25
marzo 2007 - 5a di Quaresima
Is 43,16-21 / Fil
3,8-14 / Gv 8,1-11
Chi semina nelle
lacrime mieterà con giubilo (Sal 126,5)
Quando
pensiamo la nostra vita,
spesso la immaginiamo tutta armoniosa, come una serie di giornate
che ci proponiamo una più perfetta dell’altra, col lavoro compiuto bene, con lo
studio, col riposo, con le ore trascorse in famiglia... C’è sempre nel cuore
umano la speranza che le cose vadano così e solo così.
In
realtà, il ‘santo
viaggio’ della vita poi si dimostra diverso,
perché Dio lo vuole diverso: ed ecco i dolori fisici e spirituali, ecco
le malattie, ecco mille e mille sofferenze che parlano più di morte che di
vita.
Perché?
Forse perché Dio vuole la morte? No! Anzi, Dio ama la vita, ma una vita così
piena, così feconda che noi - con tutta la nostra tensione al bene, al
positivo, alla pace - non avremmo mai saputo immaginare.
Ed
ecco l’immagine del seminatore che getta un seme destinato a morire,
quasi segno delle nostre fatiche e del nostro patire e l’immagine del mietitore
che raccoglie il frutto della spiga germogliata da quella morte: “Se il
chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto”.
Dio
vuole che durante la vita noi sperimentiamo una certa morte - o, a volte, molti
tipi di morte – ma per portare frutto, per fare opere degne di lui e non
di noi semplici uomini. Questo è per lui il senso della nostra vita: una vita
ricca, piena, sovrabbondante, una vita che sia un riflesso della sua.
Come
vivere questa Parola? Occorre valorizzare il dolore, piccolo o grande.
Dar valore in particolare alla fatica, al sacrificio che comporta l’amare il prossimo: è il nostro specifico dovere di
cristiani. È un dolore che genera la vita!
E
questo senza mai arrendersi, anche quando non vediamo il risultato, ben sapendo
che a volte “uno semina e uno miete”. Quale sarà il
futuro dei figli che cerchiamo di educare il meglio possibile? Chi vedrà gli
effetti del mio impegno sociale e politico? Non stanchiamoci mai nel fare il
bene, i frutti ci saranno comunque, forse molto più tardi, forse altrove,
ma ci saranno.
E
allora avanti! Guardiamo al di là di ogni dolore. Non fermiamoci solo a
quella sospensione, a quella prova… Guardiamo alla mèsse che verrà.
Patricia, 22 anni, studentessa di diritto,
da un po’ di tempo ricopre la carica di assistente di un direttore di
dipartimento. “Fin dall’inizio - ci confida -, mi sono proposta di cercare
sempre di migliorare il lavoro e di curare il rapporto con i miei colleghi,
facendo in modo che ognuno si senta apprezzato”.
Ma spesso si tratta di andare
controcorrente nel difendere i propri principi, fino alle ultime conseguenze,
come lei stessa racconta: “Una persona importante nel mio ambiente di lavoro,
che godeva di certi privilegi, aveva un comportamento chiaramente disonesto.
Dovevo dirglielo”.
Per aver manifestato le sue convinzioni,
Patricia perde però il lavoro. “Ho sofferto terribilmente, ma allo stesso tempo
ero tranquilla, perché sapevo che avevo agito in modo giusto”. Non si dispera poiché è forte in lei la coscienza di avere un Padre
a cui tutto è possibile e che l’ama oltre misura. Sembra impossibile nella
situazione economica e lavorativa che vive il Paraguay,
eppure quella stessa sera le arrivano due proposte di impiego. Il nuovo è
addirittura migliore del precedente e più direttamente collegato con i suoi
studi.