Natale 2004
UN CAMMINO DI LUCE
A che cosa serve camminare,
se non si sa dove andare? “Il popolo che
camminava nelle tenebre ha visto levarsi una grande luce” (Isaia 9,1). E
tuttavia questo popolo camminava, senza sapere dove, inutilmente. È in questo
contesto che si leva una luce, che permette di sapere a che punto si trova il
popolo e, soprattutto, quali sono la
direzione e il senso da prendere.
È nella notte di Natale che
queste parole acquistano tutto il loro senso. Non facciamo fatica a
riconoscerci in questo faticoso camminare alla continua ricerca di una
direzione certa al nostro vivere e di un senso pieno a quanto avviene attorno a
noi. Anche noi cerchiamo cammini di luce. Il desiderio di serenità, di gioia,
di pace che ci avvolge in questi giorni così particolari non è che il
manifestarsi consapevole della vera
“sete” che abita il cuore di ogni uomo. Come per l’antico popolo di
Israele, a noi cercatori di luce, Dio dona anche per questo nostro tempo un
bambino. E lo affida, con tutta la sua fragilità, al nostro affetto e alla
nostra custodia, così come sono fragili e bisognose di crescita tutte quelle
realtà che questo bambino incarna: amore,
pace, fraternità, gioia…
A noi, spesso bisognosi di
“effetti speciali” per essere scossi dalla monotonia e dal grigiore quotidiano,
Dio regala un bambino.
Questo Natale ci aiuti a
capire che quello che ci viene posto tra le mani è un bambino di luce, che solo
può aprire strade luminose davanti a
noi.
Buon Natale!
Umberto S.
25
dicembre 2004 - NATALE DELSIGNORE
Is
52,7-10 / Eb 1,1-6 / Gv 1,1-18
La luce splende nelle
tenebre
(Gv 1,5)
San Giovanni, all’inizio del
suo Vangelo, racconta quello che è stato per lui aver incontrato, conosciuto e
vissuto con Gesù.
È stata un’esperienza di luce, di vita, di ascolto
di Parole uniche, eterne, universali.
Queste parole, uscite dalla
bocca del Maestro, illuminano il vissuto, indicano il comportamento giusto da
tenere con Dio e con il prossimo, le scelte sagge da fare, le parole sapienti
da pronunciare, le correzioni da portare.
Anche noi, come Giovanni,
accogliamo e viviamo la Parola Eterna:
ci aiuterà a distinguere il bene dal male, i vizi dalle virtù e a non lasciarci
imbrogliare dalla mentalità del mondo.
Ho avuto spesso l’impressione che la mia vita fosse come un vaso che
cadeva in mille pezzi, e che più io cercavo di rimetterli insieme, più il vaso
si rompeva. Dopo un’infanzia difficile e rapporti tesi in famiglia, il giorno
del mio diciassettesimo compleanno mi ero sposata. Era un passo un po’
affrettato, ma ero convinta che il matrimonio mi avrebbe dato quella felicità
che aspettavo. Invece non ho avuto un solo momento di tranquillità. Malgrado
fossero nati due figli, la situazione è arrivata in breve a un punto di
rottura, e dopo 10 anni di matrimonio ci siamo separati. A 27 anni con un bimbo
piccolo (il più grande era rimasto con il padre), e un matrimonio fallito alle
spalle, non era facile ricominciare.
Non avevo nessuno accanto, e anche quel Dio che avevo incontrato da
bambina sembrava scomparso. In quella solitudine, quando un altro uomo mi ha
dimostrato un po’ d’affetto, nel desiderio di offrire al bambino il calore di
una famiglia, ho accettato di sposarlo. Sono nati due figli ed ho vissuto un
periodo felice. Poi sopraggiunge un’altra prova durissima: il mio compagno
viene colpito da un tumore. Si alternano momenti di speranza e di sconforto,
sino a quando, per i dolori acutissimi, in un momento di crisi non ce l’ha
fatta più e si è tolto la vita.
Rimango di nuovo sola, con tre figli da mantenere. Questa morte tragica
mi getta nella disperazione, e vorrei anch’io farla finita. Un giorno, non so
perché, entro in una chiesa, dove non mettevo più piede da quando ero ragazza.
Non riesco a dire niente, piango soltanto. Uscendo, sento dentro una grande
pace: era lui, Dio… mi dava la possibilità di ricominciare. Riprendo a
frequentare la chiesa, superando la vergogna iniziale. Lì trovo una comunità
parrocchiale viva, trovo calore, accoglienza. E’ loro stile di vita quell’amore
scambievole, che è il comandamento nuovo di Gesù. Scopro un cristianesimo vivo,
concreto: con quattro figli da mantenere, al momento opportuno è sempre
arrivato quello di cui avevamo bisogno: un vestito, una riparazione gratuita,
una somma per delle spese impreviste.
I miei nuovi amici condividono anche l’abisso di dolore più grande:
l’incidente stradale e la morte del figlio maggiore. Affrontiamo insieme i
momenti più difficili: all’obitorio, il funerale. Pian piano si fa strada una
certezza: anche questo è amore di Dio. Gli ripeto il mio sì. La vita riprende.
Mi ritrovo nuova. Quell’abisso di dolore ha scavato in me una nuova capacità
d’amore. Ora mi è chiaro più che mai: solo l’amore resta.
L. M.