27 luglio 2003
– 17ª t.o.
2Re
4,42-44 / Ef 4,1-6 / Gv 6,1-15
Gesù prese i
pani e li distribuì
(Gv 6,11)
Per alcune domeniche ascolteremo la lettura di parti
del capitolo 6° del vangelo di Giovanni: si tratta del celebre capitolo che si
apre con la scena della moltiplicazione dei pani, interpretata dall’evangelista
in senso eucaristico: il pane prefigura il Corpo di Cristo dato per noi,
termine della sua e principio della nostra vita di figli e fratelli.
Gesù prende il pane. C’è un prendere di chi tiene
per sé e c’è un prendere di chi riceve e dona. Il pane che sazia la fame di
ogni uomo trova la sua pienezza nella vita fraterna e filiale. Ne mangia chi
accoglie Gesù, il Figlio amato dal Padre che ama i fratelli; se lasciamo vivere
in noi Gesù, attraverso l’Eucaristia e la Parola, allora è possibile fare come
lui, distribuendo la vita che nasce e trova la sua pienezza nell’amore, fatto
di ascolto, condivisione, attenzione, solidarietà e perdono. Essere come i fili
della luce: lasciano passare la corrente elettrica e all’altro capo la
lampadina può accendersi.
IL PERDONO È
L’ULTIMA PAROLA
In città si
spara. Io e mio fratello maggiore ci troviamo sulla porta di casa attendendo
notizie di quanto è successo. Il nostro quartiere è uno dei punti caldi della
città. L’aria è tesa, si sentono continuamente spari. Ad un certo punto mi giro
e vedo mio fratello che cade a terra. È l’addio! Una pallottola l’ha colpito
mortalmente. Qualche settimana dopo avrebbe dovuto sposarsi. Chi può averlo
ucciso? Tanti pensieri passano per la mia testa. In questa situazione di guerra
dichiarata è difficile far uscire il corpo di casa e seppellirlo. Vi riesco
solo di notte. La guerra continua.
L’indomani il
quartiere, in parte monoetnico, si svuota pian piano. Una famiglia non sa dove
andare. Avendo visto il mio comportamento, che cerco di accogliere ed amare
tutti, pur non essendo della loro etnia, chiedono a me protezione e di essere
nascosti a casa mia.
Come posso
dare alloggio a gente che ha ucciso mio fratello? Per un attimo questa domanda
passa per la mia testa. Se lo faccio avrò tutti i vicini del quartiere contro e
diventerò colpevole di tante ingiustizie commesse da altri.
Malgrado la
forte pressione dei miei amici per non farlo, nascondo la famiglia in casa. Se
vengo scoperto è per me la fine.
Una notte
riesco a nasconderli. Quella seguente faccio di tutto per trovare loro una via
di uscita. La spuntiamo.
Ora, pur non
potendo visitarci perché viviamo in quartieri diversi, rimane un forte rapporto
ed un grande senso di gratitudine della famiglia.
È un segno, un
fatto che di fronte all’assurdità più grande, l’amore può sempre avere l’ultima
parola.
Janvier