Umberto S.

25 dicembre 2002 – NATALE DEL SIGNORE

Is 52,7-10 / Eb 1,1-6 / Gv 1,1-18

GLORIA A DIO, PACE AGLI UOMINI

(Lc 2,14)

Nel racconto del Vangelo di Luca è descritto con parole semplicissime il fatto più grande della storia: “per Maria si compirono i giorni del parto e diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”.

Nessuno si sarebbe accorto, se gli angeli non lo avessero manifestato ai pastori, considerati allora le persone ai margini della società. Eppure su questa scena povera e modesta scende dal cielo una rivelazione cosmica: un inno di pace: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace agli uomini che Egli ama”. È la rivelazione dell’amore della Trinità che si è compiaciuta di scendere fra gli uomini. “Il popolo che camminava nelle tenebre -  dice il profeta Isaia - vide una grande luce”. E san Paolo: “È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza”.

Anche a noi in questa festa, tanto attesa da piccoli e adulti, giunge l’annuncio degli angeli: “Oggi vi è nato un Salvatore”. Dio non ha disdegnato di farsi come noi. Ha assunto i limiti della nostra natura, per dirci il suo amore. Dio è stato attirato dalla nostra debolezza.  Da questo momento non siamo più soli, perché Dio è dalla nostra parte. Ha voluto portarci la sua pace.

Possiamo avvicinarci anche noi alla culla, con la semplicità dei pastori, per contemplare l’Amore, per portare i nostri poveri doni. Forse sono solo i nostri peccati, ma possiamo offrirglieli: in cambio della pace nel cuore.

E perché non farci anche noi annunciatori di pace ai nostri fratelli? Forse non tutti quelli che incontriamo in questi giorni hanno avuto la gioia di sentirsi amati da Dio.

Anch’io potrei essere come un angelo che, con un gesto di bontà, di perdono, di simpatia, moltiplica la gioia e la pace. 

Giovanni R.

 

Avevo notato altre volte quella giovane e bella coppia africana alla Messa domenicale. Mi avevano colpito per la loro dignità, compostezza e attenzione.

Quella domenica di qualche tempo fa, alla recita del Padre nostro, un pensiero: “Sì, siamo tutti figli dello stesso Padre e quindi fratelli, ma dopo la Messa, ognuno se ne va a casa sua e ritorniamo estranei”.

Non potevo lasciar le cose così: al segno della pace, stendo la mia mano a quei due giovani, col desiderio di rendermi veramente sorella. Del resto, Gesù non ha lasciato dubbi in proposito quando ha detto: “Ero forestiero e mi avete accolto”.

All’uscita mi avvicino e mi presento, chiedo di dove vengano; si chiamano Alex e Adeline, e li invito a pranzo a casa mia.

Stupiti ma contenti, accettano. Mi chiedono perché io abbia fatto questo e io racconto loro quello che mi era passato in cuore durante la Messa. Mi dicono che ero la prima persona europea che spontaneamente si rivolgeva a loro: anche in chiesa da tempo si mettevano in disparte nell’ultimo banco, perché si erano accorti di non essere ben visti.

Nasce subito fra noi un’amicizia fraterna e anch’io a mia volta vengo invitata a pranzo da loro.

Faccio partecipe di questa amicizia anche il nostro parroco che li invita al gruppo coppie della parrocchia.

Di lì a poco mi confidano di aspettare il loro primo bambino, ma la gravidanza si presenta subito difficile. Cerco di starle vicino più che posso, pensando anche a come, in questi momenti, ogni donna si senta sostenuta dalla propria madre e, invitata da loro ad una festa della comunità africana, dove il Vescovo battezza parecchi bambini nati nell’anno, mi offro di far da madrina al bimbo che nascerà.

Il 29 agosto nasce Alexia-Onyine (che in lingua Ibo significa “dono di Dio”).

Vado subito in clinica: nell’abbracciare Adeline la sento veramente mia figlia e quando vedo Alexia per la prima volta, mi commuovo come quando ho visto per la prima volta la figlia di mio figlio.

Prima che Adeline venga dimessa, mettiamo in moto l’amore fraterno anche con altre famiglie della comunità, così procuriamo una carrozzina, un passeggino, una culla e varie altre cose utili.

Il giorno del battesimo il celebrante chiede ai genitori che nome danno alla loro bambina ed essi rispondono: “Alexia-Onyine, che significa dono di Dio” e il sacerdote aggiunge: “Alexia,la nostra comunità ti accoglie come dono di Dio”. Si entra in processione, accompagnati da un canto africano ritmato dal battito delle mani di tutta l’assemblea. Io mi sento commossa e felice, pensando a come un piccolo gesto possa muovere il cuore di tutta una comunità.

Paola