28 aprile 2002 – 5ª domenica di Pasqua

At 6,1-7 / 1 Pt 2,4-9 / Gv 14,1-12

 

IO SONO LA VIA LA VERITÀ E LA VITA

Gv 14,6

Durante l’ultima cena Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi amici e aver dato loro il suo comandamento nuovo dell’amore reciproco, apre il suo cuore: dice che sta salendo al Padre a preparare loro un posto. Tommaso, uno dei discepoli, gli chiede quale sia la via da percorrere per raggiungerlo. Gesù rivela: “Io sono la via, la verità e la vita”. Egli, discendendo dal cielo e ora ritornandovi, apre la strada che tutti noi possiamo percorrere.

Per raggiungere quella meta è necessario ripercorrere i Suoi passi: i primi cristiani si chiamavano quelli della Via, perché seguivano Gesù. Per il pio ebreo la via erano i dieci comandamenti; per i cristiani è Gesù. Egli ci ha dato l’esempio e ci dà la grazia perché facciamo come lui.

Gesù ci ha amati per primo, ha amato tutti indistintamente, ha amato concretamente lavando i piedi ai discepoli. Ha indicato così la sua via per arrivare al fratello; e il fratello, amato così, è la nostra via per incontrare Lui. Egli infatti ci ha detto che lo possiamo ritrovare in chi ha fame, sete, è nudo, nel malato, nel carcerato, nel forestiero.

Il fratello che ci passa accanto, amato, diventa via alla Vita, quella Vita che si è donata e fatta una sola cosa con l’uomo. E seguendo Gesù nell’amare come Lui ci ha insegnato e ci dà la grazia di fare, si sperimenta la Verità.

I cristiani sono quelli della via e quelli della vita e quelli della verità, perché sono quelli di Gesù, imitato e rivissuto.

M. G.

Da quando ho scoperto il Vangelo e mi sono messa ad ascoltarlo, conoscerlo e viverlo, mi sono sentita una maggior forza interiore e meno esitante nel prendere decisioni.

Nello stesso tempo, le sofferenze non mi hanno risparmiato. Mio figlio, dopo tre anni di matrimonio e la nascita di un bambino, per complicazioni seguite ad una grave operazione chirurgica, ha avuto la paralisi delle braccia. Gli anni che sono seguiti sono stati molto duri. Finché un giorno la moglie di mio figlio è venuta a dirmi: “Ne ho abbastanza, me ne vado!”. Lì per lì, mi sembrava che tutto crollasse intorno a me. Pensavo soprattutto al bambino, che sarebbe cresciuto nell’abbandono di sua madre, e vedevo mio figlio lasciato solo nel momento in cui aveva più bisogno di coraggio, di assistenza, di forza per sopravvivere.

Sono uscita di casa e fuori pioveva. L’incertezza e la paura di altre volte riprendevano il sopravvento. In quel momento, ho sentito una voce interiore che mi diceva: “Sono Io, non temere”.

La domenica dopo, ho ascoltato il commento del Vangelo; e anche il mio nipotino, al mio fianco, ascoltava con attenzione. Alla fine tutti e due abbiamo deciso di vivere bene quella giornata.

Alla sera il mio nipotino, appena tornato dai suoi amici, mi è saltato al collo chiedendomi: “Allora, nonna, sei stata buona oggi?”. Poi, senza aspettarsi risposta, ha continuato: “Sai, nonna, ogni volta che papà mi ha chiamato, io ci sono andato. E dopo, ho mangiato tutto quello che c’era nel piatto, anche se non mi piaceva. E poi, ho lasciato che i miei amici scegliessero i giochi che volevano”. “Sempre?”, gli ho chiesto meravigliata, sapendo che, con il suo carattere, questo era per lui un esercizi difficile. Dopo un piccolo momento di silenzio, mi ha risposto: “No, non sempre. Due volte non l’ho fatto”.

Ero umiliata nel constatare quanto avesse vissuto bene la sua giornata, restando sempre vigilante e mettendocela tutta per fare meglio.

In seguito anche mio marito ha incominciato a leggere il Vangelo; e mia figlia, che ha una vita molto dura dietro di sé, ha imitato suo padre. La Parola è diventata per la nostra famiglia una voce che ci aiuta a riscoprire i valori autentici.

Ho dato qualche brano anche a mio figlio, per il quale Dio rimane un interrogativo. E lo mando anche a sua moglie dal giorno in cui, trovandolo fra le mani del suo bambino, gli ha chiesto a bruciapelo cosa fosse e si è sentita rispondere: “Serve per imparare a vivere bene”.

Laura, Germania