27 aprile 2003 – 2ª di Pasqua

At 4,32-35 / 1Gv 5,1-6 / Gv 20,19-31

 

Non essere incredulo, ma credente

(Gv 20,27)

 

Gesù, alla sera di Pasqua, appare agli apostoli, nel cenacolo. Augura loro la pace e infonde lo Spirito Santo. Tommaso non c’è.

Otto giorni dopo, quando Tommaso è con loro, Gesù ritorna. Lo rimprovera per non aver creduto: “Non essere più incredulo, ma credente”. Tommaso dà una risposta commovente, piena di fede: “Mio Signore e mio Dio!”. 

Di questa fede parla l’apostolo Giovanni nella seconda lettura: “Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede”. È una fede che si traduce in amore: “ama colui che ha generato e chi da lui è stato generato”.

Questa fede ha fatto nascere la comunità dei cristiani di cui si parla negli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola”. È una comunità di persone che si amano, tanto da far circolare fra di loro anche i beni: “Ogni cosa era fra loro comune e nessuno di loro era bisognoso”.

L’enorme disparità fra ricchi e poveri, dove i beni sono distribuiti così male anche fra gli stessi cristiani, fa pensare che Gesù dovrebbe rivolgere a noi cristiani di oggi il rimprovero fatto a Tommaso: “Non essere incredulo, ma credente”. 

            Se le nostre comunità vivessero il comandamento dell’amore scambievole - dato da Gesù ai suoi - sarebbero luce e sale della terra.

 

 

In Ruanda si vive ancora il periodo duro, difficile, caratteristico di un immediato dopoguerra. Tutti i vari uffici ed enti internazionali cominciano a fare il punto della situazione con la stesura di statistiche, apertura di registri eccetera.

Io sono al lavoro e sto registrando i nomi degli orfani. A un certo punto un tuffo al cuore: tra i tanti nomi che man mano vado scorrendo e registrando, ne scorgo uno, familiare. Sì, è proprio lei, mia nipote, figlia di mia sorella, che tutti pensavamo morta insieme agli altri! Ha solo quattordici anni.

Se prima ero, a dir poco, addolorata, adesso sono proprio disperata. Non posso fare assolutamente nulla: se denuncio la situazione, la metto in serio pericolo di vita. Lei, infatti, si trova in Congo in un campo di rifugiati di altre tribù. Se, per caso, scoprono che la ragazza è della nostra tribù, l’ammazzano. Mi trovo con le mani legate.

All’improvviso, dopo alcune notti insonni per lo sconforto, sento affollarsi nella mia mente varie parole di Gesù, quali: “Chiedete ed otterrete”; “Ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio”, “Con la vostra fede sposterete le montagne”...

“Qui c’è la soluzione!”, mi sono detta. Corro in una chiesetta e, davanti a Gesù, gli dico: “Gesù, Natale è alle porte ed io sono venuta a chiederti un dono. Ti domando che, entro questo periodo natalizio, mia nipote faccia ritorno a casa. Io non so come e quando: tu lo sai”.

Dopo poco tempo ricevo una telefonata. È mia sorella: “Tua nipote è a casa, sana e salva”. Miracolosamente era riuscita a scappare dal campo dei rifugiati ed era arrivata a piedi alla frontiera tra il Congo e il Ruanda. Lì l’avevano soccorsa i soldati, riportata a casa e riconsegnata alla madre.

X. X., Ruanda