28 agosto 2005 - 22a domenica t. ord.

Ger 20,7-9 / Rm 12,1-2 / Mt 16,21-27

Che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?

(Mt 16,26)

 

Gesù, riconosciuto da Pietro come il Messia, fa il primo annunzio della passione. Per la prima volta parla della Croce. Ci mostra cioè la sua vera identità di Crocifisso–Risorto, e quella del discepolo, specchio della sua. La ‘passione’ del Signore manifesta la vera e profonda identità sua e nostra: Lui è amore infinito per noi, e noi siamo amati infinitamente da Lui e siamo chiamati a diventare fratelli che rispecchiano il volto del Figlio. La strada per arrivare a questa meta ci è suggerita da Gesù stesso che ci invita a fare nostro il modo di pensare di Dio, a fare lo stesso cammino del Signore, che precede e accompagna, a smettere di pensare a se stessi, a lottare contro il proprio egoismo. Perché la vita non si può comprare con denaro, né barattare con beni: è dono, e solo in quanto donata, resta vita. Per essere dono occorre dire di no. No a tutto quello che deturpa la bellezza e la grandezza del cuore e della vita. Cuore e vita fatti a immagine e somiglianza di Dio. Allora la morte dell’egoismo è la nascita dell’amore. Donando tutto si ritrova tutto in una dimensione definitiva. Tenendo conto che nessuna realtà, anche la più splendida, può essere equiparata al grande dono che ci è stato fatto: essere immersi nella vita di Dio.

 

IL MIO SÌ

A metà maggio del 1957 incominciai ad accusare un forte dolore alla schiena e alla gamba, tanto che non riuscivo più a camminare e fui costretto a stare a letto. Il medico che mi visitò non riusciva a formulare una diagnosi; poteva essere una sciatalgia o una discopatia, o qualcos’altro, e decise di farmi fare delle radiografie.

Il dolore aumentava di giorno in giorno e nessun analgesico riusciva ad alleviarlo. Attendevo con una certa ansia l’esito delle radiografie con la speranza di trovare la causa e quindi la cura.

Sul mio comodino avevo un piccolo quadro con l’immagine di Gesù crocifisso e abbandonato, che mi ricordava la mia scelta fatta una decina d’anni addietro: avere lui come ideale della mia vita. Con lui avevo un continuo dialogo e mi sforzavo di offrire quanto stavo soffrendo.

Finalmente arrivò l’esito delle radiografie: decalcificazione delle ossa! Cercai di farmi spiegare dal medico il significato di tale malattia. Decalcificazione delle ossa significava la progressiva incapacità di muovermi, significava finire i miei giorni su una carrozzella.

Ebbi un momento di smarrimento. Non avevo che trentun anni e davanti a me si prospettava una vita breve, piena di sofferenze e inoltre avrei costituito un peso per chi mi avrebbe assistito.

Il mio sguardo si posò su quell’immagine di Gesù crocifisso e abbandonato e gli dissi il mio sì con la decisione di accettare fino in fondo tale situazione. E subito nella mia anima avvertii la gioia di aver potuto donare a lui qualcosa.

I dolori invece incominciarono a diminuire e dopo un mese circa rifeci la radiografia in un altro ambulatorio. L’esito fu davvero sorprendente. Il radiologo mi assicurò che raramente aveva visto il tessuto osseo così perfetto e che sicuramente le precedenti radiografie erano o fatte male o addirittura di un’altra persona.

Ho compiuto settantasei anni e ancora continuo a lavorare!

M. T., Roma