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giugno 2005 - 13a domenica t. ord.
2Re 4,8-11.14-16a / Rm 6,3-4.8-11 / Mt 10,37-42
Chi
avrà perduto la sua vita per me, la troverà
(Mt 10,39)
Come in Gesù anche il più
piccolo gesto che esprimeva la sua persona era «divino», così per noi anche il
dare un bicchier d’acqua fresca al fratello più piccolo, ha una portata che sa
di eternità. La qualità dell’acqua dipende dalla sorgente, e in noi la sorgente è divina.
A Brancaccio, un quartiere di Palermo dimenticato
dagli uomini, ma non dalla mafia che lo considera suo territorio «naturale», è
stato ucciso, nel giorno del suo 56° compleanno, padre Giuseppe Puglisi (1938-1994). Non un «prete-contro», ma un
prete «normale», che ha preso sul serio il Vangelo degli ultimi, dei
diseredati, e che è morto per questo. Da giovane aveva compiuto il suo apprendistato in una chiesa periferica
palermitana a Godrano, piccolo paese di montagna di contadini, di operai e di
studenti ai quali porta la sua passione per la verità e la libertà, seme di
speranza che sparge senza risparmiarsi, animando incontri, dibattiti, momenti
di studio e di preghiera. È il Vangelo, messaggio lieto rivolto soprattutto a
chi non ha motivi umanamente ragionevoli per allietarsi. È il Vangelo nella sua
«normalità” che diventa radicalità e martirio, quando il contesto in cui opera
e parla è troppo lontano dal disegno di Dio.
Al liceo Vittorio Emanuele di Palermo, nel centro
Diocesano Vocazionale, i giovani sono i suoi interlocutori privilegiati: li
educa, li «conduce» dentro il messaggio e dentro il piano di Dio, anima
vocazioni altrui e approfondisce la propria, che sempre più coincide con il
risvegliare le coscienze. La «chiesa» di don Pugliesi era tra la gente, tra i
giovani, gli anziani, i diseredati. Il «braccio di ferro» del prete «scomodo»
aveva come nemico, silenzioso e onnipresente, il potere mafioso, che permette
protezione in cambio di omertà. Don Puglisi si ostina a rendere testimonianza
del Vangelo, non solo con la denuncia dal pulpito, ma con l’azione tra la «sua»
gente, alla quale insegna il valore della persona umana, della sua dignità,
della sua libertà.