolezze, ma Gesù è presente, sostenendoli nella loro missione con grazie particolari.

Oggi poi vengono in rilievo le due realtà che costituiscono la Chiesa: l’Istituzione con Pietro a capo e i Carismi con i doni che lo Spirito Santo ha effuso lungo i secoli. Esse coesistono nella Chiesa e, vivendo in sintonia, la fanno più autentica, appetibile e bella.

Dobbiamo sentire la Chiesa come nostra, come è avvenuto nella comunità di Gerusalemme, dopo l’arresto di Pietro. “Una preghiera saliva incessante a Dio dalla Chiesa per lui” (At 12,5).

 

 

UN “FIORETTO” DEL PAPA

 

Sul finire del Grande Giubileo il Papa invita a pranzo alcuni vescovi. Un amico vescovo deve attraversare il portone di bronzo, vigilato dalle guardie svizzere, prima delle 12,30. Parte per tempo, ma ci sono intoppi, ingorghi, un tamponamento e, in ritardo, attraversa trafelato piazza San Pietro. È sotto il colonnato quando vede un uomo che mal vestito, sciupato, domanda la carità. Si guardano, dopo tre secondi si riconoscono, si abbracciano. Erano compagni di seminario e di messa. Poi uno abbandonò la veste ed eccolo prete spretato e barbone; l’altro fece carriera ed eccolo rasato e trafelato per andare dal Papa. Ci si immagini il vescovo. Il Papa è su che lo aspetta. Ma si vergogna di dire all’amico che ha fretta, ha cose importanti. Magari deve andare su dal Santo Padre a parlare di carità e lascia andare l’amico? Fatto sta che gli dice: “Senti, devo andare su dal Papa, ma tu aspettami qui, non ti muovere che ci vediamo e mi dici tutto”.

Il vescovo ansimante arriva all’appartamento del Papa che gli altri sono già seduti a tavola. Il Papa fa una battuta sul ritardatario e lui racconta tutti i contrattempi e poi quell’incontro con il prete. “Che gli devo dire, Santità?”. Il Papa lo guarda stupito. Gli dice: “L’ha lasciato solo?”. Lui: “Sì, ma mi aspetta, dopo lo porto con me.” Il Papa: “Mi ascolti. Lei che lo conosce, scenda e gli dica che il Papa lo invita a tavola”.

Il Vescovo scivola giù lesto saltando i gradini. Se non lo trova, pensa, è spacciato. Ma il suo prete è lì, gli spiega dell’invito, lo riassetta un momento e salgono entrambi increduli le scalinate. Si accomodano a tavola. Il Papa guarda quel povero prete.

La luminosità dell’appartamento e la miseria dell’invitato, tutto stride tranne quella tensione magnifica per cui ci si riconosce uomini e si riconosce che nulla mai è perduto. Ed il vecchio Papa gli domanda: “Vorrebbe confessarmi?”.

Dopo la confessione, il commiato agli altri Vescovi che dovevano discorrere di un documento pastorale:

Il vescovo ha raccontato questo episodio ad alcuni sacerdoti, pregandoli di tacere perché questa era la volontà del Papa. A quanto a noi risulta, quel sacerdote ha ritrovato la strada che aveva abbandonata.

tratto da un articolo di Renato Farina su “Libero” del 22/5/01