23 novembre 2003
– CRISTO RE
Dn
7,13-14 / Ap 1,5-8 / Gv 18,33-37
Chi è dalla
verità ascolta la mia voce
(Gv 18,37)
Noi, discepoli di Gesù, oggi
facciamo festa attorno al nostro leader e lo proclamiamo re e sovrano di tutto e di tutti.
Ma ricordiamo anche in quale
circostanza Gesù si è proclamato re: non dopo un miracolo o per proclamazione
popolare, ma davanti a Pilato, qualche istante prima di essere consegnato per
la morte di croce.
“Io sono re” affermò e subito dopo disse di chi: Egli è re di chi è “dalla verità” e quindi ascolta la sua
voce.
Egli è re di chiunque è
dalla verità, ossia di ogni uomo che ascolta
la sua parola, la assimila e la vive.
Solo chi ha l’anima
spalancata ad accogliere le sue parole di verità, è suo discepolo.
Questa solennità ci rifà la
proposta di scegliere il nostro re e di seguirlo ascoltando e vivendo tutto
quanto ci dice, perché è Lui la Verità.
Un giorno di settembre parto per una città che dista da Bogotà quattro
ore, per fare una consegna da parte della tipografia in cui lavoro. Consegnato
il pacco, torno alla stazione degli autobus. Mentre aspetto l’ora della
partenza, mi si avvicina un ragazzo con il quale incomincio a conversare
amichevolmente. A un certo punto mi chiede cosa penso io dell’attuale
situazione che stiamo vivendo in Colombia. Gli rispondo che la Colombia e il
mondo soffrono la violenza perché gli uomini non si amano, non vivono in unità.
«Ma cos’è l’unità?», mi chiede. E io: «L’unità è l’unica forza capace di
trasformare il mondo». E gli racconto qualcosa della mia vita di cristiano.
Il mio giovane interlocutore ascolta molto interessato. Noto però che,
anche se si presenta bene, riflette una particolare inquietudine.
Al momento di salire sull’autobus mi congedo da lui che mi dice di
esser venuto solo per spedire un pacchetto.
Siamo sul punto di partire quando arriva la polizia che chiede a tutti
di scendere per poter fare una perquisizione dell’autobus e dei passeggeri. I
poliziotti prendono di mira in modo particolare me e mi fanno un interrogatorio
di sesto grado. Ho molta paura e mille pensieri mi passano per la testa. Chiedo
a Gesù di aiutarmi dal momento che lui sa che non ho fatto nulla di male.
Dopo venti minuti di botta e risposta, uno dei poliziotti cambia
atteggiamento nei miei confronti. Mostrandomi un involucro contenente dinamite,
mi dice che poco prima aveva ricevuto una telefonata anonima da una persona che
lo informava di essere stato pagato per collocare in quell’autobus quella
bomba. Però, avendo trovato fra i passeggeri un giovane che gli ha parlato di una
nuova speranza per il mondo e che gli ha dato anche un solo istante di gioia di
vivere, ha pensato che la vita vale più di qualunque altra cosa e per questo
aveva deciso di chiamare la polizia per avvisarla di togliere dall’autobus il
pacco e disinnescare la dinamite.
Aggiungeva che lui non è un uomo che crede in Dio, però si augurava e
pregava che si fermasse in tempo una strage sicura. Chiese anche che cercassero
quel giovane dalla camicia bianca e dalla giacca azzurra e gli dicessero che
con la sua risposta e con il suo atteggiamento, certamente avrebbe concorso a
salvare il mondo, come oggi aveva salvato lui. Poi bruscamente riattaccò il
telefono.
Respiro profondamente e, trovandomi nuovamente sull’autobus ormai
avviato verso casa, penso che a quell’ora avrei potuto essere già morto. Però
mi sono detto che, anche se fosse stato così, sarei morto con la certezza che
il mondo sarebbe cambiato.
J.G.B., Colombia (idem)
Commenti
a cura di Tarcisio P.