25 dicembre 2001 – NATALE DEL SIGNORE

Is 52,7-10 / Eb 1,1-6 / Gv 1,1-18

 

IL VERBO VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

Gv 1,14

 

Nella gioia e nello splendore del Natale la Comunità dei discepoli di Gesù celebra la Parola, il Verbo di Dio, ora venuto a piantare la tenda in mezzo a noi. La tenda è il corpo avuto da Maria, una di noi. Nella fragilità della carne, che il profeta Isaia paragona ad un soffio, si manifesta la Gloria di Dio. L’Eterno si è fatto tempo, l’Infinito finito.

Questo messaggio non si spiega: si ascolta, si contempla e si celebra. Dio rovescia il Cielo su questa terra per dirci che anche noi possiamo vedere e trasformare questa terra in Cielo. Gesù si sporca di questa terra a ricordarci che anche noi siamo impegnati a lavorare senza risparmiare fatiche per rendere più bella e più degna la nostra convivenza umana.

Gesù viene ad abitare in mezzo a noi come fratello perché anche noi possiamo trattarci da fratelli. Gesù si fa nostro contemporaneo perché anche noi possiamo fare della nostra vita un cammino in sua compagnia. La nostra esistenza con le diverse azioni ha la possibilità di essere vissuta in stereofonia, come quando cioè ascoltiamo musica e possiamo distinguere e udire contemporaneamente i differenti suoni e armonie. Così ogni nostra azione è fatta completamente da noi e da Dio attraverso di noi. E anche noi possiamo dire: “Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi”.

Giovanni C.

 

Ho 14 anni quando i genitori mi comunicano la loro decisione di divorziare. Non riesco a credere che la mia famiglia si sta smembrando. Inoltre mio padre decide di andare a convivere con un’altra donna. Sono smarrito. Che fare? Nello stesso periodo incontro dei giovani che vivono il Vangelo sul serio. Mi confido con loro, mi ricordano che Gesù chiede di non giudicare nessuno. Neanche i miei genitori? Neanche quest’altra donna? È dura, ma voglio provarci.

Cerco di amare tutti, pronto a consolarli, ascoltarli. È ancora Gesù che nel Vangelo mi dice: “Qualunque cosa hai fatto al minimo l’hai fatto a me”. Anche se questo va contro le raccomandazioni e i suggerimenti che mi arrivano da tutti i parenti. E quando dico che agisco così perché voglio vivere il Vangelo al 100%, vengo visto come un ingenuo, un illuso che crede alla “favoletta” di Gesù.

Capisco pian piano il grande dono fattomi da Dio: proprio mentre la mia famiglia si distrugge, Lui me ne fa incontrare una nuova, non basata sui legami di parentela ma sull’amore reciproco. Solo con questi nuovi amici riesco ad aprirmi completamente, perché li sento vicini, portano con me il dolore.  Mi dicono: il dolore amato porta la pace. Lo constato vero anche per me. Attorno si vedono i frutti: in mia madre la fede si rafforza e mio padre non ignora più Dio. La bimba che nasce dalla seconda unione viene battezzata, nonostante la mamma si dica atea.

Mio padre un giorno mi confida che avrebbe preferito sentirsi chiudere la porta in faccia da me: il mio amore gratuito, seppur sofferto, lo disorienta. Ma è molto colpito dalla Comunità che mi ha così radicalmente trasformato, e con l’altra donna va più volte a Loppiano, una cittadella del Movimento dei Focolari.

Passano degli anni, finché ad agosto dell’anno scorso a lei, incinta di 8 mesi, viene diagnosticato un tumore. Vado a trovarli tutti i giorni; soprattutto cerco di tenere compagnia alla sorellina, ormai di 9 anni. Nasce la seconda bimba e la madre inizia la chemioterapia, ma con poche prospettive di riuscita. Mio padre litiga con tutti gli amici. È disperato e nervoso: la moglie morente, una bambina che vuole la mamma e una neonata!

Con mia madre ci diciamo di vivere per Gesù anche questa situazione. Andiamo a passare Natale da loro, per far sì che sia festa almeno per le bimbe. Parliamo un po’ e poi la loro mamma inizia a piangere, dispiaciuta per averci ‘rovinato le feste’. Le dico che non è così: è la prima volta che passiamo il Natale tutti insieme. Continua a piangere, ma è felice. Le do il mio regalo: un libro di Chiara Lubich su Gesù Abbandonato.

La malattia dura due mesi ed accanto a lei e a mio padre ci sono le due persone che avrebbero avuto più motivi di tutti per disinteressarsene. Forse anche questo influisce sulla trasformazione della seconda donna di mio padre: lei è nel dolore, ma è qui che incontra Dio, che lo sente vicinissimo e Padre. Più volte dice: “Se guarisco, cambia tutto, cambia tutto”. A febbraio muore.

Passo due mesi a casa di mio padre per stargli accanto, giocare con la sorellina più grande e dare un aiuto tra biberon e pannolini. Il rapporto con lui non è perfetto - 15 anni che non abitiamo insieme si fanno sentire - ma avverto che siamo più vicini. Al momento di battezzare la bimba mi chiede di esserne il padrino: “anche la sua mamma avrebbe voluto così”, mi dice.

R. C., Italia